Vir e homo
In “SINONIMI” / LESSICO / GRAMMATICA LATINA
La lingua latina possiede due termini per indicare l’uomo: vir e homo.
Vir appartiene alla seconda declinazione, ha la vocale i sempre breve ed è l’unico sostantivo della declinazione con uscita in –ir; homo fa invece parte del primo gruppo della terza declinazione, in quanto imparisillabo con una sola consonante davanti all’uscita -is del genitivo singolare (homo, hominis).
Il significato di vir (da far probabilmente risalire a una forma *wiro, presente nelle lingue osco – umbre) è sia quello di “uomo adulto”, distinto dal ragazzo (puer) sia, soprattutto, di “uomo (maschio)”, distinto, quindi, dalla donna (femina, mulier). In questa accezione il vocabolo assume tutte quelle connotazioni che secondo i Romani – con un pregiudizio che oggi definiremmo maschilista – erano prerogativa dell’essere umano di sesso maschile: la forza fisica, la forza d’animo e il coraggio. Non a caso questo termine ha dato origine al sostantivo della terza declinazione virago (mantenutosi identico nel passaggio alla nostra lingua), che indica una “donna guerriera”, una donna, cioè, che ha la stessa forza fisica, lo stesso coraggio e la stessa capacità combattiva di un uomo.
Da vir deriva il sostantivo virtus, virtutis – appartenente al primo gruppo della terza declinazione – che ha come significato di base “valore militare” e “coraggio”, entrambi chiaramente riferibili all’uomo nella sua accezione di eroe combattente; solo in un secondo tempo – per influsso della filosofia greca e per la necessità di trovare un equivalente della parola greca areté – virtus passò a indicare delle qualità morali – la rettitudine, l’onestà, la serietà, la pietà, la costanza, la generosità…-, sia maschili che femminili.
Il significato di homo è invece, quello di “essere umano” (di solito maschio, ma senza una particolare insistenza sul sesso o sull’età), cioè di un appartenente alla specie umana: una creatura, quindi, distinta sia dagli dei (la parola homo è connessa con il vocabolo della seconda declinazione humus, humi, terra, da cui il valore di creatura terrena, non celeste) sia dalle bestie. Homo esprime dunque la nozione di umanità intesa come debolezza e limitatezza in confronto alla potenza degli dei, ma anche come mancanza di ferocia e di forza bestiale e, al contrario, come possesso di intelligenza, senso della misura, capacità di autocontrollo…, prerogative che lo rendono differente dalle belve. Proprio a causa della sua indeterminatezza questo sostantivo è spesso precisato da un aggettivo: homo senex, per esempio, è l’anziano, homo servus lo schiavo, homines equites i cavalieri… Gli studiosi non sono ancora riusciti a stabilire una connessione etimologica chiara fra homo e l’aggettivo humanus, a, um (da cui deriva il sostantivo femminile humanitas, – atis, “cultura, educazione, civiltà” …), ma certamente i Romani sentivano humanus come un aggettivo che aveva a che fare con homo: sempre nell’ottica della duplice distinzione di “lontano dagli dei e dalle bestie” humanus può infatti significare “con le debolezze umane” oppure “gentile”.
Un’analoga distinzione tra i vocaboli che indicano l’uomo si trova anche in greco, dove a vir corrisponde ἀνήρ (anèr) (da cui – non a caso – deriva anche il vocabolo ἀνδρεία (andreia) il coraggio, che corrisponde a virtus), e a homo ἂνθρωπος (ànthropos).
Vir non ha avuto continuatori in nessuna lingua derivata dal latino, perché quasi tutte le parole monosillabiche sono andate perdute nel passaggio dal latino al volgare: se ne trova traccia nell’aggettivo virile e nel sostantivo virilità, che definiscono tutto ciò che appartiene al maschio. I derivati di homo – come l’italiano uomo – hanno dunque preso su di sé anche i significati che in latino aveva vir. Virtus è invece sopravvissuta in italiano e in altre lingue romanze, diventando prima “virtute” o “virtude” e poi virtù, a causa del fenomeno dell’apocope (cioè per la perdita dell’ultima sillaba).
In latino esisteva, in realtà, anche un terzo vocabolo che indicava il “maschio di qualsiasi animale” (e dunque anche della specie umana), mas, maris, appartenente al primo gruppo della terza declinazione. Da questo sostantivo sono derivati gli aggettivi masculinus e masculus, quest’ultimo usato anche come sostantivo; da masculus (attraverso la forma sincopata masclus, dovuta all’indebolimento e alla successiva caduta della prima u) è derivato l’italiano maschio.

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