Parole da salvare
in LESSICO \ GRAMMATICA ITALIANA
Che cosa sono le parole da salvare?
Sono tutte quelle parole che rischiano di essere dimenticate perché sono sempre meno utilizzate, sia nel parlato che nello scritto. Eppure molte di loro sono ricche, oltre che di storia, anche di bellezza e di espressività: proprio per questo non meritano di finire tra gli oggetti smarriti…
E allora perché ci siamo dimenticati – o ci stiamo dimenticando – di loro? In alcuni casi la risposta è facile: perché risultano poco gradevoli nel suono, perché sono poco significative oppure perché non sono più attuali… Sono tante, però, quelle che non usiamo più perché giudicate troppo difficili, perché ci sono sinonimi più facili e di uso comune, per paura di sembrare troppo ricercati nel parlare, per non risultare antiquati o, più semplicemente, perché non le conosciamo…
In questa sezione della Sofisteria troverete molte di queste parole in pericolo di estinzione, scelte e selezionate in base a un criterio di spendibilità determinato dalla bellezza, dalla loro storia, dalla potenziale attualità, dall’efficacia comunicativa…
Pensiamo che queste “parole da salvare” possano rendere il vostro modo di esprimervi più variegato e interessante, più preciso e più chiaro, ma anche più consapevole: per questo ve le proponiamo accompagnandole con un sintetico riferimento all’etimologia, con una breve spiegazione del significato e con qualche esempio d’uso.
Adottate una parola al giorno e ridatele nuova vita!

ABBACINARE
Questo verbo, che è in uso nell’italiano dalla fine del 1200, indica un’antica forma di tortura bizantina, che consisteva nell’avvicinare agli occhi del condannato un bacino (cioè un recipiente o un altro oggetto concavo) di metallo reso incandescente, che, seccando l’occhio tenuto forzatamente aperto, provocava la cecità. Esso si usa quindi per indicare una momentanea privazione della vista dovuta a una luminosità troppo intensa, in espressioni come Il flash dei fotografi gli ha abbacinato la vista.
I suoi principali concorrenti sono accecare e abbagliare, usati sia in senso proprio che traslato (con la sfumatura di ingannare).
Attenzione all’accento: la prima persona singolare di questo verbo è io abbàcino (o, più correttamente, anche se meno diffusamente, io abbacìno).

AFFABULATORE
Questo sostantivo, che deriva dal verbo affabulare (a sua volta derivato dal francese affabuler), si trova usato in italiano dalla metà del XX secolo per indicare chi affabula, cioè chi sa raccontare in un modo piacevole e avvincente: possiamo pertanto dire che Ascoltare il nonno raccontare le sue avventure giovanili è un vero piacere: è un grande affabulatore!
A volte questo vocabolo viene usato per alludere al fatto che le storie raccontate sono poco fondate o addirittura completamente di fantasia: in questo caso esso perde la sua valenza positiva e acquista una sfumatura di velata critica, come accade in Giovanni è un bravo affabulatore: al colloquio di lavoro si è fatto passare per un impiegato modello!
Nel primo caso il diretto concorrente del vocabolo affabulatore è il sostantivo narratore (arricchito, però, da un aggettivo qualificativo come bravo o buon), nel secondo raccontastorie.

BÒRIA
Questo sostantivo, in uso nella nostra lingua dal 1400, deriva dal nome del vento di Borea, meglio conosciuto come tramontana o bora. Esso viene infatti utilizzato per indicare l’atteggiamento di chi si vanta dei propri meriti, reali o immaginati, cioè si dà delle arie, gonfiando il petto: Daniela è una donna piena di boria allude proprio all’ostentazione e al pavoneggiamento del vanaglorioso, che vuol mettere in mostra il merito o la gloria che ha (o crede di avere)… insomma, la vanità che ostenta sé stessa.
È in pericolo per la concorrenza dei termini presunzione e spocchia, quest’ultimo tornato di moda dopo un lungo periodo di dimenticanza.

CIARPAME
Questo sostantivo (attestato dalla metà del Cinquecento e derivato dal sostantivo ciarpa, che significa straccio, cencio) indica degli oggetti inservibili o di scarso valore, spesso ammucchiati alla rinfusa: Il retro del giardino è ingombro di ciarpame.
I suoi concorrenti sono cianfrusaglie, porcherie, robacce.

CONFERIRE
Questo verbo (che deriva da uno dei composti del verbo latino ferre e che è usato nella nostra lingua dal 1300) si utilizza spesso per indicare l’attribuzione di un titolo onorifico, di un premio o di un riconoscimento (per esempio conferire la carica). Esso però ha, tra le altre, anche due importanti sfumature di significato che purtroppo si stanno perdendo:
1. avere un colloquio, soprattutto se di una certa importanza (per esempio: Vorrei conferire con il Ministro, perché nell’ambito politico questo verbo risulta decisamente più adatto, come forma di rispetto per l’autorità in questione, di uno scontato parlare)
2. raccogliere in uno stesso luogo (per esempio: Il giovedì sera bisogna conferire gli sfalci verdi nella piazzetta Pertini), significato in cui esso subisce la concorrenza dei verbi radunare e ammassare.

