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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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La capra

in TESTI / SABA UMBERTO / L’ETA’ CONTEMPORANEA / LETTERATURA ITALIANA

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Il poeta Umberto Saba ha amato molto gli animali, che ha reso spesso protagonisti delle sue liriche. In quella che segue, tratta dalla sezione Casa e campagna del Canzoniere, l’incontro casuale con una capra gli consente di scoprire che condivide con lei un identico destino di dolore.

1Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.

5Quell’uguale belato1 era fraterno
al mio dolore2. Ed io risposi, prima
per celia3, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva4
10gemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semita5
sentiva querelarsi6 ogni altro male,
ogni altra vita7.

Da U. Saba, Tutte le poesie, Mondadori, 1988

1Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.

5Quell’uguale belato1 era fraterno
al mio dolore2. Ed io risposi, prima
per celia3, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva4
10gemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semita5
sentiva querelarsi6 ogni altro male,
ogni altra vita7.

Da U. Saba, Tutte le poesie, Mondadori, 1988

Questa lirica è chiaramente divisibile in tre momenti, ognuno dei quali coincide con la misura della strofa. La prima descrive una scena semplice ed essenziale: il poeta riferisce di aver visto una capra, sazia d’erba e bagnata dalla pioggia, che belava in un prato. Questo quadro naturalistico costituisce lo spunto e l’occasione per una riflessione: la capra, infatti, non bela per la fame o per un dolore fisico, ma per una sofferenza che è connaturata al suo esistere e che si concretizza nella solitudine (la capra, infatti, è sola), nella mancanza di libertà (l’animale è legato) e nell’atmosfera cupa di una giornata di pioggia, che la tormenta con l’umidità e il freddo. Proprio gli attributi che identificano la capra (sola, bagnata, legata) dimostrano che il poeta sta umanizzando l’animale, cosicché non fa meraviglia che egli apra la lirica affermando di aver parlato a una capra, che perde progressivamente i suoi tratti animaleschi per diventare altro. La conferma della valenza simbolica dell’animale si ha anche dal contesto in cui viene inserito l’incontro tra il poeta e la capra: il mondo pastorale, che nella poesia precedente – dagli idilli classici alle liriche di Arcadia – era il luogo della serenità e della felicità, in questi versi perde la sua aura di positività per legarsi alla fatica, al disagio e alla sofferenza che caratterizzano la realtà.

Nella seconda strofa, che presenta la reazione del poeta alla vista della capra,  l’aggettivo uguale, posto all’inizio del primo verso, inteso con valore connotativo e indirettamente (e perentoriamente) ribadito dai termini fraterno, una (voce), non varia, crea un rapporto di somiglianza tra l’animale e il poeta, rivelando al poeta stesso (e al lettore) che la voce della capra esprime, in realtà, un dolore universale ed eterno, un male di vivere uguale non solo a quello del poeta, ma, come ribadito in chiusura, anche a quello di ogni altra vita, una metonimia (in questo caso un astratto per il concreto) che identifica ogni creatura terrena. Insomma: la capra di Saba – a differenza della greggia leopardiana del Canto notturno – ha ben presente che cosa sia il dolore, cosicché il poeta, che lo conosce per esperienza diretta, lascia la celia e comunica con lei in una lingua universale fatta di sofferenza e di lamenti…

La terza strofa non fa che ribadire questo concetto. Essa, infatti, riprende il soggetto capra e sintetizza le emozioni e i pensieri che l’animale, con il suo lamento, ha suscitato nel poeta: i termini belava e belato, che appartengono al mondo animale, sono avvicinati prima a gemere e poi a querelarsi, che rimandano a quello umano. Non solo: il passaggio dall’area semantica del suono (belato, voce, gemere) a quella della vista (viso semita) conclude il processo di umanizzazione dell’animale (che infatti adesso ha un viso, non un muso), ormai del tutto fraterno al poeta (che era ebreo per parte di madre). Ora che il processo è finalmente completato, il belato dell’animale, riconosciuto come un grido fraterno a quello del poeta, fa in modo che il dolore che esso esprime si trasformi da singolare a universale ed eterno (come sottolinea, nella seconda strofa, anche il passaggio dei verbi dall’imperfetto del racconto a un presente atemporale, tipico delle sentenze e delle massime, che affermano verità universali). Di qui la necessità, sottesa ai versi ma sicuramente evidente, di un sentimento di solidarietà e di compassione, di una simpatia (da intendere nel valore etimologico del termine di “soffrire insieme”) che, nata dalla comune sofferenza, unisca tutte le creature che si trovano a spartire questo doloroso destino e che si offra loro come unico conforto ai mali dell’esistenza che accomunano ogni vita.

