A.P. V, 210
in TESTI / ASCLEPIADE / LA SCUOLA IONICO – ALESSANDRINA / POESIA EPIGRAMMATICA / LETTERATURA GRECA
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In questo epigramma Asclepiade confessa il suo amore per Didime, bellezza esotica…
1 Τωθασμῷ Διδύμη με συνήρπασεν· ὤμοι, ἐγὼ δὲ
τήκομαι, ὡς κηρὸς πὰρ πυρί, κάλλος ὁρῶν.
3 Εἰ δὲ μέλαινα, τί τοῦτο; καὶ ἄνθρακες· ἀλλ᾽ ὅτε κείνους
θάλψωμεν, λάμπουσ᾽ ὡς ῥόδεαι κάλυκες.
Con i (suoi) scherzi Didime mi ha rapito (il cuore): ahimè, io
mi sciolgo, come cera al fuoco, vedendo(ne) la bellezza.
Se poi (è) nera, che (importa) questo? Anche i carboni (sono neri): ma quando li
abbiamo accesi, splendono (rossi) come corolle di rosa.
(traduzione di A. Micheloni)
Il poeta Asclepiade non ama descrivere le donne di cui si innamora: di Ermione, Archeanassa, Eraclea, Pizia… sappiamo infatti pochissimo, spesso un breve cenno sull’aspetto fisico o sul carattere, che è però sufficiente a identificarle e a renderle uniche.
In questi pochi versi, per esempio, Asclepiade fa solo un rapido accenno al carattere giocoso di Didime e, soprattutto, alla sua pelle scura, che gli offre lo spunto per un duplice paragone: essa, infatti, nell’ombra diventa incandescente, proprio come dei carboni ardenti; il rosso di cui si colora è particolarmente acceso, come quello delle rose in fiore. Nessuna meraviglia, dunque, che il poeta si sciolga rapito dalla sua bellezza, un concetto espresso facendo ricorso, ancora una volta, a un paragone – quello della cera che si scioglie al fuoco – che si ritrova anche in altri poeti greci ellenistici (per esempio in Pindaro, fr.123 Maehler, Teocrito, Idillio II e Meleagro, A.P. XII, 72).
L’ardente sensualità e la passione che traspaiono da questi versi caratterizzano molti componimenti di Asclepiade, che celebrano un amore che brucia senza ieri e senza domani, solo come un breve attimo di presente. La bella Didime, con la sua gioia di vivere, ha rapito il cuore del poeta: il tema del furto del cuore, che allude sia alla repentinità dell’innamoramento che alla breve gioia legata alle avventure d’amore, è del tutto conforme alla visione della vita di questo poeta, convinto che la logica del carpe diem sia l’unico vero rimedio alla caducità dell’esistenza umana.
Ma l’elemento più interessante di questi versi è senza dubbio la difesa della bellezza di Didime: la sua pelle scura non risponde, infatti, ai canoni della bellezza femminile tipici del mondo greco, che privilegiava un incarnato candido e roseo. L’età ellenistica, caratterizzata da nuovi scambi e relazioni tra popoli e gruppi sociali, impara però ben presto a creare inediti ideali di bellezza: Asclepiade, per esempio, trasforma la pelle nera e lucente di Didime in un potente strumento di seduzione, capace di ardere – e di far ardere – come il fuoco.
L’elogio del colore scuro della pelle compare altre volte nella letteratura antica: esso si ritrova infatti anche nell’Idillio X del poeta Teocrito, che esalta la bellezza della siriana Bombica, per tutti gli altri bruciata dal gran sole, ma per l’innamorato del color del miele. Del resto, egli continua, anche viole e giacinti hanno un colore scuro, eppure sono scelti per fare le ghirlande. Queste stesse immagini si ritrovano nel IV libro del De rerum natura di Lucrezio (che, al verso 1160, dice che una donna nera ha il colore del miele) e in Virgilio, che nelle sue Egloghe interviene per ben due volte sull’argomento (nella II, al verso 16, in cui invita a non dare troppa importanza al colore, opponendo il niger al candidus, e nella X, ai versi 38 – 39, in cui viene esaltata la bellezza del colore scuro delle viole e dei giacinti).
Analisi del testo
METRO: distico elegiaco
Τωθασμῷ: la collocazione all’inizio di verso di questo dativo strumentale (preferibile al tràdito τῷ θαλλῷ) fa in modo che esso abbia il massimo risalto, per far capire che il fascino di Didime dipende anche dalla sua passione per gli scherzi e dalla sua gioia di vivere, oltre che dalla sua bellezza.
συνήρπασεν: terza persona singolare dell’aoristo primo (o debole) del verbo συναρπάζω, che allude al furto del cuore dovuto all’innamoramento. La scelta dell’aoristo è determinata dal valore puntuativo dell’azione, perché con una donna così bella il furto del cuore avviene con grande rapidità.
ὤμοι: l’interiezione suggerisce la presenza, nel sentimento d’amore, di una vena di sofferenza e di malinconia, che ben si sposa con la visione della vita di Asclepiade.
τήκομαι: in questo caso il verbo assume un valore metaforico; esso, enfatizzato dalla presenza, nello stesso verso, del termine fuoco, richiama l’area semantica del calore, uno degli effetti della passione d’amore.
πὰρ: l’apocope di παρά è determinata da esigenze metriche. Da notare l’allitterazione di questa preposizione con πυρί, che crea quasi un effetto onomatopeico, riproducendo lo scoppiettio del fuoco.
ὁρῶν: participio congiunto al soggetto ἐγὼ, che è stato espresso perché abbia maggior rilievo: di solito, infatti, i soggetti costituiti da pronomi personali non sono esplicitati.
Εἰ δὲ μέλαινα: nella protasi del periodo ipotetico è sottinteso il verbo ἐστίν.
καὶ: è da intendere con valore intensivo.
ἄνθρακες: sono sottintesi il verbo essere e la parte nominale (μέλανές εἰσιν), facilmente ricavabili dalla proposizione precedente. Da questo termine greco deriva il nostro antracite, che indica un tipo di carbone fossile particolarmente scuro e lucente, in grado di sprigionare un alto potere calorifico.
ὅτε κείνους θάλψωμεν: subordinata temporale – condizionale, in cui il più prevedibile ὅταν è stato sostituito da ὅτε, probabilmente per motivi metrici; la sfumatura di eventualità è messa in evidenza dalla presenza del congiuntivo aoristo del verbo θάλπω, usato alla prima persona plurale per indicare che questa esperienza è facilmente verificabile da tutti. Questo verbo riprende, inoltre, l’area semantica del calore, già incontrata nei versi precedenti.
ῥόδεαι: è il nominativo femminile plurale dell’aggettivo ῥόδεος, rosato (più frequente nella forma contratta ῥoδαῖ).
κάλυκες: il termine κάλυξ, che indica il calice di fiori e frutti, è passato nella nostra lingua con questo stesso significato; è stato poi usato per identificare anche una particolare forma di bicchiere.
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