LA SOFISTERIA Logo 240x110 FFE5AD
LA SOFISTERIA - PRESENTAZIONELA SOFISTERIA - NOTIZIELA SOFISTERIA - ACCEDILA SOFISTERIA - BIBLIOTECALA SOFISTERIA - REGISTRATILA SOFISTERIA - CERCA NEL SITOLA SOFISTERIA - EMAILLA SOFISTERIA - CANALE YTLA SOFISTERIA - SPOTIFYLA SOFISTERIA - CANALE INSTAGRAM

grammatica e letteratura italiana | latina | greca

LA SOFISTERIA Logo 370

grammatica e letteratura italiana | latina | greca

LA SOFISTERIA - PRESENTAZIONELA SOFISTERIA - NOTIZIELA SOFISTERIA - ACCEDILA SOFISTERIA - BIBLIOTECALA SOFISTERIA - REGISTRATILA SOFISTERIA - CERCA NEL SITO
LA SOFISTERIA - EMAILLA SOFISTERIA - CANALE YTLA SOFISTERIA - SPOTIFYLA SOFISTERIA - CANALE INSTAGRAM

La retorica

in LA LETTERATURA MEDIOEVALE / IL MEDIOEVO / LETTERATURA ITALIANA

LA SOFISTERIA icona 163x255 6E0813

La retorica (o arte del bel dire), in latino ars bene dicendi o ars recte loquendi, nacque in Grecia: essa è lo studio e la codificazione di norme che regolano la struttura del discorso sia orale che scritto, curandone l’armonia, la simmetria, la scelta lessicale, la ricerca dei suoni, la disposizione delle parole… tutti elementi che hanno il compito non solo di abbellire e di impreziosire il discorso ma anche di aiutare a convincere della validità delle tesi da esso sostenute. I suoi principali ambiti di applicazione erano quello politico, giudiziario e pubblico, in quest’ultimo caso con intento celebrativo o espositivo.

Una volta ereditata dalla cultura latina, la retorica diede ottimi frutti nel periodo della repubblica; a partire dall’età imperiale, invece, per il venir meno della partecipazione politica attiva dei cittadini, essa perse lentamente il suo scopo pratico, per diventare spesso un mero esercizio di composizione scritta e orale.

Nei secoli del Medioevo latino la retorica fu utilizzata da notai e giudici per la redazione e per la stesura di encicliche, leggi, editti, disposizioni, lettere… per tutti i documenti, insomma, che uscivano dalla Curia papale, dalle cancellerie imperiali o dalle corti dei feudatari: la loro cura, artificiosità e ricercatezza erano intesi come il segno tangibile dell’autorità di chi li aveva voluti.

Tra la retorica dell’età classica greca e latina – che abbiamo conosciuto soprattutto dagli scritti di Cicerone – e quella medioevale c’era, però, una sostanziale differenza: la retorica classica forniva generici consigli e delle norme pratiche; la retorica medioevale divenne invece precettistica, cioè stabiliva in modo preciso e dettagliato espedienti e regole, insistendo sugli aspetti più artificiosi e lambiccati, che contribuivano spesso a creare una scrittura aristocratica, che si avvicinava pericolosamente, a volte, all’artificiosità e al virtuosismo fini a se stessi.

Ben presto, però, a causa della visione teocentrica che caratterizzò il Medioevo, la retorica assunse quasi una missione morale e persuasiva, perché, conformemente agli ideali religiosi dell’epoca, il bello era sentito come la veste del buono, doveva cioè servire a diffondere grandi verità. Di qui la fioritura di manuali di ars dictandi (dal latino dictare, comporre un testo) che insegnavano a scrivere correttamente e con eleganza in ogni ambito del dire, fornendo istruzioni e modelli di testi in grado di veicolare contenuti importanti. Essi videro la luce soprattutto a Bologna, sede – come abbiamo avuto modo di vedere – dello Studium, la più antica università (fondata nel 1088), famosa per gli studi giuridici: è proprio questo il motivo per cui molti dei nostri primi letterati furono notai (è il caso di Pier delle Vigne, di Giacomo da Lentini, di Guido Guinizzelli, di Cino da Pistoia…).

A questi manuali si affiancarono anche dei formulari che contenevano specifici esempi e schemi di composizione pensati per i poeti (le cosiddette ars versificandi) e i religiosi (le ars praedicandi). La produzione di questo materiale teorico risulta particolarmente importante, perché dimostra la formazione della consapevolezza di una nuova civiltà diversa da quella latina, ma che si sentiva ad essa fortemente legata.

Al centro di questi insegnamenti c’era sempre la ricerca di eleganza, ottenuta con diversi espedienti, tra cui spiccano le figure retoriche o tropi, abbellimenti che erano distinti in figure di parola (assonanze, chiasmi, parallelismi, inversioni…) e di pensiero (similitudini, metafore…) e che costituivano la base di quello che Cassiodoro definiva l’ornatus, cioè l’abbellimento che distingue la scrittura letteraria e artistica da quella di uso pratico.

