Le nuove prerogative economiche
in EPITAFI DI ETA’ ELLENISTICA DEDICATI A FIGURE FEMMINILI / APPROFONDIMENTI / LETTERATURA GRECA

Un’altra prerogativa dell’età ellenistica che riguardò le donne fu il maggior peso che cominciarono ad avere negli affari economici: esse ebbero infatti per la prima volta la possibilità di praticare la manomissione degli schiavi (cioè fu loro consentito di rendere libero uno schiavo per i meriti acquisiti), di vendere terreni e addirittura di diventare proprietarie terriere, come attestano alcune iscrizioni del III secolo a.C., in cui nelle liste di proprietari terrieri compaiono, accanto a nomi maschili, anche alcuni nomi femminili.
Inoltre le donne sposate, assistite da tutori, potevano prendere in prestito del denaro (cosa che fa pensare che le stesse, e non i mariti, fossero responsabili dei propri debiti); le mogli di coloro che concedevano il prestito sono menzionate come consenzienti di quanto effettuato dal marito. Figure femminili come quella di Nahomsesis, vissuta nel II secolo a.C., che appare nei papiri come una vera e propria donna d’affari (ella, infatti, chiede garanzie per il denaro prestato ed è in possesso di una casa e di due terreni sottratti a debitori che non sono riusciti a svincolarsi dai debiti), acquistano maggior valore se messe a confronto con il passo (V,11-16) in cui Diogene Laerzio riporta il testamento di Aristotele, che documenta, in modo indiscutibile, le restrizioni dei diritti femminili alla proprietà privata, considerati normali nell’epoca precedente.
Tra le donne più ricche del periodo ci furono senza dubbio le Spartane. Senofonte, nella Costituzione degli Spartani (I, 3), attesta infatti che le donne spartane erano molto più libere – in virtù della costituzione data da Licurgo – che non ad Atene o in qualsiasi altra città greca; Aristotele, nella Politica (1269 b 31 sq), le critica per la loro eccessiva libertà, che, a parer suo, ha arrecato danni allo stato: egli considera infatti un errore gravissimo l’aver lasciato circa i due quinti del territorio spartano in mano alle donne.
Ad Atene il punto più basso per la condizione femminile fu quello dei γυναικονόμοι, la magistratura istituita da Demetrio Falereo (un politico e scrittore di grande fama, nato intorno al 350 a. C.) che si occupava di normare la condizione femminile e di fissare le sanzioni per coloro che non ottemperavano a quanto deciso. Lo scopo fondamentale dei γυναικονόμοι – diversi per modalità e per regole a seconda delle città – era infatti proprio quello di regolare quelle circostanze (matrimoni, funerali, feste, celebrazioni religiose…) in cui le donne, seguendo la loro naturale inclinazione (o, perlomeno, quella loro attribuita dagli aristotelici, di cui Falereo era un esponente), potevano facilmente eccedere: essi, per esempio, davano precise indicazioni a proposito dell’abbigliamento e del trucco, severamente vietato in occasione delle cerimonie religiose, e limitavano – più in generale – le prerogative femminili (comprese quelle economiche), come attesta Aristotele nella sua Politica (1323 a).
Chiusa questa infelice parentesi non mancarono anche ad Atene, in età ellenistica, delle donne abbienti che, al pari degli uomini ricchi, presentavano talvolta i propri cavalli da corsa ai giochi olimpici per attirare l’attenzione su se stesse e sulla propria condizione economica: dalle iscrizioni e dagli elenchi dei vincitori possiamo conoscere i nomi di questi illustri personaggi che consideravano lo sport soprattutto come un mezzo per ostentare la ricchezza e come uno status symbol, cioè un segno di appartenenza a una classe privilegiata di cui si condividevano gusti e ideali. È il caso, per esempio, di Cinisca, figlia di Archidamo, re di Sparta, che secondo Pausania (III 15, 1) fu la prima donna ad allevare cavalli e a vincere a Olimpia (nel 396 e nel 392 a.C.) e delle ateniesi Zeuxò, Hermione ed Eukrateia, che le iscrizioni ci tramandano come vincitrici delle gare ippiche delle grandi Panatenee del 194/3, 190/89, 182/1, 178/7 a. C.
Altre donne, infine, acquisirono meriti pubblici per i generosi contributi offerti dal proprio patrimonio personale. Esse furono soprattutto o le ricche mogli di illustri cittadini o delle sacerdotesse: entrambe si trovarono a poter disporre, per la prima volta, di consistenti capitali personali e non esitarono a devolverne pubblicamente una parte, le prime per volontà di emergere, le seconde per la generosità e la liberalità di cui l’esercizio di una carica religiosa poteva essere l’occasione, come se si trattasse di una magistratura. Una lastra di marmo pentelico del III secolo a.C., per esempio, ricorda i meriti di Lisistrata, sacerdotessa di Atena Polias ad Atene, che riceve onori per la propria generosità, onori che ella divide, d’altra parte, con lo sposo Archelao, che ha dato la sua approvazione alla donazione; un decreto della fine del III secolo a.C. fu scritto in onore di Zeuxion, sacerdotessa della Magna Mater, e di suo marito, che pagarono le spese per i riti con il proprio denaro. Questa amministrazione condivisa del patrimonio è attestata anche dalle clausole presenti in numerosi papiri, in cui la donna ha, se non la libertà di disporre a proprio piacimento dei beni familiari, almeno quella di poterli amministrare insieme allo sposo.
Fu dunque grazie alla possibilità di poter disporre liberamente (o quasi) del proprio denaro che le donne, a partire dal III secolo, videro il loro prestigio sociale enormemente accresciuto: benché fossero ancora sotto il controllo e la sorveglianza di un uomo – che doveva dare il proprio assenso alle spese – esse cominciarono infatti a essere considerate – per la prima volta – delle affariste o delle generose benefattrici.

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