Il garzone con la carriola
in TESTI / UMBERTO SABA / L’ETA’ CONTEMPORANEA / LETTERATURA ITALIANA

Ognuno di noi vive attimi di smarrimento e di sconforto, dovuti alla fine di un amore o a una offesa ricevuta: è bello – osserva il poeta Umberto Saba in questi versi – saper ritrovare da soli la pace e la serenità, ma, se non ci si riesce, è meglio uscire in mezzo alla gente e lasciarsi travolgere dalle sensazioni positive che ci possono regalare le altre persone…
perduti, conciliare in noi l’offesa1;
ma se la vita all’interno ti pesa
tu la porti al di fuori2.
5Spalanchi le finestre o scendi tu
tra la folla: vedrai che basta poco
a rallegrarti: un animale, un gioco,
o, vestito di blu,
un garzone con una carriola,
10che a gran voce si tien la strada aperta3,
e se appena in discesa trova un’erta4
non corre più, ma vola.
La gente che per via a quell’ora è tanta
non tace, dopo che indietro si tira.
15Egli più grande fa il fracasso e l’ira,
più si dimena e canta5.
Da U. Saba, Tutte le poesie, Mondadori, Milano
La parte più consistente – e importante – di questa lirica è ambientata in una strada che il poeta osserva dopo aver spalancato la sua finestra (un gesto che ha una chiara valenza simbolica di apertura nei confronti del mondo) o dopo essere sceso in mezzo alla folla. Questo movimento dall’interno (in noi, all’interno) all’esterno (al di fuori) permette di fare entrare la gente, le voci e i colori nella vita chiusa e riservata del poeta, che viene così messo a contatto con la natura (l’animale) e l’infanzia (il gioco), due dimensioni che sono in grado di rinnovare l’amore per la vita, perché ci fanno sentire parte di un tutto che dà serenità. Questo ingresso in una diversa realtà è segnalato dal cambiamento dei pronomi personali: i primi due versi, infatti, presentano la prima persona plurale, mentre in quelli successivi viene utilizzato un tu generico. Questo brusco passaggio – enfatizzato, al verso 3, dalla congiunzione avversativa ma – allude proprio alla ribellione dei noi (tra cui c’è anche il poeta) che non vogliono più restare prigionieri del proprio dolore e che cercano a tutti i costi una via di fuga.
Qualcosa, nella confusione della strada che il poeta sta ora guardando, attrae la sua attenzione: ai versi 8 – 9 compare infatti il vero protagonista della lirica, annunciato dal titolo, il colore blu del vestito di un garzone, cioè di un ragazzo che si diverte a dividere la folla con la sua carriola, mentre canta e urla a squarciagola scendendo per una strada ripida. Il poeta lo osserva, sorride e dimentica i suoi affanni: il blu, in tutte le sue tonalità – da quelle più intense a quelle più tenui che sfumano nell’azzurro – è infatti in poesia l’emblema della libertà e dell’evasione, espressioni dell’energia vitale che il ragazzo emana, la stessa che il poeta sente mancare in sé e dalla quale sembra ora essere contagiato.
Proprio per questo motivo la sua simpatia e la sua approvazione non si indirizzano verso gli adulti che si arrabbiano e che inveiscono, ma verso il giovane scapestrato: il garzone, infatti, non solo lo distrae per un attimo dalle sue sofferenze, ma incarna la proposta di un modo di essere che il poeta vorrebbe riuscire a poter mettere in pratica. Questo ragazzo, infatti, è spavaldo, sicuro di sé, incurante del pericolo, pieno di gioia di vivere: tutto ciò lo aiuta ad affrontare meglio l’esistenza, che gli si rivela inevitabilmente amica, come dimostra la provvida erta che lo libera improvvisamente e inaspettatamente dalla fatica di spingere la sua carriola, permettendogli di scendere a precipizio, cosicché egli non corre più, ma vola.
L’idea che la fanciullezza costituisca una stagione felice, perché libera dalle preoccupazioni che caratterizzano l’età adulta, percorre tutta la nostra letteratura, sia in prosa che in poesia: anche Saba, con leopardiana memoria, ama tratteggiare nelle sue liriche immagini di fanciulli felici, che giocano, urlano, ridono, scherzano, perché non ancora toccati dal male e dal dolore. Ma l’antitesi tra la felicità della fanciullezza e le preoccupazioni dell’età adulta non è insuperabile: dai versi proposti si comprende chiaramente che il poeta conserva un animo irriverente e giocoso (come quello del fanciullo, cui si sente istintivamente legato) e lontano da quello degli adulti, rappresentati come una folla anonima e indistinta che stigmatizza il comportamento del ragazzo senza accorgersi che la sua maleducazione nasconde, in realtà, il segreto del vivere bene, che consiste nel saper apprezzare tutto ciò che la vita ci dona (il garzone, infatti, corre e canta semplicemente per l’insperata fortuna di aver trovato una discesa).