Compresa la profondità del messaggio, risulta inutile addentrarsi in questioni di lana caprina (è proprio il caso di usare questa espressione!) sul valore dell’aggettivo semita. Alcuni hanno voluto vedervi una sorta di graffio ironico, poiché esso alluderebbe, facendo riferimento al muso appuntito e alla barbetta della capra, all’immagine convenzionale degli Ebrei (ma non si vede per quale motivo Saba – ebreo – dovrebbe dileggiarla); altri – giacché la lirica risale agli anni 1909 /1910 – intendono la scelta di questo aggettivo come una sorta di premonizione del genocidio degli Ebrei avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale. In realtà è lo stesso Saba a spiegarne il senso in quello strumento fondamentale che è Storia e Cronistoria del Canzoniere: è un verso prevalentemente visivo […] è un colpo di pollice impresso alla creta per modellare una figura che, pur partendo dalle concrete e storiche sofferenze di un popolo oppresso e perseguitato nel corso dei secoli, supera le distinzioni per racchiudere in sé ogni creatura che soffre.

Il poeta ha fatto in modo che anche la forma esalti al massimo la tensione emotiva che caratterizza questi versi. Essi hanno diversa lunghezza (endecasillabi e settenari, ma il componimento è chiuso da un quinario) e un ritmo franto e nervoso, a volte esasperato dalla ripetizione di alcuni vocaboli (per esempio nel verso E|ra| sò|la| sul| prà|to, e|ra| le|gà|ta la posizione degli accenti ritmici e la ripetizione del verbo era sottolineano, con il loro ritmo martellante, la condizione di solitudine e di sofferenza dell’animale).

In alcuni versi, poi, la cesura (la pausa posta all’interno di un verso) ha un ruolo particolarmente importante: per esempio, nel verso Quel|l’u|guà|le| be|là|to // e|ra| fra|tèr|no la cesura – indicata dal segno // – posta dopo il termine belato, ha il compito di mettere in risalto, con una breve pausa in un verso dal ritmo franto e nervoso, il belato della capra, la causa della drammatica presa di coscienza del poeta del dolore universale che accomuna tutte le creature, rendendole fraterne.

Nel testo sono presenti anche alcune significative rime e assonanze, disposte liberamente nelle strofe: nella prima il participio bagnata è in assonanza con capra e con belava, nella seconda le rime fraterno:eterno e varia:solitaria – a sua volta assonante con la rima della terza strofa semita:vita – mettono in rapporto i vocaboli che possono essere considerati le parole chiave del testo, spesso sottolineati da un altro espediente letterario, la ripetizione, che avvicina, anche dal punto di vista lessicale, i due dolori, quello della capra e quello del poeta.

Rafforza e sottolinea questa identità anche il legame creato tra le tre strofe per mezzo della figura retorica dell’anadiplosi (il verbo belava con cui si chiude la prima strofa è richiamato dal vocabolo belato che apre la seconda, che a sua volta si chiude con il termine capra che apre anche la terza strofa), in modo che l’argomentazione riparta esattamente da dove si è fermata; allo stesso scopo contribuiscono anche i numerosi enjambement e le inversioni che caratterizzano il testo. Gli enjambement, infatti, unendo tra loro buona parte dei versi del componimento, rimarcano con forza l’indissolubile legame di dolore che esiste tra tutte le forme di vita che popolano la Terra (non a caso, infatti, ben tre enjambement si verificano in concomitanza di termini che indicano disagio o dolore, pioggia, dolore e gemere, con un effetto di elevazione lirica dei termini); anche le inversioni (di solito con la posticipazione del verbo, come in questa voce sentiva gemere) pongono in primo piano gli elementi fondamentali del verso.  

Il lessico, infine, è quello semplice delle parole trite che Saba dichiara di amare in una sua famosa lirica, parole che egli rinnova attribuendo loro significati profondi. In questo contesto lessicale semplice, quotidiano e quasi prosastico si inseriscono però delle forme letterarie come sentiva (con la desinenza arcaica in –a della prima persona singolare dell’imperfetto, ancora diffusa alla fine dell’Ottocento), celia e il latinismo querelarsi, che hanno il compito di innalzare il tono e di dare solennità all’importante riflessione del poeta. Al lettore colto non sfuggirà anche il leopardiano uso dei deittici questo e quello: quell’uguale belato, inizialmente avvertito come altro da sé (tanto che il poeta ci scherza sopra!) diventa poi questa voce, cioè un dolore estremamente vicino e concreto.

Note

1. Uguale belato: belato sempre uguale, monotono.

2. Era… dolore: aveva le stesse radici del mio dolore.

3. Per celia: per scherzo.

4. Sentiva: sentivo.

5. Semita: con i tratti somatici caratteristici del popolo ebraico, detto semita perché considerato discendente di Sem, figlio di Noè.

6. Querelarsi: lamentarsi.

6. Vita: creatura vivente.

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