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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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A.P. V, 170

in TESTI \ NOSSIDE \ LA SCUOLA DORICA \ LA POESIA EPIGRAMMATICA\ LETTERATURA GRECA

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In questo epigramma la poetessa Nosside celebra la bellezza del sentimento d’amore…

1 “ Ἅδιον οὐδὲν ἔρωτος, ἃ δ᾽ ὄλβια, δεύτερα πάντα
     ἐστίν· ἀπὸ στόματος δ᾽ ἔπτυσα καὶ τὸ μέλι”.
3   τοῦτο λέγει Νοσσίς· τίνα δ᾽ ἁ Κύπρις οὐκ ἐφίλασεν
      οὐκ οἶδεν κήνα γ᾽ ἄνθεα ποῖα ῥόδα.

Niente è più dolce dell’amore, ciò che (è ritenuto) gioioso, (è) tutto
dopo di lui: dalla bocca sputo persino il miele”.
Questo dice Nosside: chi Cipride non ha amato
non sa quali rose (siano) i suoi fiori.

(traduzione di A. Micheloni)

Il genere letterario dell’epigramma costituisce un raffinato gioco poetico: esso infatti affronta diversi argomenti, in pochi versi, con una scrittura preziosa e ricercata. In questo, che si trova in una delle più importanti fonti che abbiamo a disposizione per conoscere la poesia greca, l’Antologia Palatina, una raccolta di circa 3700 testi composta attorno al X secolo, la poetessa Nosside di Locri vuole affermare ciò che ritiene una indiscutibile verità: non c’è sentimento più dolce dell’amore. Questa convinzione è così forte che Nosside ritiene opportuno sigillare i versi con la sua firma: lei, che ha conosciuto l’amore e che si sente vicina alla grande poetessa Saffo, può provare solo un misto di pietà e di disprezzo per chi non ha avuto la fortuna di sperimentare il dono di Afrodite, la dea dell’amore originaria dell’isola di Cipro (di qui l’epiteto Cipride).

La dolcezza e la bellezza dell’amore sono esemplificati con due termini, il miele e le rose, particolarmente significativi.

Le parole che escono dalla bocca di Nosside, quando è innamorata, sono più dolci persino del miele, il cibo caro agli dei che, sembrando amaro al confronto, viene sputato dalla sua bocca. Del resto un altro famoso poeta ellenistico, Meleagro, scrisse, parlando di questa poetessa, che sulle sue tavolette Eros in persona spalmò la cera, proprio per mettere in evidenza che i testi d’amore da lei composti si distinguevano per la dolcezza dei contenuti e delle forme poetiche. Risulta particolarmente interessante il fatto che Nosside sottolinei solo il lato dolce dell’esperienza d’amore: il suo modello di riferimento, infatti, la poetessa Saffo, in molti dei suoi testi non esita a cantare non solo le gioie ma soprattutto i tormenti che esso provoca nell’amante.

Il secondo elemento citato nel testo sono le rose. Non è del tutto chiaro che cosa la poetessa voglia intendere con questi fiori: le possibili interpretazioni sono infatti due. La prima considera le rose il dono della dea Afrodite, il cui culto era particolarmente diffuso a Locri: la rosa, dunque, fiore sacro ad Afrodite, diventa nei versi il simbolo del sentimento che la dea ispira. La seconda ipotesi, sostenuta dagli illustri studiosi Gow e Page, propone di intendere le rose come un’allusione alle qualità di amante di Nosside, che secondo loro potrebbe essere stata un’etèra, cioè una cortigiana (donne belle, raffinati ed eleganti che non offrivano solo prestazioni sessuali ma anche intrattenimento, poiché sapevano danzare, cantare, conversare, scrivere versi…); questa ipotesi potrebbe essere avvalorata anche dal fatto che spesso le etère si cospargevano il corpo di miele, che quindi non sarebbe stato citato a caso in questi versi. In realtà Nosside era, probabilmente, una ricca aristocratica che si occupava del culto di Afrodite: per questo motivo pare più corretto seguire la prima interpretazione e intendere le rose come una delicata allusione al sentimento d’amore e non come un implicito riferimento al leggiadro corpo della poetessa e alle sue capacità di seduzione…

La determinazione nell’aprirsi all’amore e nel farne il fulcro della propria poesia fa sì che questo testo possa essere considerato il manifesto poetico di Nosside, cioè il testo in cui un poeta espone la sua idea di poesia, i contenuti e le modalità della propria scrittura. In realtà degli undici epigrammi che le sono stati attribuiti con certezza (secondo altri studiosi dodici) solo questo parla d’amore: ciò ci fa supporre che gran parte della produzione della poetessa sia andata perduta. Ma se questo è un documento di poetica è allora possibile una terza interpretazione delle rose di cui si parla nel testo: esse non alluderebbero né al sentimento d’amore (perché l’immagine risulta piuttosto scontata), né al leggiadro corpo di Nosside o alle sue qualità di amante (perché non fu un’etèra), ma piuttosto ai componimenti che l’amore detta alla poetessa, cui si riferirebbe il κήνα (“di lei”, non di Afrodite, ma di Nosside). L’ultimo verso dovrà pertanto essere tradotto così: chi Cipride non ha amato non sa quali rose (siano) i fiori (cioè le poesie) di Nosside, perché chi non ha provato l’amore non può comprendere i suoi versi, evidentemente composti per celebrare questo sentimento…

Analisi del testo

METRO: distico elegiaco

Ἅδιον: questa forma, dorica, corrisponde all’attico ἣδιον; è il comparativo neutro singolare dell’aggettivo ἡδύς, riferito a οὐδὲν.

ἔρωτος: il genitivo ha la funzione di secondo termine di paragone.

ἐστίν: il verbo è usato al singolare, secondo la regola del cosiddetto schema attico, perché il soggetto neutro plurale può avere il verbo espresso alla terza persona sia singolare che plurale: questo perché la desinenza di neutro plurale era anticamente quella di un singolare collettivo e richiedeva, pertanto, il verbo al singolare (gli alberi fioriscono = l’insieme degli alberi fiorisce).

ἔπτυσα: è da intendere come un aoristo gnomico, perché indica un fatto accaduto in passato ma che può ripetersi ancora: proprio per questo si traduce con il presente.

τοῦτο λέγει Νοσσίς: l’espressione costituisce la cosiddetta σφραγίς, cioè il sigillo dell’autore: con questa pratica egli si identifica apertamene (a volte, invece, anche in modo implicito, per esempio con un acrostico), per attestare la paternità di quanto scritto, per dare forza alle sue parole, per tutelare la propria produzione…

τίνα: ha valore di pronome relativo, come attestato in altri epigrammi, per esempio di Callimaco.

ἁ: corrisponde all’attico ἡ; è la forma dorica dell’articolo singolare femminile in caso nominativo.

ἐφίλασεν: corrisponde all’attico ἐφίλησεν; in questo caso l’aoristo può avere una sfumatura ingressiva, cioè sottolineare il momento in cui si ha il passaggio da una condizione a un’altra (per alludere alla fase dell’innamoramento, quando le emozioni sono vissute in modo particolarmente intenso).

κήνα: corrisponde all’attico ἐκείνης. Il genitivo di questo pronome dimostrativo – che, come visto, può essere riferito ad Afrodite o a Nosside, a seconda delle interpretazioni del verso – è usato per indicare il possesso.

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LA POESIA EPIGRAMMATICA in LETTERATURA GRECA

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