Fr. 25 (30 e 31 West)
in TESTI \ ARCHILOCO \ POETI ELEGIACI E GIAMBICI \ LETTERATURA GRECA
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In questi due frammenti Archiloco descrive la bellezza di una giovane fanciulla.
ἔχουσα θαλλὸν μυρσίνης ἐτέρπετο
ῥοδῆς τε καλὸν ἄνθος,
……………………………
ἡ δὲ οἱ κόμη
ὤμους κατεσκίαζε καὶ μετάφρενα.
Ella si rallegrava di avere in mano un rametto di mirto
e il bel fiore del rosaio,
……………………………………
A lei la chioma
ombreggiava le spalle e la schiena.
(traduzione di A. Micheloni)
La giovane fanciulla descritta da Archiloco in questi versi si rallegra tenendo tra le mani un ramoscello di mirto e una rosa appena colta, forse il dono di un ammiratore (il poeta stesso?). Non si sa di preciso chi sia questa fanciulla: potrebbe essere la figlia più grande di Licambe, Neobùle, la ragazza amata dal poeta e protagonista del fr. 24 (οἴην Λυκάμβεω παῖδα τὴν ὑπερτέρην, come la figlia più grande di Licambe), oppure un’ etèra1, perché la rosa e il mirto erano sacri ad Afrodite, la dea dell’amore. Questa ipotesi sembra preferibile poiché Sinesio, un erudito e filosofo neoplatonico vissuto intorno al 400 d.C., cita i versi 3 – 4, nella sua opera intitolata Elogio della calvizie (XI, 75, b – c), proprio per descrivere il modo in cui si pettinavano le etère.
I lunghi capelli sciolti sulle spalle costituiscono un elemento di raffinata seduzione, proprio come il fiore che la giovane tiene tra le mani e come il suo sorriso, non esplicitamente descritto ma delicatamente suggerito dal verbo ἐτέρπετο.
La delicatezza di questa descrizione emerge dalla traduzione che il poeta Salvatore Quasimodo ha dato di questi versi:
Con una fronda di mirto giocava
ed una fresca rosa;
e la sua chioma
le ombrava lieve e gli omeri e le spalle.
S. Quasimodo, Lirici greci, Mondadori, Milano
Analisi del testo
METRO: trimetro giambico
ἔχουσα… ἐτέρπετο: consueta costruzione del verbo τέρπω (qui usato all’imperfetto medio) con il participio predicativo.
θαλλὸν: il sostantivo ha la radice del verbo θάλλω, che significa fiorire.
μυρσίνης: corrisponde all’attico μυρρίνης; il mirto, come detto, era sacro ad Afrodite e costituiva l’ornamento tipico delle etere.
καλὸν ἄνθος ῥοδῆς: una perifrasi per indicare la rosa, il bel fiore del rosaio che la fanciulla tiene tra le mani. Ammonio, un filosofo vissuto nel II secolo d.C., che costituisce un’altra fonte di questi versi, insieme a Sinesio, cita i primi due proprio per sottolineare la differenza che c’è tra i termini τὸ ρόδον, che indica il fiore della rosa, ἡ ῥοδή, la pianta di rose e ἡ ῥοδωνιά, il roseto.
οἱ: forma omerica per αὐτῇ.
ἡ δὲ κόμη: nella poesia di Archiloco non si trova quasi mai l’articolo con il suo valore proprio: esso, infatti, come accade in Omero, è quasi sempre utilizzato con il suo antico valore di dimostrativo. In questo caso, come sostiene Gallavotti, esso potrebbe essere stato inserito per la presenza del pronome οἱ, per creare l’espressione “e a lei la chioma”.
ὤμους κατεσκίαζε καὶ μετάφρενα: ricalca un’espressione omerica che si trova nel verso 528 dell’VIII libro dell’Odissea, all’interno di una similitudine che paragona Ulisse e il suo pianto a una donna che si getta piangente sul cadavere dello sposo appena ucciso, nonostante i nemici la colpiscano con le lance dietro la schiena e sulle spalle (κόπτοντες δούρεσσι μετάφρενον ἠδὲ καὶ ὤμους).
Note
1. Nel modo greco le etère erano delle cortigiane: esse, belle, raffinate ed eleganti, non offrivano solo prestazioni sessuali, ma anche intrattenimento, poiché sapevano danzare, cantare, conversare, in quanto molto preparate dal punto di vista culturale.
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