Come si usa
il vocabolario
in IL VOCABOLARIO / GRAMMATICA LATINA

In commercio si trovano numerosi e validi vocabolari per lo studio della lingua latina: la struttura della pagina di ciascuno di loro – al netto di differenti soluzioni grafiche che possono riguardare il colore, il grassetto, l’uso di riquadri e note, la proposta di box riassuntivi… – prevede la presenza di elementi e di riferimenti ricorrenti.
Il primo di questi elementi è la suddivisione del materiale in due colonne, all’interno delle quali è possibile distinguere, introdotte da una parola in grassetto, le VOCI o articoli. Esse, disposte in ordine alfabetico, costituiscono l’unità base del vocabolario, perché raccolgono tutte le informazioni relative a un vocabolo, detto lemma. Nella voce sono infatti presenti il lemma, la sua classificazione grammaticale, il significato – o i significati – che esso può assumere, esempi d’autore, locuzioni particolari, costruzioni particolari e altri eventuali elementi (per esempio sottolemmi, omografi, varianti, rimandi ad appendici…).
Il LEMMA, sempre collocato all’inizio di riga, può essere considerato il titolo della voce: esso è, infatti, il vocabolo trattato dal vocabolario nella voce corrispondente. Di solito sulle sillabe che lo compongono vengono segnalate le quantità vocaliche, per agevolarne la pronuncia. All’interno della voce relativa a un lemma possono essere presenti uno o più SOTTOLEMMI oppure il rimando a un altro lemma, più usato e diffuso; tale rimando è solitamente effettuato per mezzo della dicitura vedi.
Un lemma può essere preceduto da un numero arabo progressivo o da una lettera dell’alfabeto maiuscola: questo espediente segnala la presenza di un OMOGRAFO, cioè di un vocabolo che presenta un ugual significante ma un diverso significato o una diversa categoria grammaticale di appartenenza.
Le congiunzioni e e o oppure un segno di uguale collegano un lemma ad un altro molto simile, che ne costituisce una VARIANTE.
Infine le parentesi quadre poste dopo un lemma presentano, di solito, l’origine o la corrispondente forma greca del vocabolo in questione.
Subito dopo il lemma viene messa in evidenza la CLASSIFICAZIONE GRAMMATICALE, cioè l’insieme delle informazioni relative alle categorie grammaticali cui un vocabolo appartiene (per esempio sostantivo, aggettivo, singolare, plurale, maschile, femminile…). Se il lemma è una forma flessiva – nominale o verbale – il vocabolario presenta, prima della classificazione, gli elementi fondamentali della flessione; in caso contrario il lemma – invariabile – è immediatamente seguito dalla categoria di appartenenza. L’appartenenza di un vocabolo a più di una categoria grammaticale viene segnalata con espedienti grafici (per esempio una lettera maiuscola). L’elenco delle abbreviazioni utilizzate per fornire queste informazioni è solitamente disponibile nelle prime pagine del vocabolario.
Per quanto riguarda le diverse categorie grammaticali, possiamo notare che:
i sostantivi sono sempre presentati al nominativo, seguiti dal caso genitivo. L’appartenenza alla I, II e IV declinazione viene segnalata con la sola desinenza del genitivo (ara, ae), mentre quella alla III e V declinazione prevede il genitivo trascritto per intero (consul, consulis). Segue il genere, maschile (m.), femminile (f.) e neutro (n.)
