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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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La sacerdotessa

di Demetra

in SACERDOTESSE / EPITAFI… E DONNE /EPITAFI DI ETA’ ELLENISTICA DEDICATI A FIGURE FEMMINILI / APPROFONDIMENTI / LETTERATURA GRECA

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Nell’Antologia Palatina – un’importante raccolta di epigrammi greci compilata a Bisanzio attorno alla metà del X secolo – è attribuito al poeta Callimaco un epigramma (A. P. VII, 728) composto in memoria di una donna, vissuta nel III secolo a.C., che fu sacerdotessa e che morì anziana, circondata dall’affetto dei suoi figli.

1ἱερέη1 Δήμητρος ἐγώ ποτε καί πάλιν Καβείρων,
ὧνερ, καί μετέπειτα Δινδυμήνης,
ἡ γρηύς γενόμην, ἡ νῦν κόνις, ἥ Νο-υ-υ,
πολλῶν προστασίη νέων γυναικῶν.
5καί μοι τεκν’ ἐγένοντο δύ᾿ ἄρσενα, κἠπέμυσ᾽2 ἐκείνων
εὐγήρως ἐνί χερσίν. ἕρπε χαίρων.

1Io, un tempo sacerdotessa di Demetra e poi dei Cabiri,
o viandante, e in seguito di Dindimene,
divenni vecchia, e ora (sono) polvere, …
presidenza di molte giovani donne.
5Ebbi due figli maschi e morii di felice vecchiaia,
tra le loro braccia. Riprendi la strada sereno.

Traduzione di A. Micheloni

La donna a cui è dedicato quest’epitafio – il cui nome resta sconosciuto (forse perché compreso nella porzione di testo che ci è giunta lacunosa) – fu ministra, a quanto pare, di diversi culti: la presenza degli avverbi di tempo un tempo e poi fa pensare che questi incarichi non furono contemporanei, ma successivi gli uni agli altri.

Non sembra comportare difficoltà il fatto che la sacerdotessa sia passata dal servizio di una divinità femminile a quello di divinità maschili e viceversa: se infatti è vero che era preferibile che una dea fosse servita da una donna (poiché era idea diffusa che la divinità si compiacesse di ciò che le somigliava), è altrettanto vero che questo fatto non costituiva una regola fissa, come dimostra la figura della Pizia, portavoce di una divinità maschile perché in origine Delfi era un luogo di culto ctonio riservato alle donne. Questi tre culti, inoltre, erano tra loro collegati: in Beozia, per esempio, il culto dei Cabiri, protettori dei naviganti e dei marinai, era praticato insieme a quello di Demetra e quest’ultima aveva in comune con Dindimene (soprannome di Cibele, la Magna Mater asiatica) l’essere connessa con la terra e la natura. Si può dunque supporre che la sacerdotessa abbia servito, passando senza difficoltà dall’uno all’altro, tutti questi dei, accomunati anche dai riti misterici che ne caratterizzavano il culto.

Ora, divenuta prima anziana e poi polvere, ricorda al viandante, dopo qualcosa che ci sfugge (come detto, forse il suo nome), di essere stata la presidentessa di gruppi di giovani donne. È sicuramente questo il punto più controverso e complesso dell’epigramma. Callimaco usa qui, infatti, un termine particolare, προστασίη, cioè fa uso dell’astratto (presidenza) per il concreto (presidentessa). Sebbene questa prassi sia documentata anche per altri autori (per esempio Platone – Phaedr. 228 d – usa l’astratto φιλότης, amicizia, per il concreto φίλος, amico), è più probabile che nel nostro caso Callimaco sia stato costretto a usare il termine astratto perché prima di lui nessuno, a quanto pare, aveva mai usato il femminile di προστάτης, presidente. Anche questa è una chiara dimostrazione di quanto abbiamo visto insieme nella parte introduttiva di questo corso: mentre il termine maschile è vivo per tutta la grecità e attestato tanto nei papiri quanto nei testi classici, il corrispondente femminile, προστάτις, è raro fino all’età ellenistica, perché fino a quel momento le donne erano state escluse da questo prestigioso incarico.

Sulla base di queste osservazioni è facile supporre che Callimaco abbia preferito a un vocabolo probabilmente nuovo l’uso, già attestato, dell’astratto per il concreto, ma è difficile capire che cosa egli intenda dire con questo termine. Esso, infatti, è frequentemente usato nel senso di protettrice per concetti ed entità astratte o come attributo di divinità: Pausania (II 11,3), per esempio, ci attesta che προστασία era un epiteto usato a Pyraea, vicino a Sicione, un’antica città del Peloponneso, proprio per Demetra. Ma il contesto dell’epigramma impone che il termine debba essere riferito alla sacerdotessa, che dunque esercitava probabilmente sulle giovani donne una sorta di protezione e patronato, educandole ai principi (religiosi e non) del matrimonio. Demetra è infatti spesso connessa al matrimonio: in Beozia, per esempio, era diffuso il culto di Demetra Thesmophoros (legislatrice) di colei cioè che rendeva possibili le unioni stabili e presiedeva alla vita della donna sposata; in un epigramma di Asclepiade (A.P. V, 150) Nicò giura al poeta che lo raggiungerà a casa sua chiamando a testimone proprio Demetra Thesmophoros. È quindi possibile ipotizzare che la sacerdotessa sia stata una sorta di presidentessa di un gruppo di donne, forse di Cirene. Che poi queste donne dovessero essere spose promesse piuttosto che spose novelle resta da discutere, poiché l’opinione che qui si tratti di donne appena maritate (visto l’aggettivo giovani e considerata appunto la giovane età in cui le donne andavano spose) è confortata solo dagli ultimi versi dell’inno callimacheo a Demetra, dove la dea è detta propizia, tra le altre, alle donne incinte. Dato comunque che si parla o di fidanzate o di recenti spose è probabile che i singoli gruppetti si alternassero rapidamente e che quindi l’aggettivo πολλῶν non si riferisca al numero delle fanciulle ma ai gruppi che si succedevano l’un l’altro.

L’essere stata una προστάτις e una sacerdotessa non impedì a questa donna di essere anche una buona madre: essa ricorda infatti i figli, orgogliosa di essere morta di felice vecchiaia tra le loro braccia. Secondo Aristotele (Rhet. 1361 b 15) la vecchiaia si può dire serena quando avanza senza affanni e senza preoccupazioni: si può quindi pensare che l’aver rivestito cariche così prestigiose come la προστασία e il sacerdozio fosse solo uno dei motivi di soddisfazione della donna e che, altrettanto importante, sia stata la sua condizione di madre. L’affetto che essa dimostra nei confronti dei figli doveva essere ugualmente ricambiato, dal momento che furono probabilmente loro a farle erigere la tomba e a far scrivere per lei parole così dense di significato.

Il saluto rivolto al viandante conclude, con la tipica formula beneaugurale, l’epitafio di questa anziana sacerdotessa.

Note

1. Ἱερέη è la forma che ricorre nelle iscrizioni in attico del III secolo a. C. al posto del più comune ἱέρεια.
2. La scelta del verbo ἐπιμύω appare piuttosto ricercata ed originale, visto che esso è usato nel significato di morire dal solo Callimaco.
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