EDÌBILE
Questo aggettivo, che deriva dall’unione del verbo latino edo con il suffisso – bilis (che indica la possibilità), si usa per far sapere che qualcosa può essere mangiato, in espressioni come La crosta di questo formaggio è edibile.
I suoi concorrenti sono il più facile mangiabile (anch’esso derivato dal latino, dal verbo manducare, che indicava il mangiare in un contesto linguistico di livello medio) e commestibile, usato soprattutto in ambito commerciale.

GIOVIÀLE
Questo aggettivo, attestato già nella Commedia dantesca, deriva dal nome del dio Giove: al pianeta che ha da lui preso il nome si attribuivano, nell’antichità, influssi benefici, che hanno determinato l’utilizzo di questo aggettivo per indicare una persona che ha un carattere aperto e positivo, che la porta a essere sempre simpatica e allegra (aggettivo che lo sta, infatti, soppiantando).
Dire, pertanto, che qualcuno ha modi gioviali significa affermare che la persona in questione diffonde e crea attorno a sé un clima disteso e sereno.

IRCOCERVO
Questo sostantivo deriva da un vocabolo del tardo latino, hircocervu(m), composto da hircus, che significa capro, e cervus, che significa cervo; esso è, a sua volta, la trascrizione del greco tragélafo, ottenuto con i nomi greci di questi due animali.
È stato usato dalla metà del Cinquecento per definire un animale favoloso, a metà tra capro e cervo: proprio per questo si usa per indicare qualcosa di assurdo, di impossibile o di inesistente (Trovare un taxi a quest’ora è come cercare un ircocervo!).
Il povero ircocervo viene comunemente soppiantato da un altro animale mitologico ben più famoso di lui, la chimera.

LUCULLIANO
Questo aggettivo deriva dal nome di un politico e generale romano, Lucio Licinio Lucullo, vissuto in età repubblicana (117- 57 o 56 a.C.). Lo storico Plutarco ci racconta che egli era solito organizzare per i suoi ospiti, nelle sue splendide ville, dei banchetti particolarmente abbondanti e raffinati, soprattutto a base di aragoste, murene e gamberi, allevati in grandi vivai; Plinio il vecchio sostiene che fu proprio Lucullo a introdurre in Italia la ciliegia e la pesca.
L’aggettivo luculliano si usa, pertanto, per indicare qualcosa di sontuoso, riferito, in particolare, a un pranzo o a una vivanda: abbiamo appena terminato la nostra cena luculliana!
È proprio sontuoso l’aggettivo di cui luculliano subisce maggiormente la concorrenza.

MANIGÓLDO
Questo sostantivo, di etimologia incerta – forse deriva da un termine germanico – e presente nell’italiano dal 1300, indica una persona disonesta e malvagia, quella che siamo soliti definire furfante, delinquente e mascalzone: lo si può pertanto utilizzare in frasi come Il manigoldo è stato arrestato dopo un breve inseguimento.
In realtà questo termine può essere usato anche in modo scherzoso e affettuoso, in frasi come Bambini, venite qui! Oggi siete stati uno più manigoldo dell’altro!

PALUDATO
Questo aggettivo – in uso dalla prima metà del XIV secolo – deriva dal latino Paluda, un epiteto che veniva attribuito alla dea Minerva quando indossava le armi. Esso indica qualcuno che indossa dei vestiti molto vistosi, spesso eccessivi e di cattivo gusto, come accade in La contessa, paludata a festa, ha fatto il suo ingresso nel salone. Per indicare lo stesso concetto viene più spesso utilizzato il termine kitsch, di origine tedesca.
Questo aggettivo può essere usato anche in riferimento a oggetti o concetti astratti, per indicare qualcosa di eccessivamente alto o solenne, aggettivo, quest’ultimo, con cui entra in concorrenza: stile paludato, discorso paludato.

PANTAGRUÈLICO
Questo aggettivo deriva dal nome di un personaggio del romanzo Gargantua et Pantagruel di François Rabelais, uno scrittore francese vissuto nella prima metà del Cinquecento (1494 circa – 1553). Pantagruel, figlio del gigante Gargantua, è dotato di un’enorme forza e di un appetito insaziabile. Ecco perché il suo nome è stato usato dagli appassionati di letteratura come sinonimo di questo aggettivo, quando è legato all’appetito, al mangiare, alla fame (Alessandro ha un appetito pantagruelico, eppure è magro come un chiodo!).

