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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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Giano

in IL MITO / APPROFONDIMENTI / LETTERATURA LATINA

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Giano è una delle più antiche divinità romane indigene, cioè quelle che non avevano un equivalente nel pantheon greco: probabilmente deve essere ricondotto a una divinità etrusca, Culsans, che era raffigurata, proprio come lui, con due visi. Era celebrato come divom deus o deorum deus, il dio degli dei, e il suo sacerdote, il rex sacrorum, aveva la precedenza sui sacerdoti di tutti gli altri dei. Le litanie sacrificali di ogni divinità iniziavano sempre con l’invocazione a Giano buon creatore, a cui, durante le cerimonie, venivano offerti focacce di farro e vino.

Giano era, insieme alla dea Cardea (o Carda), il dio dei cardini della porta (in latino ianua), che egli apriva e chiudeva: di conseguenza era considerato il protettore di tutti i passaggi, come le porte della città, gli archi costruiti sulle strade pubbliche (detti iani), i porti, i valichi montani… Per questo motivo era raffigurato come un portinaio (con una chiave nella mano sinistra, per aprire e chiudere le porte, e un bastone o uno scettro nella destra, per metterne in evidenza il pieno controllo) e con due volti contrapposti (sempre barbuti, spesso uno di giovane e l’altro di anziano), per sorvegliare contemporaneamente l’entrata e l’uscita: di qui gli epiteti di geminus (duplice) e bifrons (bifronte). Nel tempo questi due epiteti hanno determinato una lettura negativa della sua figura, trasformandolo nel simbolo di una persona inaffidabile, ipocrita, falsa… con due facce, appunto: questa lettura è però totalmente assente nel mito romano.

Giano, in quanto dio del passaggio, era anche il dio dell’inizio e della fine di tutte le cose: del mattino (negli inni era infatti invocato come pater matutinus), che inizia il giorno e chiude la notte, del mese, che inizia e finisce, delle stagioni, che si alternano tra loro, e dell’anno (da lui deriva infatti il nome del primo mese, Ianuarius, istituito nel 713 a.C. da uno dei leggendari re di Roma, Numa Pompilio, con la sua riforma del calendario).

Un’oscura tradizione racconta che Giano, esule dalla Tessaglia, fu ospite del re italico Camese, che lo accolse benevolmente e che divise con lui il proprio regno. Giano, secondo Ovidio, fondò una piccola città fortificata su una collina, che da lui prese il nome di Gianicolo (alla lettera: luogo abitato – o fondato – da Giano).

La tradizione leggendaria ne fa invece un re del Lazio primitivo, che ospitò il dio  Saturno, detronizzato e cacciato dalla Grecia dal figlio Giove: Saturno, riconoscente, donò a Giano la facoltà di conoscere il futuro e di non dimenticare il passato (dono che spiegherebbe l’origine dei due volti, uno rivolto al passato – quello da anziano – e l’altro al futuro – quello da giovane – ); da questa ospitalità deriva anche il nome delle terre governate da Giano, che presero il nome di Latium (dal verbo latere, nascondere) proprio perché nascondevano il fuggiasco Saturno. I due decisero poi di condividere il regno: Giano regnò sul Gianicolo e Saturno sul Campidoglio. Questo periodo fu così positivo da meritare la definizione di età dell’oro: in questi anni, in cui gli uomini vissero sereni in un clima di pace e di prosperità, Saturno insegnò loro l’agricoltura e Giano la pratica della navigazione e l’uso della moneta (le più antiche monete romane, in bronzo, avevano infatti da un lato l’effigie di Giano e dall’altro una prua di nave).

Dopo la morte Giano fu divinizzato e divenne oggetto di culto. Il mito gli attribuisce un prodigio che salvò la città di Roma da un attacco dei Sabini, durante la famosa guerra che vide anche il celebre ratto delle Sabine e l’episodio di Tarpea: mentre i Sabini stavano per espugnare il Campidoglio, Giano fece scaturire davanti a loro una sorgente di acqua bollente sulfurea, che li spaventò e li mise in fuga. Per celebrare questo episodio i Romani decisero di lasciare sempre aperta, in tempo di guerra, la duplice porta del tempio a lui dedicato, lo Ianus geminus, fatto erigere da Romolo – o da Numa Pompilio – nell’angolo nordorientale del Foro, tempio che andò poi distrutto, ma che noi conosciamo perché rappresentato su una moneta fatta coniare dall’imperatore Nerone nel 66 d. C. La porta del tempio veniva spalancata appena l’esercito lasciava la città per andare in guerra, in modo che il dio – se necessario – potesse accorrere velocemente in aiuto di Roma; era invece chiusa in tempo di pace, quando l’aiuto del dio non serviva: secondo alcuni in questo modo essa imprigionava nel tempio gli spiriti maligni dell’odio e della discordia. Lo storico Svetonio ci racconta, nelle Vite dei Cesari, che nel 27 a. C. l’imperatore Ottaviano Augusto fece solennemente chiudere le porte del tempio di Giano, per dimostrare la sua volontà di portare – finalmente! – a Roma un lungo periodo di pace (del resto la leggenda vuole che nei settecento anni successivi alla fondazione di Roma le porte del tempio siano state chiuse solo tre volte, una sotto il regno di Numa, una dopo la fine della prima guerra punica e una, appunto, da Augusto).

Giano, secondo i mitografi, sposò Giuturna (o Diuturna), sorella di Saturno e ninfa delle sorgenti e delle fonti, dalla quale ebbe Fons (o Fontus o Fonte), il dio delle fonti, a cui furono eretti un tempio (sul Gianicolo, nelle vicinanze delle mura serviane) e un altare (ai piedi del Gianicolo, non lontano da quella che alcuni ritengono la tomba di Numa); in altri miti si narra che Giano sposò Camasene (o Camese), una ninfa del Lazio, da cui nacque Tiberino (o Tiber), che si mise in luce per le sue imprese eroiche e che diede il nome al fiume Tevere, in cui trovò la morte per annegamento; in suo onore fu eretto un santuario sull’isola Tiberina. Tiberino viene citato nell’VIII libro dell’Eneide di Virgilio, dove appare a Enea con l’aspetto di un vecchio avvolto da un velo verde – grigio e con il capo circondato da una corona di foglie di canne, per suggerire all’eroe di risalire la corrente del fiume fino al Palatino, per chiedere aiuto al re Evandro.

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