Che cos’è la letteratura?
in INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA LETTERATURA \ LETTERATURA ITALIANA
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Il termine letteratura deriva dal latino litteratura, a sua volta derivato dal termine litterae, che significa lettere dell’alfabeto e, per traslato, scrittura.
Dal I secolo d.C. il vocabolo litteratura è stato utilizzato per indicare l’insegnamento e lo studio della lingua (cioè la grammatica): il litteratus era dunque colui che sapeva scrivere, una persona colta e istruita che si distingueva dalla massa degli analfabeti o di coloro che padroneggiavano a fatica lettura e scrittura.
Ma che cos’è la letteratura?
Possiamo provare a formulare una prima definizione:
La letteratura è l’insieme di testi (opere)1 del passato e del presente che ogni epoca ritiene letterari.
In questo primo tentativo di definire la letteratura abbiamo usato il termine testo e non testo scritto perché esistono anche testi che nascono come non scritti (per esempio la produzione epica, i canti popolari, la commedia dell’arte…). È vero, però, che questi testi sono una minoranza e che spesso, dopo essere stati trasmessi per lungo tempo oralmente, vengono scritti. Possiamo pertanto completare in questo modo la definizione precedente:
La letteratura è l’insieme di testi (opere) del passato e del presente che ogni epoca ritiene letterari; questi testi possono essere orali o scritti, ma la forma scritta ha avuto la meglio su quella orale.
Il linguaggio più frequente con cui sono scritti i testi letterari è – come abbiamo avuto modo di vedere nella prima lezione di questo corso – il linguaggio verbale; poiché, però, è possibile usare anche il linguaggio musicale e figurativo (come dimostrano i testi cantati e i calligrammi2 ) sarà necessario modificare ulteriormente la nostra definizione in questo modo:
La letteratura è l’insieme di testi (opere) del passato e del presente che ogni epoca ritiene letterari; questi testi possono essere orali o scritti, ma la forma scritta ha avuto la meglio su quella orale. Per questi testi è indispensabile il linguaggio verbale, che può essere associato ad altri linguaggi.
È necessario, a questo punto, soffermarsi sull’affermazione che ogni epoca ritiene letterari. Essa, infatti, lascia intendere che la nozione di letteratura cambia con il tempo: il Medio Evo, per esempio, considerava letteratura la trattatistica religiosa, che oggi non rientra più nei testi letterari; noi consideriamo testi letterari diari o interviste, mentre nel passato non era così.
Appare dunque evidente la necessità di comprendere e di delineare i criteri necessari per la definizione del canone (cioè dell’insieme delle norme) che rende un’opera letteraria: dal momento che, come appena dimostrato, il concetto di letteratura non può essere univoco, anche i criteri che lo definiscono devono essere variabili. Le possibilità sono solo due: o ci si adatta a quelli prodotti da ciascuna epoca o si proiettano retrospettivamente le più moderne concezioni di letteratura. In sostanza ci si può accostare alla letteratura con due diversi atteggiamenti:
→ STORICIZZANDO, cioè rispettando la storicità (per cui noi studiamo testi che non rientrano nella nostra idea di letteratura proprio perché rispettiamo l’idea di un’altra epoca, che li considerava letterari)
→ ATTUALIZZANDO, cioè applicando alle opere antiche i criteri di classificazione che sono in uso nel presente.
Il primo atteggiamento è una conquista recente ed è, senza dubbio, più difficile, poiché comporta non solo la necessità di conoscere a fondo il momento e le circostanze in cui un testo ha visto la luce, ma anche il rispetto e la giusta distanza da quanto si legge; il secondo fu proprio, per esempio, del Medioevo nei confronti dei testi classici, che erano riletti alla luce del Cristianesimo in conformità allo spirito religioso dell’epoca: così, per non vietare la lettura e lo studio di Virgilio, un poeta pagano, si arrivò a ipotizzare che uno dei suoi testi, la quarta egloga, contenesse una profezia sulla nascita di Cristo!
Chiariti questi due tipi di approccio, resta da definire quali sono le caratteristiche comuni a ogni tempo che danno letterarietà a un testo, cioè fanno sì che esso, in ogni epoca, venga ritenuto letterario. Sono state sino ad ora formulate diverse ipotesi: ne citiamo tre, particolarmente significative.
