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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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A.P. V, 189

in TESTI / ASCLEPIADE / LA SCUOLA IONICO – ALESSANDRINA / POESIA EPIGRAMMATICA / LETTERATURA GRECA

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Asclepiade ha un appuntamento con una ragazza, ma quella che racconta in questi versi non è decisamente la sua serata fortunata

1    Νὺξ μακρὴ καὶ χεῖμα, μέσην δ᾽ ἐπὶ Πλειάδα δύνει,
      κἀγὼ πὰρ προθύροις νίσσομαι ὑόμενος,
3    τρωθεὶς τῆς δολίης κείνης πόθῳ· οὐ γὰρ ἔρωτα
      Κύπρις, ἀνιηρὸν δ᾽ ἐκ πυρὸς ἦκε βέλος.

Lunga (è) la notte ed (è) inverno, (la notte) cala in mezzo alle Pleiadi,
e io davanti alla porta cammino su e giù, fradicio di pioggia,
ferito dal desiderio di quella bugiarda: non amore infatti,
ma una crudele freccia di fuoco mi ha scagliato Cipride.

(traduzione di A. Micheloni)

Il poeta Asclepiade passeggia fradicio di pioggia, infreddolito e arrabbiato davanti alla porta di casa di una ragazza – di cui non conosciamo il nome – che lo ha lasciato chiuso fuori, abbondonandolo al freddo e al gelo di una lunga notte d’inverno, quando nel cielo ci sono le Pleiadi, un gruppo di stelle particolarmente visibili tra la metà dell’inverno e l’inizio della primavera.

La scena descritta, in realtà, fa parte di un repertorio di situazioni convenzionali che riguardano l’innamoramento: essa, attestata già nel VI secolo a. C. nel frammento 374 Voigt del poeta Alceo, non solo si ritrova nei versi di molti poeti ellenistici (per esempio in quelli di Callimaco, che in A.P. V, 23 augura a Conopio, la donna senza cuore che lo lascia chiuso fuori dalla sua porta di casa, di poter subire lo stesso destino), ma ha anche un nome che la codifica, παρακλαυσίθυρον (paraklausìzuron), “lamento davanti alla porta”, un hapax legomenon (cioè un vocabolo che si incontra solo una volta in una lingua) attestato nell’Amatorius di Plutarco e scelto dagli studiosi moderni per identificare questa situazione letteraria.

L’enorme fortuna di questo tema ha fatto sì che esso passasse dalla letteratura greca a quella latina: dopo la prima attestazione, nella commedia Curculio di Plauto (vv.145 -147), se ne trovano esempi particolarmente ben riusciti nella poesia dell’età augustea, in particolare nel carme III del poeta Orazio, nel carme I, 2 di Tibullo e nel carme I, 16 di Properzio, che descrivono, proprio come fa Asclepiade, le pene di un exclusus amator (innamorato respinto), che si trova spesso, come in questi versi, al freddo e al gelo davanti alla porta chiusa dell’amata (porta che in Properzio viene personificata e prende addirittura la parola per riferire le suppliche e le lamentele degli innamorati delusi che le sostano davanti).

Questo tema non restò prigioniero dei versi dei grandi poeti: il CIL riporta infatti un’iscrizione (IV, 1893), fatta su un muro di Pompei, che sembra echeggiare proprio questo tema (tratto dai versi di Ovidio e di Properzio, ma rivisitato in chiave popolare, giacché esso diventa un prezioso consiglio su come si possa ottenere qualche dono in più da un innamorato…):

surda sit oranti tua ianua, laxa ferenti,
audiat exclusi verba receptus amans

 

la tua porta sia sorda per chi implora, aperta per chi porta (doni),
l’amante che è stato accolto (in casa) senta le parole di colui che è stato chiuso fuori

Anche il riferimento alla mancata sincerità della donna e alla dolorosa freccia infuocata scagliata da Afrodite rientrano nelle immagini tipiche con cui si descrive l’innamoramento: la donna in molti epigrammi d’amore presenti nell’Antologia Palatina viene infatti accusata di essere bugiarda perché non mantiene le promesse d’amore con cui seduce i malcapitati che cadono vittima del suo fascino; la metafora della freccia e del fuoco – già presente nella Medea, nelle Troiane e nell’Ippolito di Euripide – si ritrova nei versi del poeta Meleagro (A.P. XII, 43) e della poetessa Saffo (fr. 31), ma anche nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (dove, nel terzo libro, Eros, armato di arco e frecce, colpisce Medea dritto al cuore).