Il consiglio di cui si fanno portavoce questi versi è dunque quello di provare a sfidare il montaliano male di vivere affidandosi alla spensieratezza che si può imparare dai giovani. Del resto non è un caso che questa lirica appartenga a una sezione del Canzoniere intitolata La serena disperazione, un titolo – ossimorico – con cui il poeta evidenzia proprio i due aspetti opposti della vita, fatta di gioie e di dolori: ma se nella vita c’è il dolore, ci deve essere anche il suo superamento, che consiste, per il poeta, nella scrittura dei suoi versi (che hanno, per lui, una forte funzione consolatrice), e, per gli uomini comuni (compreso lo stesso poeta, che ne fa parte), nella capacità di valorizzare il quotidiano, in particolare quello di animali e fanciulli, esseri semplici, che insegnano ad apprezzare la vita e ad amare il prossimo.
Il proposito di Saba di scrivere una poesia onesta – una poesia, cioè, che sia uno strumento per analizzare l’animo umano e per condividere con i propri simili quanto scoperto – determina anche le scelte retoriche, lessicali e sintattiche che caratterizzano questa lirica.
La struttura del testo, per esempio, è formata da quattro semplici quartine di tre versi endecasillabi e un settenario, versi tra i più comuni nella nostra poesia: ma l’endecasillabo, caratterizzato da una grande varietà di schemi, consente al poeta di cambiare il ritmo dei versi per assecondarne il contenuto, cosicché la prima strofa, che propone delle riflessioni di spessore, ha un andamento più lento, mentre le altre, che descrivono la corsa del garzone tra la folla, sono più veloci.
La scelta di un semplice schema di rime incrociate (ABBa, CDDc…) è perfettamente in linea con la poetica di Saba, che non fa mistero di amare le rime trite (quelle cioè che nascondono dei significati nuovi e profondi dietro la loro apparente facilità): egli, per esempio, mette significativamente in rapporto, grazie alla rima, vocaboli come amori:fuori, offesa:pesa, carriola:vola, che esaltano i nuclei tematici fondamentali della lirica.
Anche il lessico usato è apparentemente molto semplice, addirittura quasi quotidiano, perché deve agevolare la comunicazione con il lettore: ma su questo facile tessuto narrativo, che procede per due aree semantiche opposte (del dolore e del fastidio, con amori perduti, offesa, pesa, fracasso, ira… e della gioia, con rallegrarti, gioco, canta, vola…), si innestano anche vocaboli preziosi come il termine garzone che dà il titolo alla lirica, che vale ragazzo, nel significato più arcaico e poetico del termine, secondo l’uso fattone, tra gli altri, da Foscolo, Leopardi e Manzoni.
Il ricorso alle figure retoriche vede, ancora una volta, la prevalenza delle più semplici e comuni, utilizzate, però, con grande maestria: la metonimia (per esempio l’astratto gioco per il concreto bambini), l’iperbole (non corre più, ma vola), la litote (non tace) e l’enumerazione (un animale… un gioco… un garzone…). Particolarmente interessante risulta infine – in una sintassi che alterna paratassi e ipotassi, per far soppesare al lettore ogni singola affermazione – l’uso di figure retoriche di posizione come il chiasmo (all’interno ti pesa… porti al di fuori, per sottolineare i due movimenti contrapposti), l’enjambement (scendi tu / tra la folla e basta poco / a rallegrarti, per esempio, mettono in risalto, spezzando i legami logici, il miglioramento dello stato d’animo che si ottiene grazie al semplice contatto con gli altri), l’anastrofe (tu la porti al posto del più consueto portala), e, soprattutto, l’iperbato, cioè il rovesciamento sintattico, che caratterizza per esempio – insieme all’enjambement – la presentazione del protagonista della lirica nei versi 8 e 9 (o, vestito di blu, / un garzone): grazie a questi due espedienti, alla struttura metrica del verso (tronco, con la parola blu in posizione enfatica e in rima imperfetta con tu) e alla distanza dell’attributo dal sostantivo a cui si riferisce – collocato in iperbato nella strofa successiva -, Saba crea una macchia di colore che, posizionata al centro del componimento, unisce il mondo sofferente dell’animo del poeta a quello gioioso della giovinezza del garzone, che lo rende così complice della sua folle e spensierata corsa…
Note
1. Conciliare… offesa: placare il risentimento che alberga nel nostro animo.
2. Ma se… fuori: il tu, come spiega Saba in Storia e cronistoria del Canzoniere, è il lettore, che viene invitato a smettere di tormentarsi e a guardarsi attorno.
3. Che… aperta: che grida perché la gente gli faccia largo.
4. Un’erta: una ripida strada.
5. Egli… canta: egli si muove e canta di più se la gente inveisce contro di lui e si arrabbia perché ha rischiato di essere investita.
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