- La prima è quella dei cosiddetti FORMALISTI, studiosi russi degli anni Venti del Novecento, che hanno teorizzato il concetto di scarto (cioè allontanamento) dalla norma. Secondo loro la lingua letteraria si diversifica da quella standard, usata per la comunicazione quotidiana, per degli scarti determinati dall’elaborazione formale e da artifici retorico-stilistici. Ne può essere un esempio la significativa differenza che oppone l’espressione io sono inquieto a requie non trovo oppure la parola speranza al vocabolo speme: le seconde, che mettono in atto un evidente scarto (allontanamento) dalla norma, cioè dal comune modo di parlare, devono essere considerate letterarie. Alcuni anni più tardi uno dei formalisti – che abbiamo già avuto modo di conoscere per il suo schema della comunicazione – Roman Jakobson, si è spinto oltre, distinguendo due diverse funzioni per il linguaggio, quella referenziale e quella poetica. La prima viene messa in atto quando al parlante interessa semplicemente dire qualcosa; la seconda, invece, quando interessa anche come si dice qualcosa: è quest’ultima a essere propria della letteratura.
© LA SOFISTERIA - Per gli studiosi di SEMIOTICA, che si occupano dei segni linguistici, vale invece il concetto di ipersegno. Il messaggio letterario, grazie all’elaborazione formale, ha un alto contenuto informativo e comunicativo: in quest’ottica un testo, caricato di significato semantizzando suoni (cioè dando loro un significato) o grazie all’ausilio di grafie particolari, assume un significato più alto (ipersegno vuol dire, infatti, al di là del linguaggio, oltre il linguaggio), che lo allontana dal quotidiano e lo consegna al letterario. Si può citare, tanto per fare un esempio, la X con cui è scritta la data di una delle più famose poesie di Giovanni Pascoli, X agosto: l’inconsueta scelta di sostituire il numero arabo 10 con il corrispondente numero romano costituisce un ipersegno, poiché dice di più, presentando la morte del padre come un vero e proprio martirio, cui allude, appunto, la croce del titolo.
© LA SOFISTERIA - Per il critico letterario Cesare SEGRE si può invece parlare di centralità del testo. Secondo la sua visione, il produttore di un messaggio letterario, proprio perché scrive per destinatari sconosciuti e perché il messaggio sia letto in un contesto culturale e temporale anche diverso dal suo, opera una serie di accorgimenti che servono a rendere autonomo il messaggio. Dunque, in quest’ottica, un testo è da ritenersi letterario quando ha in sé tutte le informazioni necessarie alla sua fruizione estetica3 e tracce del contesto che lo ha prodotto.
Tutto quanto si è visto basta a definire un testo letterario? La risposta è no. Non basta dire che è l’attenzione formale a rendere un testo “di letteratura”. Ne vediamo un chiaro esempio mettendo a confronto queste due espressioni:
Fiesta ti tenta tre volte tanto
Caddi come corpo morto cade
Una di queste due espressioni – costruite per mezzo della medesima figura retorica, l’allitterazione, che consiste nella ripetizione di una vocale o di una consonante – è un verso di poesia, l’altra un semplice slogan pubblicitario. La motivazione di questa differenza risiede in due elementi fondamentali, di cui non si può non tener conto: la funzione del testo e il ruolo del destinatario.
Nel primo caso, infatti, la funzione è persuasiva, poiché il testo mira a indurre ad acquistare il prodotto in oggetto; nel secondo essa è invece comunicativa ed espressiva, perché l’unico scopo del testo è quello di comunicare e di esprimere il proprio mondo interiore o la propria visione del mondo.
Il destinatario percepisce la diversità di questi due testi perché si dispone a leggerli in modo differente: nel fruitore del messaggio c’è, infatti, come sostiene il filosofo e studioso di letteratura Hans Robert Jauss (1921 – 1997) un orizzonte delle attese che permette di riconoscere immediatamente un messaggio letterario. Sono io, insomma, a riconoscere subito lo slogan e il verso di poesia non appena vedo questi due testi, perché mi aspetto da ciascuno di loro qualcosa di diverso.
