Patina (IV, 2)
in LE RICETTE / IN CUCINA CON APICIO / APPROFONDIMENTI / LETTERATURA LATINA

Questa ricetta di Marco Gavio Apicio propone la realizzazione di una frittata a base di lattuga.
PATINA
Thyrsum lactucae teres cum pipere, liquamine, caroeno, aqua, oleo. Coques, ovis obligabis: piper asparges et inferes.
FRITTATA
Triterai un cespo di lattuga con pepe, liquamen, vino cotto, acqua e olio. Cuocerai, legherai con delle uova: cospargerai di pepe e porterai (in tavola).
(traduzione di A. Micheloni)
Il nome di questa pietanza deriva dal recipiente in cui essa è cotta: patina, infatti, era il nome di un piatto piano con i bordi leggermente rialzati in cui solitamente si servivano la carne e il pesce. La frittata di cui Apicio ci dà la ricetta era dunque così chiamata per metonimia, la figura retorica che attribuisce il nome del contenitore al contenuto.
Le uova nell’antica Roma erano spesso usate come antipasto: il detto ab ovo, dalle origini, allude proprio all’abitudine di presentare le uova come una portata dell’antipasto. Di solito si usavano le uova di gallina, ma si consumavano anche quelle di anatra e di oca.
Questa frittata, molto semplice, presenta due ingredienti particolari: il liquamen, la salsa a base di pesce di cui abbiamo parlato nella lezione introduttiva (che può essere sostituita da chi vorrà provare questa ricetta con la salsa di soia, con la Worcester o con della colatura di alici) e il caroenum, una salsa ottenuta facendo bollire del vino o del mosto fino a quando il loro volume si restringeva di un terzo (che oggi può essere sostituita con del miele, del succo d’uva o con dell’uva passa). Entrambe le salse avevano lo scopo di dare alla frittata un leggero sapore agro – dolce, particolarmente apprezzato dai Romani ma decisamente poco allettante per il nostro palato.
Le pietanze a base di verdure erano molto amate dai Romani: Plauto, in una delle sue commedie, lo Pseudolus (verso 810 seg.), li definisce infatti coloro che mi mettono nei piatti dell’erba condita (qui mihi condita prata in patinis proferunt), poiché mangiano erba, soltanto erba, condita con erba (eas herbas herbis aliis porro condiunt). Le verdure preferite erano le cipolle, i porri, le rape, le barbabietole, le zucchine, i funghi, gli spinaci, gli asparagi e i carciofi, che venivano spesso servite come antipasto. La lattuga selvatica era l’insalata più apprezzata: le sue foglie erano consumate più volentieri dopo la cottura, poiché cruda era considerata indigesta.
Questa ricetta costituisce un esempio di scrittura regolativa. Dal punto di vista formale presenta due evidenti differenze rispetto alle modalità che noi utilizziamo per la stesura di ricette: la prima è la mancanza dell’elenco degli ingredienti e dell’indicazione delle quantità da usare, del numero di persone per cui è pensata la ricetta e del tempo di preparazione; la seconda, l’utilizzo del futuro semplice laddove in italiano sono preferiti l’indicativo e l’imperativo (cuoci, trita…) o l’infinito iussivo (cuocere, tritare).

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