A seconda delle scelte ricorrenti di ornamento esteriore si vennero così a delineare quattro diversi stili, che presero il nome dai grandi autori scelti come modello: se si voleva rispettare la concinnitas, cioè la simmetria nel creare e disporre le frasi all’interno del periodo, si sceglieva lo stile ciceroniano (o tulliano), spesso arricchito da metafore; se si cercava di ottenere una prosa ritmata per mezzo di ripetizioni e di assonanze, si optava per lo stile isidoriano (così chiamato da Isidoro di Siviglia, un teologo e scrittore vissuto nel VI secolo d.C.), ricco di rime interne, parallelismi e allitterazioni (cioè  di ripetizioni di lettere uguali in parole consecutive); se si apprezzava lo stile della Curia romana, si imitava lo stile romano (o gregoriano, perché particolarmente usato nei documenti di Papa Gregorio VIII), che caratterizzò, per esempio, gli scritti dell’abbazia di Montecassino, e infine, se si desiderava cimentarsi con ardite difficoltà e regole minuziose, si poteva ricorrere allo stile ilariano (usato da Ilario di Poitiers, un innografo cristiano vissuto nel IV secolo d.C.), presto abbandonato perché troppo complesso.

Tra gli espedienti più utilizzati, il più importante è chiamato cursus o stile romano (perché in voga soprattutto tra i chierici che lavoravano nella Curia). Esso consiste nel disporre le parole in modo che alla fine della frase – o del periodo – ricorra la clausola ritmica (o cursus), uno schema di alternanza di sillabe brevi e lunghe – o, quando venne meno l’idea della quantità della sillaba, accentate e atone – che formano un ritmo definito. Gli effetti ottenuti con questo espediente erano un innalzamento – o un abbassamento – della voce e una velocizzazione – o un rallentamento – della lettura, in grado di mettere meglio in risalto i contenuti del testo. I principali cursus, che potevano avere varianti a seconda delle diverse scuole o dei singoli autori, erano tre:

  1. CURSUS PLANUS

le ultime due parole del periodo sono piane (hanno cioè l’accento sulla penultima sillaba), ma l’ultima è trisillabica, in modo che tra i due ultimi accenti tonici si trovino due sillabe atone: liberalitàte ditàvi / italiano: sèrve andàre

  1. CURSUS TARDUS (o lento)

l’ultima parola è sdrucciola (cioè con l’accento sulla terzultima sillaba); anche in questo caso tra i due ultimi accenti tonici si trovano due sillabe atone, ma dopo l’ultimo accento seguono altre due sillabe atone: vìncla perfrègerat / italiano: cercàndo di prèndere

  1. CURSUS VELOX

è il più apprezzato; si ha quando tra i due accenti tonici delle ultime due parole, di cui l’ultima piana e la penultima sdrucciola, intercorrono quattro sillabe: vìnculum fregeràmus / italiano: dèvono fare quèsto

L’attenzione era rivolta non solo alla forma, ma anche all’organizzazione del singolo testo, in particolare delle epistole: esse, scritte dai dictatores, cioè dai cancellieri, erano usate per ogni genere di comunicazione, da quella alta a quella più informale. La retorica ne fissò la struttura, che – tenendo sempre conto del tipo di contenuto e del rapporto che esisteva tra mittente e destinatario – era suddivisa in

  • SALUTATIO: il saluto iniziale, solitamente con gli epiteti e gli appellativi più altisonanti che si potevano riferire al destinatario
  • CAPTATIO BENEVOLENTIAE: la ricerca della buona disposizione d’animo dell’interlocutore, tramite complimenti, elogi o lusinghe
  • NARRATIO: il racconto dei fatti o l’esposizione dei contenuti che si intendeva condividere con il destinatario
  • PETITIO: le richieste che erano oggetto della missiva
  • CONCLUSIO: la parte finale con i saluti.

Il modello di riferimento per la stesura delle epistole è senza dubbio costituito dalla prosa di un notaio che lavorò alla corte di Federico II, Pier delle Vigne (1190- 1249), prosa che risulta piuttosto artificiosa ed enfatica, perché particolarmente ricca di figure retoriche.

TESTO: Una lettera a Federico II

Tra gli studiosi di retorica più importanti dell’XI secolo si possono ricordare Alberigo di Montecassino (autore di un Breviario, composto nel 1087, in cui si definivano e illustravano le parti dell’epistola) e Ugo da Bologna, vissuto nel XII secolo; una menzione speciale merita Guido Faba, notaio e docente all’università di Bologna dal 1210 al 1243, che fu il primo a invitare a usare gli espedienti retorici propri del latino (per esempio il cursus) anche per il volgare bolognese, che veniva dunque da lui ritenuto sufficientemente strutturato per poter essere impiegato anche nei documenti ufficiali: nella sua opera più importante, intitolata Gemma purpurea, un trattato di retorica in latino, Faba inserisce, infatti, degli esordi di lettere in lingua volgare, mentre in un altro trattato, i Parlamenta, presenta dei modelli di epistole interamente scritte in volgare per destinatari di diverso tipo.

Il manuale di retorica più famoso fu scritto da Boncompagno da Signa (un piccolo centro vicino a Firenze): esso, uscito nel 1216 e intitolato Boncompagnus, esalta l’arte della retorica sia per il suo valore pratico che per la conoscenza che è in grado di offrire.

TESTO: L’importanza della retorica

LA SOFISTERIA - GRAMMATICA ITALIANA - IMG 800x534

GRAMMATICA ITALIANA

LA SOFISTERIA - SCUOLA DI SCRITTURA - IMG 800x534-kk

SCUOLA DI SCRITTURA

LA SOFISTERIA - GRAMMATICA LATINA - IMG 800x534

GRAMMATICA LATINA

GRAMMATICA GRECA

LA SOFISTERIA - LETTERATURA ITALIANA - IMG 800x534

LETTERATURA ITALIANA

LECTURA DANTIS

LETTERATURA LATINA

LETTERATURA GRECA