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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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A tutti i giovani raccomando 

in TESTI / ALDA MERINI / L’ETA’ CONTEMPORANEA / LETTERATURA ITALIANA

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In una lirica inserita nella raccolta intitolata La vita facile, uscita postuma nel 1996, Alda Merini rivolge ai giovani un accorato appello, invitandoli a imparare ad amare la cultura e, in particolare, la poesia

1A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
5il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
10per tanti anni, non per costruirvi tombe
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà
quotidiana.

Da A. Merini, La vita facile, Bompiani, Milano

1A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
5il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
10per tanti anni, non per costruirvi tombe
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà
quotidiana.

Da A. Merini, La vita facile, Bompiani, Milano

Alda Merini, in questi versi, sceglie, per rivolgersi ai suoi interlocutori, i giovani (apertamente identificati fin dal primo verso della lirica), il modo imperativo, introdotto e sottolineato dal verbo raccomando: la perentorietà delle sue affermazioni è giustificata e legittimata dall’importanza del consiglio che la poetessa ha intenzione di dare loro.

Le sue parole, infatti, intendono avvicinarli ai libri e – per metonimia, la figura retorica che scambia concreto e astratto – alla cultura in generale: questo intento e questo invito non sono certamente per loro nuovi, in quanto i genitori e la scuola li indirizzano in questa direzione fin dai primi anni della loro vita. L’invito e l’intento della poetessa sono però diversi: ella, infatti, non si limita a ribadire raccomandazioni sicuramente già sentite, come quella di non guardare i libri superficialmente, ma li esorta a un approccio decisamente inconsueto, quello di aprirli con religione.

Questo termine, forte e inusuale in relazione ai libri, introduce nei versi l’area semantica del sacro, cui rimandano altri due vocaboli presenti nel testo, simulacri e altari: essi richiamano il rispetto e la devozione, invitando dunque i giovani ad avvicinare i libri non come raccolte di sterili nozioni ma come depositari di una sapienza antica, che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che deve essere considerata un nutrimento non solo della mente, ma anche – e soprattutto – dell’anima. Non è un caso che la poetessa abbia scelto, per indicare questa sapienza antica, il termine coraggio, significativamente messo in rilievo dall’enjambement, che ha sempre il compito di collocare in primo piano le parole chiave di una lirica: il coraggio identifica, infatti, la forza d’animo che permette di affrontare le situazioni pericolose, dolorose e difficili che caratterizzano l’esistenza, situazioni che i nostri padri hanno sperimentato prima di noi e che hanno superato o affrontato con atteggiamenti, pensieri e comportamenti che hanno voluto racchiudere con le loro parole proprio nei libri, che dunque costituiscono un’irrinunciabile eredità.    

In quest’ottica risulta particolarmente significativo anche l’invito a riporre i libri con dignità, un vocabolo oggi troppo spesso dimenticato: nella chiusura del libro con il rispetto che l’uomo deve a sé stesso e agli altri in virtù della sua condizione di essere umano si concretizza, infatti, il ringraziamento per ciò che i nostri padri ci hanno lasciato.

La sintassi prevalentemente paratattica e le frasi brevi che caratterizzano questi primi versi della lirica sono interrotti dal verso 8, Ma soprattutto amate i poeti: esso, collocato a metà del testo, sposta l’attenzione del lettore dalla conoscenza e dalla cultura alla poesia, spostamento – sottolineato in apertura di verso dalla forte congiunzione avversativa ma – che determina anche un cambio di modalità espressive. Da questo momento, infatti, l’imperativo e il tono solenne che avevano caratterizzato la prima parte della lirica sono sostituiti dal modo indicativo e da un approccio quasi sentimentale, la cui motivazione si coglie nel verso 12, quando la Merini muta il pronome essi del verso 10, che allude ai poeti, in un noi che lascia intendere la sua forte partecipazione emotiva a quanto afferma, in quanto autrice di versi: questa seconda parte non costituisce dunque un’opposizione a quanto detto in precedenza, ma piuttosto un approfondimento e un focus che si sposta sull’arte poetica, intesa come la forma più alta della cultura in generale e dell’espressione letteraria in particolare.

In questa seconda parte della lirica le affermazioni precettistiche lasciano così il posto a osservazioni argomentate (contenute nelle proposizioni subordinate), che vogliono convincere i giovani della bontà delle motivazioni sottese alle affermazioni della poetessa, nella convinzione che essi sapranno capirne e coglierne l’essenza.

La prima motivazione della necessità di avvicinarsi alla poesia è fornita con una similitudine implicita. I poeti sono infatti avvicinati ai contadini: come i contadini raccolgono il frutto della loro fatica dopo un duro lavoro (prima di trovarsi tra le mani il raccolto hanno dovuto vangare il terreno, seminarlo, irrigarlo, estirpare erbacce, proteggerlo dagli agenti atmosferici avversi…) così i poeti, dopo aver scavato nell’ungarettiano abisso della propria anima e dopo aver provato il montaliano male di vivere, ci consegnano i pensieri, le riflessioni, le parole che hanno raccolto, un’eredità preziosa che dobbiamo serbare con riverenza e ossequio, atteggiamenti spesso lontani – troppo! – dalle giovani generazioni. Con le loro parole i poeti non innalzano monumenti funebri o celebrativi, legati alla morte o alla dimensione terrena, ma altari, simbolo di elevazione morale e spirituale, quella di cui proprio i giovani, se affamati di ideali e di valori, possono fare l’uso migliore: il sacrificio e la fatica con cui queste parole sono state raccolte – chiariti dal riferimento al lavoro dei contadini, che si prolunga addirittura per anni – non possono non renderle care e preziose.

La seconda motivazione è celata nei versi conclusivi della lirica, ed è espressa da un’altra similitudine, questa volta esplicita, con i tappeti: i poeti sono presentati come coloro che spianano un percorso accidentato – quello della vita – stendendoci sopra dei morbidi tappeti che possono rendere più confortevole il cammino dei propri simili. Ma vi è di più. Al lettore attento non sfuggirà la scelta di un verbo, volare, che subentra al verbo camminare: i tappeti, dunque, non sono soltanto quelli che addolciscono il percorso, ma anche – e soprattutto – quelli volanti delle fiabe, che assegnano alla poesia il valore quasi magico che essa ha avuto nei tempi più lontani, quando veniva avvertita come lo strumento privilegiato per conoscere realtà inaccessibili all’uomo con i soli strumenti della ragione.

In una triste quotidianità (oggi più che mai spesso offesa e calpestata da un pensiero unico che rifugge dal confronto) i libri e la poesia elevano dunque lo spirito con un proficuo scambio di esperienze, permettendogli così di librarsi in un altrove che consola dal presente, che aiuta a comprenderlo, che porta lontano, che lenisce il dolore, che regala speranza, che pone domande e che dà risposte… Di questo dono dei poeti devono saper approfittare soprattutto i giovani, perché nessuno come loro deve avere il desiderio, la voglia e il coraggio di scommettere sulla vita, per camminare e volare sempre più in alto.  

La cultura e la poesia non sono solo un ponte tra passato e presente: come recita un pensiero di Bernardo di Chartres (che mi è così caro da averlo scelto, anni fa, come linea guida della Sofisteria) “noi siamo come nani sulle spalle dei giganti”, perché se possiamo vedere lontano è anche grazie alle parole che i nostri padri ci hanno lasciato.

La Sofisteria

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