anche gli aggettivi sono sempre presentati al nominativo. Se l’aggettivo appartiene alla prima classe ed è del tipo -us, -a, -um il maschile è indicato per esteso, mentre il femminile e il neutro sono presentati con la sola desinenza (altus, a, um); per gli altri tipi, invece, la presentazione avviene per esteso per tutte e tre le forme (niger, nigra, nigrum). Per quanto riguarda la seconda classe, l’aggettivo a tre uscite viene presentato con i tre generi indicati per esteso (acer, acris, acre), in quello a due uscite è scritta per esteso la prima forma (usata per il maschile e il femminile), mentre il neutro è indicato con la sola desinenza (insignis, e), e infine nell’aggettivo a una uscita il nominativo è seguito dal caso genitivo scritto per esteso (felix, felicis). Oltre alla categoria grammaticale vengono a volte riportate anche le forme del comparativo e del superlativo
i verbi sono accompagnati dal loro paradigma (cioè modello) di flessione: esso è costituito da cinque forme fondamentali che consentono di riconoscere la coniugazione di appartenenza e i temi usati per la formazione dei tempi e dei modi. I paradigmi che seguono schemi regolari sono segnati per mezzo di abbreviazioni (amo, as, avi, atum are; audio, is, ivi, itum, ire); gli altri sono invece sempre indicati parzialmente (lego, is, legi, lectum, ere) o totalmente per esteso (do, das, dedi, datum, dare). Segue il paradigma l’indicazione della coniugazione di appartenenza e quella di verbo transitivo (tr.) o intransitivo (intr.), quest’ultima preceduta dall’abbreviazione dep. se si ha a che fare con un verbo deponente. Le informazioni sintattiche (per esempio la reggenza di specifici casi o la possibilità di costruzioni particolari) sono reperibili all’interno della voce, spesso racchiuse in parentesi tonde
i numerali sono indicati con l’abbreviazione num. e con le relative precisazioni grammaticali (indecl., agg., pron., avv….). Le cifre, scritte dai Romani per mezzo delle lettere dell’alfabeto, sono reperibili nelle voci relative alle lettere corrispondenti
i pronomi sono identificati con l’abbreviazione pron. e le relative precisazioni (pers., rel., ind….)
gli avverbi sono riconoscibili dall’abbreviazione avv.; se si tratta di avverbi di qualità a volte sono presenti anche le forme di comparativo e di superlativo
le congiunzioni sono presentate con l’abbreviazione cong.; delle lettere maiuscole o dei numeri arabi permettono di muoversi agevolmente nella pluralità di reggenze e di significati che di solito esse assumono
le preposizioni sono indicate con l’abbreviazione prep.; la precisazione del caso retto e dei numeri arabi permettono di muoversi agevolmente nella pluralità di reggenze e di significati che di solito esse assumono
le interiezioni sono identificate per mezzo dell’abbreviazione interiez. e con la precisazione del tipo di sfumatura che conferiscono al testo (meraviglia, rabbia, stupore, dolore…).
Dopo il lemma e la classificazione grammaticale si trova il SIGNIFICATO: poiché la maggior parte dei vocaboli latini è polisemica, sono riportati un significato primario, concreto e denotativo – solitamente indicato con il numero uno – e dei significati secondari, astratti e connotativi, di solito indicati con numeri arabi progressivi e, se particolarmente lontani dal valore originario, preceduti dall’abbreviazione trasl. È proprio qui che il vero traduttore si mette alla prova: non accontentandosi di un unico significato imposto a memoria, egli sceglie quello più adatto da attribuire al vocabolo sulla base del contesto, dell’autore, dello scopo del testo, delle sfumature che gli si possono attribuire…
Per effettuare al meglio la scelta del corretto significato è possibile mettere in atto alcuni stratagemmi:
- tenere conto del contesto: se si sta traducendo un passo che racconta una battaglia, la ricerca del significato si indirizzerà sul valore che il vocabolo assume nel lessico militare
- osservare le reggenze, operazione che permette di accantonare le soluzioni non adatte oppure di identificare costruzioni particolari
- valutare la presenza di locuzioni particolari, cioè di frasi idiomatiche, modi di dire, espressioni fissate dall’uso a cui corrispondono traduzioni standardizzate riferite dal vocabolario
- leggere gli esempi d’autore, che devono essere intesi solo come un riferimento e un possibile suggerimento di traduzione (spesso, infatti, non combaciano perfettamente, per motivi di sintesi, con quanto si deve tradurre).
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