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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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Fabulae, Appendix 26

in TESTI / FEDRO / L’ETÀ GIULIO CLAUDIA / LETTERATURA LATINA

La cornacchia e la pecora

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Sono molti gli uomini che disprezzano i più deboli, ma che manifestano un’ossequiosa sottomissione ai più forti: Fedro ritrae impietosamente questi opportunisti in una favola in cui una pecora rinfaccia a una cornacchia la sua vigliacca arroganza.

Odiosa cornix super ovem consederat;
quam dorso cum tulisset invita et diu:
“Hoc” inquit “si dentato fecisses cani,
poenas dedisses”. Illa contra pessima:
“Despicio inermes, eadem cedo fortibus;
scio quem lacessam, cui dolosa blandiar;
ideo senectam mille in annos prorogo”.

Una fastidiosa cornacchia si era posata su una pecora;
allora, dopo averla portata sul dorso contro voglia e a lungo,
(la pecora) disse: “Se avessi fatto questo al cane ben fornito di denti,
avresti pagato il fio”. Quella, malvagia, (disse) in risposta:
“Disprezzo gli indifesi, ma mi piego ai forti;
so bene chi provocare, chi blandire subdola;
così prolungo la vecchiaia fino a mille anni”.

(traduzione di A. Micheloni)

Questa favola è la ventiseiesima della cosiddetta Appendix Perottina, una raccolta di una trentina di testi creata nel XV secolo dall’umanista Niccolò Perotti, che li trascrisse da un codice andato poi perduto.

La sua protagonista è una cornacchia, un animale molto presente nelle favole di Fedro: essa di solito non gode di una buona considerazione, perché si riteneva che il suo fastidioso gracchiare annunciasse o – peggio – chiamasse la pioggia. Dalla direzione del suo volo e dalla parte del cielo in cui appariva alla vista, inoltre, si traevano gli auspici, che potevano essere fausti o infausti: questa seconda evenienza le allontanò le simpatie dei Romani. Non stupisce, pertanto, che la cornacchia si meriti l’appellativo odiosa, cioè fastidiosa, molesta, posto in posizione enfatica addirittura come primo vocabolo della favola. La cornacchia aveva, però, secondo i Romani, anche l’invidiabile fortuna di vivere a lungo: il poeta Lucrezio, per esempio, nel V libro del De rerum natura cita i cornicum saecla vetusta, i tempi carichi di anni delle cornacchie, e il poeta Orazio (Carm. III, 17, 12) l’annosa cornix, la cornacchia dai molti anni.

Anche gli altri animali, nelle favole, sono identificati con attributi ricorrenti: quello tipico della pecora è patiens, cioè mite, capace di sopportare, cosa che spiega perché la cornacchia ha osato fare a lei ciò che non avrebbe fatto al cane dentato. L’aggettivo che caratterizza il cane è infatti stato scelto proprio per sottolinearne la forza, giacché esso non esita a farsi valere con i suoi morsi: la cornacchia non avrebbe mai osato posarsi sul suo dorso, perché, come dice la pecora, avrebbe sicuramente pagato il fio di questa mancanza di rispetto nei confronti del più forte.

Il punto di vista adottato nella favola è dunque, ancora una volta, quello dei deboli, che sono inevitabilmente destinati a subire i soprusi dei potenti: come sempre dalle parole di Fedro non emergono né la volontà né la speranza che le cose possano cambiare, perché la denuncia dei vizi e dei colpevoli non può riuscire nemmeno a scalfire uno stato di cose ingiusto e insoddisfacente. I poveri e i deboli, se vogliono evitare guai peggiori, devono saper stare al proprio posto, accettare la loro situazione e cercare nell’astuzia e nella prudenza i soli mezzi che li possono aiutare a difendersi dai prepotenti e dai malvagi, perché la dura legge della natura, cui tutto soggiace, non prevede un esito diverso nell’eterna lotta tra il più forte e il più debole.