Al termine di questa riflessione si può dunque affermare che è impossibile trovare uno specifico letterario valido per tutti i testi di tutte le epoche e che è pertanto impossibile formulare una definizione univoca di letteratura, perché essa si sviluppa e si modifica storicamente. È altrettanto vero, però, che esistono codici, convenzioni, particolarità metriche, retoriche, stilistiche e strutturali (storicamente determinate) che hanno definito, nel corso del tempo, la specificità della comunicazione letteraria rispetto ad altre forme di comunicazione. Mirando a questa specificità moltissimi autori hanno composto i loro testi e, tenendo conto di questa specificità, moltissimi lettori hanno letto, leggono e leggeranno le opere che la comunità definisce letterarie.
In questo corso useremo, pertanto, il termine letteratura nei suoi diversi valori: esso, infatti, può
1) definire la scrittura opposta a quella pratica
2) indicare tutti i testi che si rivolgono a un pubblico con intento estetico: i più belli sono definiti opere d’arte
3) indicare (in senso negativo) il contrario di un’opera d’arte o di un capolavoro
Resta ancora da fare una precisazione. Spesso il termine letteratura è impropriamente usato come sinonimo di poesia (e viceversa). In realtà il termine poesia4 indica una forma di scrittura letteraria che si avvale del verso, elemento discriminante per opporla alla prosa, un’altra forma di scrittura letteraria che utilizza invece il rigo.
Con il critico Benedetto Croce questi due termini hanno avuto una determinazione ancora più netta: nella sua Estetica egli arriva infatti a distinguere poesia e non poesia. La prima indica un’intuizione lirica pura, la seconda una scrittura che ha anche scopi pratici (per esempio rappresentare il gusto e la mentalità di una società o altri elementi simili). Seguendo quest’interpretazione la poesia si può manifestare in tutte le tecniche artistiche (se la poesia è un’intuizione lirica, si può parlare di poesia anche per la musica, il disegno, le arti figurative…), la seconda è invece propria di quella che egli chiama letteratura (indipendentemente dal modo di scrittura, riga o verso).
Va infine ricordato che ogni autore usa l’arte della retorica (o del bel dire) in modo personale: questo modo prende il nome di poetica ed è caratterizzato da stilemi, moduli linguistici originali e ricorrenti (per esempio uno stilema di Francesco Petrarca è l’uso del doppio aggettivo o coppia di aggettivi).
Questi stilemi sono oggetto di studio della stilistica, che mira a capire, attraverso di loro, l’anima di un autore. Usando una definizione del famoso linguista Fernand De Saussure si può infatti dire che all’interno della langue (nel nostro caso costituita dall’italiano) il singolo autore usa la parole, la “sua” lingua, quella che noi impareremo a conoscere insieme…
Note
1. Con il termine TESTO (dal latino textum, tessuto) indichiamo un insieme strutturato di parole: il vocabolo richiama dunque l’attenzione sui segni linguistici. Con il termine OPERA (dal latino opus, lavoro) indichiamo invece il prodotto di un’attività umana: il vocabolo si apre, dunque, anche ad altri elementi oltre ai segni linguistici (come, per esempio, la società, il periodo storico, le condizioni economiche… che possono aver lasciato traccia in questo prodotto).
Il termine testo, a seconda del contesto in cui è usato, può coincidere con un’intera opera o solo con una sua porzione. L’oggetto denominato testo od opera è sempre riconoscibile grazie a un titolo, che ne illustra brevemente un aspetto significativo (argomento, personaggi, ambientazione…).
2. Il calligramma è un componimento poetico in cui le parole sono disposte in modo da formare disegni e figure, spesso relative a ciò di cui si parla nel testo.
3. L’estetica è la parte della filosofia che definisce il concetto di Bello.
4. Il termine poesia deriva dal verbo greco ποιεῖν (poiein, fare): esso nell’antichità indicava degli oggetti fatti con le parole e che con le parole costruivano mondi, imitando aspetti del reale, come dipingendoli (celebre la definizione del poeta latino Orazio ut pictura poesis: “come (fa) la pittura così (fa) la poesia”).

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