QUANDANCHE
Questo settecentesca congiunzione, composta dall’unione di quando e anche, è sempre seguita da una proposizione concessiva con il modo congiuntivo; ha il valore del più semplice e orecchiabile anche se: Quandanche arrivasse ora, sarebbe comunque già in ritardo.
È accettata anche la variante con apostrofo, quand’anche.

RETRÌVO
Questo vocabolo, derivato dall’avverbio latino retro (indietro) e presente nella nostra lingua dalla metà del Cinquecento, può essere usato sia come aggettivo che come sostantivo.
Come aggettivo si utilizza per indicare un atteggiamento ostile al progresso (sociale, politico, culturale…), soprattutto per ignoranza o ristrettezza di vedute: avere un atteggiamento retrivo significa, pertanto, essere retrogrado (ed è proprio questo l’aggettivo di cui retrivo subisce maggiormente la concorrenza).
Il sostantivo indica una persona che non solo è contraria al progresso, ma vi si oppone, spesso per semplice ottusità: quell’uomo si dimostra un retrivo vuol dire che questa persona si comporta come un tradizionalista, chiudendosi a riccio di fronte alle novità.

SCHERMAGLIA
Questo sostantivo, che nel XIV secolo indicava un duello all’arma bianca, si utilizza ora solo in senso figurato per un contrasto – più o meno polemico – basato su uno scambio di opinioni (come in Le continue e serrate schermaglie tra gli avvocati hanno creato una forte tensione nell’aula del tribunale). I suoi più diretti concorrenti sono scaramuccia (per un contrasto lieve) e battibecco (per un contrasto dai toni più polemici e accesi).
Il termine schermaglia assume un significato particolare nel lessico amoroso, in cui indica il comportamento di chi prima asseconda e poi respinge il corteggiamento (come accade nelle schermaglie d’amore tra due fidanzati).

SERÒTINO
Questo aggettivo, che deriva dal latino serus, che significa tardo, si usa per indicare qualcosa che accade tardi, di sera. Si può utilizzare in relazione a cose (le ore serotine, un pentimento serotino), fiori e frutti (pere serotine), patologie (febbre serotina).
Subisce la concorrenza degli aggettivi tardivo e serale.

TRACCHEGGIARE
Questo verbo, di origine incerta e presente nell’italiano dal 1770, indica l’atteggiamento di chi perde appositamente del tempo per non dare un parere o per non prendere o (almeno) ritardare il più possibile una decisione: lo si può utilizzare, per esempio, in frasi come Il ministro Rossi, traccheggiando, ha evitato di rispondere alla domanda del giornalista.
I suoi concorrenti sono pertanto i verbi temporeggiare e tergiversare e alcuni modi di dire particolarmente espressivi, come menare il can per l’aia e ciurlare nel manico.

TRIVIALE
Questo aggettivo, usato dalla fine del Cinquecento, deriva dal termine latino trivium, che indicava l’incrocio di tre strade o, in senso traslato, una strada molto frequentata dal popolo, in cui era possibile incontrare ogni genere di persona, come accadeva, per esempio, nella zona chiamata Suburra, un vasto quartiere di Roma antica in cui si aggiravano, tra gli abitanti, anche prostitute, ladri e impostori. L’aggettivo triviale può quindi essere usato per indicare qualcosa di scurrile, in espressioni come un gergo triviale, un’esclamazione triviale, dei modi triviali.
Sia triviale che scurrile sono spesso sostituiti nell’uso comune dal termine volgare.

UBBÌA
Questo sostantivo ha un’origine incerta, forse da collegare al latino udus, un aggettivo che significa umido e che fa pensare al grigiore del cielo.
Si usa per definire un atteggiamento di timore o di ostilità ingiustificati nei confronti di qualcuno o di qualcosa: un individuo pieno di ubbie è chi sospetta che siano sempre in atto complotti o tranelli nei suoi confronti.
È caduto in disuso perché sostituito dai più semplici fisima e pregiudizio.

ZUZZURELLONE
Usato anche nella variante zuzzerellone, questo vocabolo, nato in Toscana nel 1800, indica una persona che, pur essendo già adulta, è sempre pronta a scherzare e a divertirsi, proprio come un bambino.
Pur essendo un vocabolo particolarmente espressivo – anche grazie al suo suono onomatopeico -, zuzzurellone ha subito la spietata concorrenza di termini più facilmente comprensibili, come bambinone, giocherellone e compagnone.
Lo si può utilizzare sia in senso proprio (Per quanto ne so, gira voce che sia un po’ uno zuzzurellone) che con una sfumatura affettuosa (Sei veramente uno zuzzurellone, quando organizzi questi scherzi!).
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