Questa amara considerazione non si ricava dalla morale – che in questa favola è del tutto assente – ma dalle parole piene di sprezzante arroganza che pronuncia la cornacchia: la brevità della narrazione e la vivacità del dialogo rendono chiaro, senza bisogno di ulteriori delucidazioni, lo stile di vita suo e di chi, come lei, non ha rispetto degli altri, a meno che non siano più forti. E Fedro, definendola pessima, lascia intendere senza ombra di dubbio il suo giudizio morale su questo animale e sul genere di persone che esso rappresenta…

Analisi del testo

METRO: senario giambico

Consederat: piuccheperfetto attivo, terza persona singolare, del verbo consido: il piuccheperfetto è stato scelto in ottemperanza alla legge dell’anteriorità, poiché l’azione che il verbo esprime è anteriore a quella riferita dal perfetto inquit.

quam: è un nesso relativo, da intendere come et eam, in cui eam è naturalmente riferito a cornix.

dorso: si tratta di un ablativo strumentale.

cum tulisset: questo costrutto sintattico (anch’esso con il – congiuntivo – piuccheperfetto per anteriorizzare l’azione rispetto al verbo inquit) ha come soggetto sottinteso ovis; la scelta del verbo fero, che ha in sé la nozione del portare e del sopportare, vuole mettere in evidenza la molestia e il fastidio di questo passaggio… non richiesto.

invita: l’aggettivo invitus, della prima classe, ha quasi sempre, come in questo caso, valore predicativo; può essere reso anche con espressioni avverbiali (malvolentieri, contro voglia). È formato dal prefisso in, che ha valore privativo, e dalla radice del verbo volo, volere.

inquit: terza persona singolare dell’indicativo perfetto del verbo difettivo inquam (dico, rispondo), solitamente usato – sempre dopo una o due parole – per introdurre un discorso diretto; in questo verso ha come soggetto sottinteso ovis.

si fecisses: costituisce la protasi di un periodo ipotetico indipendente di terzo tipo, cioè dell’irrealtà.

poenas dedisses: è l’apodosi del periodo ipotetico. Da notare l’espressione poenas (poenam) dare, pagare il fio, scontare la pena (che si trova, con lo stesso significato, anche nelle varianti poenas / poenam solvere, pendere e luere).

contra: introduce la risposta, senza la necessità di usare un verbo di dire.

pessima: superlativo irregolare dell’aggettivo malus, a, um. In questo caso ha il valore di complemento predicativo del soggetto.

despicio: questo verbo è formato dall’unione del verbo specio (che subisce variazione apofonica) e della preposizione de: esso indica propriamente, quindi, il guardare dall’alto in basso (e dunque il disprezzare).

inermes… fortibus: sono entrambi aggettivi sostantivati; inermes è composto dal prefisso in, che ha valore privativo, e dal sostantivo arma (pluralia tantum della seconda declinazione, che subisce apofonia), che identifica le armi: dal significato letterale di “senza armi” si passa quindi a “deboli” e “indifesi”.

eadem: il pronome e aggettivo idem si usa spesso, come in questo caso, per aggiungere una determinazione nuova, analoga o contraria a quanto si è appena affermato: pertanto il verso, tradotto alla lettera, vale disprezzo i deboli, io medesima mi piego ai forti. Poiché questo uso non ha corrispondenza in italiano, sarà opportuno mutare io medesima (come nella traduzione proposta) in una congiunzione avversativa, che oppone le due parti del verso, costruito in modo semplice e simmetrico proprio per sottolineare la squallida banalità di questa regola di vita, che non necessita di ulteriori precisazioni da affidare ad altre proposizioni subordinate.

cedo: il verbo cedo, cedere, non deve essere confuso con l’omofono – ma non omografo – caedo, anch’esso della terza coniugazione, che significa tagliare.

quem… lacessam: accusativo del pronome interrogativo quis, quid: introduce un’interrogativa indiretta che dipende dal verbo scio; il congiuntivo presente marca la contemporaneità con il verbo della reggente.

cui… blandiar: dativo del pronome interrogativo quis, quid: anche questo pronome introduce un’interrogativa indiretta che dipende dal verbo scio, al congiuntivo presente per lo stesso motivo della interrogativa precedente. Da notare la costruzione del verbo blandior, che regge sempre il dativo.

dolosa: aggettivo con il valore di complemento predicativo del soggetto. Può essere reso anche con un avverbio (per esempio subdolamente) o con un complemento di modo (con l’inganno).

senectam: forma arcaica e poetica per senectutem, preferita per motivi metrici.

mille in annos: complemento di tempo continuato (costruito con un’anastrofe), che può essere considerato un’iperbole (o esagerazione).

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