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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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Il presepio

in TESTI / GABRIELE D’ANNUNZIO / TRA OTTOCENTO E NOVECENTO / LETTERATURA ITALIANA

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La poesia di Gabriele D’Annunzio non è fatta solo di toni e di parole roboanti da vate: essa sa farsi anche intima e semplice, per celebrare una figura cara, il calore della famiglia e i buoni sentimenti che si esprimono al meglio in occasione del Natale…

1A Ceppo si faceva un presepino
con la sua brava stella inargentata,
coi Magi, coi pastori, per benino,
e la campagna tutta infarinata.

5La sera io recitavo un sermoncino
con una voce da messa cantata,
e per quel mio garbetto birichino
buscavo baci e pezzi di schiacciata.

10Poi verso tardi tu m’accompagnavi
alla nanna con dir: “Stanotte l’Angelo
ti porterà chi sa che bei regali!” …

E mentre i sogni m’arridean soavi,
tu piano piano mi venivi a mettere
confetti e soldarelli fra’ guanciali.

G. D’Annunzio, In memoriam, XIV, Tipografia Niccolai

Gabriele D’Annunzio amava molto festeggiare il Natale: questa festa gli dava infatti modo di ostentare le sue ricchezze e il suo culto del bello non solo riempiendo la casa di addobbi e di luci, ma anche facendo doni a tutti. Alla festività del Natale D’Annunzio dedicò alcuni racconti usciti nel 1916, Le favole del Natale, e delle liriche, tra cui questo sonetto, che lo ritrae bambino.

In questi versi, infatti, Gabriele D’Annunzio apre il baule dei ricordi e vi trova quello del Natale, che egli era solito trascorrere con i parenti, in particolare con la nonna paterna, Anna Giuseppa Lolli, che viveva a Ceppo, una località montana ai piedi dei Monti della Laga, in Abruzzo, in provincia di Teramo. D’Annunzio ebbe con lei un legame molto forte e autentico, che lo spinse a ritrarla anche in altri versi, come quelli di La nonna, pubblicati per la prima volta nel 1881 sul Gazzettino letterario, dove la descrive intenta a fare la maglia mentre gli racconta il Drago azzurro e il Guerrier Moschino. Alla sua memoria il poeta dedicò un opuscolo in versi intitolato In memoriam – composto tra il 1879 e il 1880 e stampato in sole cento copie – da cui è tratta questa lirica, che fa rivivere la magia del Natale trascorso in sua compagnia.

L’atmosfera del Natale celebrato a Ceppo è serena e dimessa, fatta di piccole cose e di piccoli gesti. Anche il presepio che D’Annunzio rievoca in questi versi – e che dà il titolo al componimento – appare ben lontano dagli sfarzi e dai lussi di cui egli amò circondarsi una volta diventato adulto: si tratta, infatti, di un presepino di cartapesta, realizzato alla buona, come si usava un tempo, con la farina bianca per fare la neve e una stella di carta argentata. In questo presepio si muovono le figure della tradizione, i pastori (che saranno protagonisti di ben altri versi, quelli di Settembre) e i Magi.

Al piccolo D’Annunzio tocca il ruolo tipico di ogni bambino nella sera della Vigilia: egli è infatti chiamato a recitare la poesia (il sermoncino) che ha diligentemente imparato a memoria. Ma D’Annunzio, a dispetto della giovane età, è già un piccolo oratore: eccolo così esibirsi compiaciuto con una voce da messa cantata e con un garbetto birichino, sicuro di ricevere il plauso degli ascoltatori e qualche bel premio (baci e pezzi di schiacciata), solo un piccolo anticipo dei regali promessi dalla voce della nonna (Stanotte l’Angelo ti porterà chi sa che bei regali!) mentre lo accompagna a dormire.

E così il bambino si addormenta e sogna dei sogni pieni di speranza, mentre la nonna assolve silenziosa al suo ruolo di donatrice, divenuta una sorta di donna angelo che gli pone accanto al cuscino confetti e soldini.

Il vero significato della lirica è tutto in questo dono che nasce dall’amore di una nonna: il bambino Gabriele dorme sereno nel suo lettino proprio come Gesù ha dormito nella sua mangiatoia; il bambino Gabriele è amato dalla nonna che veglia su di lui proprio come Gesù era vegliato, nel sonno, da Maria. L’immagine dei due bambini dormienti celebra, più che la festa del Natale, l’amore che lega tra loro le creature e che costituisce il dono più grande che ancora oggi possiamo farci.

Merita una breve osservazione anche la forma. D’Annunzio, quando scrive questi versi, è ancora un giovane poeta inesperto: egli mostra però già i tratti distintivi del suo stile, poiché sperimenta, per questo sonetto in rima di versi endecasillabi, una lingua composita, che unisce un lessico alto (il verbo m’arridean, l’accostamento inusuale di verso a tardi), vocaboli quotidiani (buscavo al posto di prendere, nanna, piano piano…), vezzeggiativi (presepino, sermoncino, garbetto, soldarelli…) e modi di dire del parlato (la sua brava stella inargentata, per benino, voce da messa cantata…), che hanno il compito di ricreare uno stile da filastrocca… dannunziana, di una filastrocca, cioè, che nasce da quella ricercatezza e sperimentazione che già raccontano i sogni  soavi di un piccolo bambino che sarà destinato a diventare un grande poeta…

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