Merita infine un accenno la descrizione del notturno invernale, a cui sono dedicati i primi due versi. Asclepiade infatti, a differenza degli autori dell’Ellenismo, non ama soffermarsi sulla descrizione dei paesaggi e della natura: in questi versi anch’egli cede alla descrizione, ma sceglie una notte senza luna, cupa e tempestosa, con folate di vento e di pioggia. Quella descritta è dunque una natura “romantica” nel senso letterario del termine, una natura, cioè, che condivide con l’io poetico sensazioni e stati d’animo, come era già successo nei versi del frammento 168 B Voigt della poetessa Saffo, che sicuramente Asclepiade conosceva bene, come testimonia il comune riferimento alle Pleiadi (È tramontata la luna con le Pleiadi, e la notte è al mezzo, e il tempo passa, e io dormo sola).

Analisi del testo

METRO: distico elegiaco

Mακρὴ: corrisponde all’attico μακρά; è stato sottinteso il verbo ἐστί. La notte è definita lunga non solo perché le notti invernali sono più lunghe di quelle estive, ma anche – e soprattutto – perché viene trascorsa all’addiaccio. La connotazione è dunque più sentimentale che reale.

ἐπὶ… δύνει: è riconoscibile una tmesi, cioè il distacco della preposizione ἐπὶ dal verbo con cui è composta, δύνω, che equivale al più frequente δύω. L’espressione costituisce una citazione omerica, poiché presente, per esempio, in Iliade V, 811 e Odissea XII, 93. La corretta interpretazione della porzione di verso μέσην δ᾽ ἐπὶ Πλειάδα δύνει è oggetto di discussione: con Giangrande ipotizziamo che il soggetto sia ancora la notte che apre il verso.

κἀγὼ: crasi per καὶ ἐγὼ, riconoscibile per la presenza della coronide sulla alfa.

πὰρ: l’apocope di παρά è determinata da esigenze metriche; la preposizione forma un complemento di luogo con il dativo προθύροις, che indica lo spazio antistante alla porta esterna di una casa.

νίσσομαι: attestato anche nella forma νίσομαι, è un verbo di uso tipicamente epico.

ὑόμενος: participio presente dal verbo ὕω, congiunto al soggetto e con valore passivo.

τρωθεὶς: participio aoristo passivo da τιτρώσκω, sempre congiunto al soggetto; in questo caso il verbo è stato usato in senso metaforico, per alludere al tema della ferita d’amore. È accompagnato dal complemento di causa efficiente πόθῳ.

δολίης κείνης: : quest’espressione corrisponde all’attico δολίας ἐκείνης. Secondo alcuni critici – Gow, Page e il mio indimenticato Maestro, Giovanni Tarditi – l’aggettivo κείνης è la corruzione di un nome proprio, Ἑλένης, perché sembra strano che Asclepiade in questo testo non abbia menzionato il nome della donna amata, come invece succede in molti altri suoi carmi. Tale ipotesi è sostenuta anche dal fatto che la lezione Ἑλένης è presente nella Planudea, un’antologia in sette libri realizzata dal monaco bizantino Massimo Planude tra il 1299 e il 1301, di cui possediamo l’originale autografo, conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia.

Κύπρις: è uno degli appellativi di Afrodite, la dea dell’amore, particolarmente venerata nell’isola di Cipro.

ἀνιηρὸν: questo aggettivo corrisponde all’attico ἀνιαρόν e deriva dal sostantivo νία, che designa l’angoscia e il tormento causati dall’amore.

ἐκ πυρὸς: può essere inteso sia come complemento di materia che di causa; il calore del fuoco crea un effetto quasi ossimorico con il freddo che patisce il poeta (che all’interno arde d’amore ma all’esterno trema di freddo per le intemperie).

ἦκε βέλος: anche questa è, come il verbo δύω, una citazione omerica: l’espressione βέλος ἦκε (qui invertita per motivi metrici) si ritrova infatti nel IV e nel XV libro dell’Iliade, rispettivamente ai versi 498 e 575.

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