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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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La morte del beato Papa Gregorio e la sua santità

in DIACONO PAOLO \ ALTO E BASSO MEDIOEVO \ IL MEDIOEVO \ LETTERATURA ITALIANA

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Nel capitolo 29 del IV libro della sua Storia dei Longobardi Paolo Diacono racconta la morte di Papa Gregorio I (540 – 604), che meritò l’epiteto di Magno per il suo sapere, la sua condotta morale e perché fu l’artefice della conversione dei Longobardi.

Egli riformò anche la Messa, diffuse il canto liturgico (che da lui prese il nome di gregoriano) e scrisse diverse opere, tra cui i Dialoghi, in cui narra la biografia di uomini e donne che si distinsero per la loro fede e che vengono proposti come modelli da imitare. 

La morte del beato Papa Gregorio e la sua santità

In quel tempo1 anche il beato Papa Gregorio salì al cielo, nell’ottava indizione2, nell’anno secondo del regno di Foca3. Al suo posto venne innalzato alla dignità pontificia Saviniano. Vi fu allora un inverno rigidissimo, e le viti morirono in quasi tutti i luoghi. Anche le messi andarono perdute, in parte distrutte dai topi, in parte dalla siccità. Il mondo dovette allora patire fame e sete, poiché con la scomparsa di un sì grande dottore la penuria dell’alimento spirituale e l’arsura della sete si fecero sentire nelle anime degli uomini. Pertanto mi piace inserire in quest’opera poche cose tratte da un’epistola del medesimo Papa Gregorio, affinché si possano conoscere in maniera più evidente la sua umiltà, innocenza e santità. Accusato egli una volta presso l’imperatore Maurizio4 e il di lui figlio di aver fatto uccidere in carcere un vescovo, certo Malco, in luogo dei veri colpevoli, in una lettera che intorno a questa questione scrisse a Saviniano suo apocrisario5 , che trovavasi a Costantinopoli, dice tra l’altro: “ Una cosa sola tu devi brevemente rammentare ai serenissimi nostri signori: che se io, loro servo, avessi voluto immischiarmi nella morte sia pure di Longobardi, oggi il popolo longobardo non avrebbe né re né duchi né conti e sarebbe diviso, in uno stato di grandissima anarchia. Ma poiché temo Dio, mi guardo bene dall’immischiarmi nella morte di qualsiasi uomo. Il vescovo Malco per giunta non fu mai in carcere, né subì maltrattamenti di sorta; ma il giorno in cui si difese e fu condannato, a mia insaputa fu condotto dall’amanuense6 Bonifacio a casa sua; ivi7 pranzò e fu da lui onorato, ma durante la notte all’improvviso morì”.

Vedete dunque quanto grande fu l’umiltà di quest’uomo che, pur essendo sommo pontefice, si definì servo! E quanta la sua innocenza, se non volle essere immischiato neppure con la morte di Longobardi, che pure non erano credenti e nulla risparmiavano!

Da AA. VV. Le origini, Ricciardi, Milano – Napoli

Paolo Diacono mette a confronto il modo di essere dei Longobardi (cui egli stesso apparteneva) – definiti, senza mezzi termini, non credenti e che nulla risparmiavano – e quello di papa Gregorio, che, avendo sposato i valori del Cristianesimo, dimostra, con il suo comportamento, umiltà, innocenza e santità.

La ricostruzione storica proposta non è sempre esente da vizi e da difetti: Paolo Diacono, infatti, da un lato si preoccupa di documentare le proprie affermazioni (per esempio quando ne rivela la fonte, un’epistola del medesimo Papa Gregorio) ma dall’altro non si fa problemi a inserire commenti e giudizi personali – come quelli espressi nell’ultimo capoverso -, cosa che uno storico non dovrebbe mai fare. Questo atteggiamento è dovuto alla volontà dell’autore di assecondare il progetto di Carlo Magno, che, con la fondazione della schola palatina (la scuola del palazzo reale), posta sotto la direzione del monaco anglosassone Alcuino, desiderava attuare una vera e propria rinascita culturale basata sul recupero del mondo classico e sulla diffusione dei valori del Cristianesimo. La figura di Papa Gregorio viene dunque proposta a tutti come un exemplum, cioè un modello di comportamento da imitare e da seguire. Non è un caso che l’autore si soffermi su quanto accade alla morte del Pontefice: la descrizione delle calamità naturali crea una forte analogia tra il venir meno del cibo spirituale e la vera carestia, intesa come un segnale divino della grandezza e della santità di Gregorio (figura che Diacono ammira a tal punto da scriverne la biografia).

La proposta di imitare questo illustre uomo, definito, con rispetto, grande dottore, assume un forte valore anche dal punto di vista culturale, perché dimostra il lento processo di integrazione che in quegli anni stava avvicinando il mondo longobardo e quello latino: la Storia dei Longobardi, scritta da un longobardo in latino e pervasa dal senso della romanità e della continuità ideale rispetto all’antica civiltà romana, ne costituisce la prova tangibile.

Note

1. In quel tempo: nell’anno 604.

2. Indizione: periodo di quindici anni calcolato dalla caduta dell’Impero romano.

3. Foca: imperatore di Bisanzio dal 602 al 610.
4. Maurizio: imperatore di Bisanzio dal 582 al 602.
5. Apocrisario: questo vocabolo, di origine greca, indica la carica di ambasciatore.
6. Amanuense: segretario.
7. Ivi: lì.
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