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come selvaggi intorno al fuoco
bonariamente entra in famiglia
qualche immagine di sterminio.
Così ogni sera si teorizza
la violenza nella storia.
N. Risi, Il mondo in una mano, Mondadori, Milano, 1994
Stando nel cerchio d’ombra
come selvaggi intorno al fuoco
bonariamente entra in famiglia
qualche immagine di sterminio.
Così ogni sera si teorizza
la violenza nella storia.
N. Risi, Il mondo in una mano, Mondadori, Milano, 1994
Sono le 20, la tavola è apparecchiata e la famiglia si riunisce per la cena. Il televisore è acceso: la luce che esso diffonde con le sue immagini lascia il resto della stanza un poco in penombra, situazione che richiama alla mente del poeta l’immagine di una tribù di selvaggi seduti attorno al fuoco. E così, bonariamente, cioè tranquillamente, entrano, nella vita della famiglia, immagini di sterminio: non ha importanza da dove arrivano, perché esse si ripresentano quotidianamente, finendo con l’anestetizzare l’animo di chi le vede e con l’abituarlo alla violenza…
È proprio l’espressione si teorizza a fornire la chiave di lettura e di interpretazione di questo testo. Il verbo teorizzare può infatti assumere, come leggiamo nel Grande dizionario dell’uso di De Mauro, due diversi significati. Il primo è quello di “formulare in modo astratto”: seguendo quest’interpretazione il verso assume il valore di si rappresenta in modo astratto la violenza della storia (perché di fatto manca la reale partecipazione di chi assiste); il secondo, quello di “formulare una teoria”, che fa assumere al verso il significato di si dimostra come la storia sia inevitabilmente fatta di violenza.
Questa seconda interpretazione, decisamente più drammatica, lascia intendere il vero messaggio del poeta: vedere ogni giorno immagini di guerra, di sopraffazione, di violenza, di ingiustizia, crea una sorta di abitudine, che comporta la normalizzazione di ciò a cui si assiste. Proprio la normalizzazione cessa di indurre reazioni forti, come lo sdegno, la paura, la rabbia, che piano piano lasciano spazio al distacco, per arrivare a una tragica indifferenza.
È accettabile questo passaggio? Certamente no. È segno di un miglioramento della condizione umana? Certamente no. E allora non stupisce la similitudine iniziale del componimento, che allude proprio a una sorta di imbarbarimento che trasforma la confortevole cucina di una famiglia italiana in un luogo abitato da selvaggi, abituati a convivere – e a vivere – di violenza e di sopraffazione. Ma la differenza è grande: il fuoco dei selvaggi è quello che dà loro la vita, il calore, il nutrimento; il fuoco che vediamo noi è quello della morte e della devastazione…
La colpa di tutto ciò viene imputata dal poeta non solo agli uomini, ma anche ai mezzi di comunicazione di massa, cui oggi si possono aggiungere anche i social, assenti negli anni Sessanta del Novecento, epoca in cui fu scritto questo componimento di una tragica attualità. Molto spesso, infatti, essi hanno, nei confronti di questo tipo di notizie, due atteggiamenti diversi, del tutto antitetici: o presentano i fatti appiattendoli e stemperandoli in forma di una mera cronaca, che allontana la percezione dei drammi in atto, oppure li enfatizzano, cercando di pilotarne l’interpretazione in una direzione ben precisa. Il risultato che ne consegue – comunque negativo – è amaramente e ironicamente illustrato dall’avverbio bonariamente, decisamente ossimorico rispetto allo sterminio di cui si parla nei versi.
Di fronte a tutto questo il poeta non può che assumersi il compito di scuotere le coscienze, per invitarle a reagire a questo torpore che spesso induce non solo a disinteressarsi di ciò che succede al di fuori del proprio piccolo mondo, ma anche a subirlo in modo sempre più passivo e acritico. Il che non vuole certamente dire assumere atteggiamenti violenti o di protesta: non servono altri selvaggi che si alzino dal tavolo, ma uomini che si impegnino a trovare nel dialogo e nel confronto gli unici strumenti che possono portare alla pace e alla riconquista di quella civiltà che sembriamo essere sul punto di perdere…
Per fare sì che il messaggio arrivi in modo chiaro e diretto l’autore ha scelto un linguaggio solo apparentemente semplice, quasi prosastico: per esempio il primo verso (Stando nel cerchio d’ombra) nasconde, come accade spesso nella metrica libera, un settenario perfetto, e molti dei versi seguenti sono dei novenari altrettanto corretti dal punto di vista metrico (come selvaggi intorno al fuoco / bonariamente entra in famiglia).
Altrettanto interessante la disposizione delle parole nei versi. L’uso dell’enjambement pone infatti in primo piano qualche immagine e la violenza, separando soggetto e verbo: entrambi gli enjambement assolvono dunque al delicato compito di portare in primo piano la violenza e la sua rappresentazione quotidiana, che irrompe nella vita di tutti noi. Particolarmente efficace, in questo senso, la scelta di usare l’enjambement per mettere in risalto l’aggettivo indefinito qualche, che sottolinea la drammatica frequenza e quantità di questo tipo di immagini…
Per rendere il componimento ancor più incisivo il poeta ha infine scelto di sostituire la rima, che dà un andamento leggero, con consonanze, suoni ripetuti e, soprattutto, con la semplice assonanza: non è un caso che in assonanza siano poste due parole fondamentali del componimento, famiglia:storia, proprio per sottolineare che la storia entra nella famiglia, ma anche, al contrario, che è la famiglia – cioè gli uomini, tutti gli uomini – a fare la storia.
Spetta dunque a noi decidere se restare dei selvaggi o tornare a essere uomini…
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