Ara Mara Amara e
La casa di Mara
IN TESTI \ PALAZZESCHI ALDO \ TRA OTTOCENTO E NOVECENTO \ LETTERATURA ITALIANA
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Nel primo di questi due testi, intitolato Ara Mara Amara, il poeta Aldo Palazzeschi descrive tre vecchie signore con la passione del gioco dei dadi.
1In fondo alla china,
fra gli alti cipressi,
è un piccolo prato.
Si stanno in quell’ombra
5tre vecchie
giocando coi dadi.
Non alzan la testa un istante,
non cambian di posto un sol giorno.
Sull’erba in ginocchio
10si stanno in quell’ombra giocando.
Da A. Palazzeschi, Tutte le opere, Mondadori, Milano
1In fondo alla china,
fra gli alti cipressi,
è un piccolo prato.
Si stanno in quell’ombra
5tre vecchie
giocando coi dadi.
Non alzan la testa un istante,
non cambian di posto un sol giorno.
Sull’erba in ginocchio
10si stanno in quell’ombra giocando.
Da A. Palazzeschi, Tutte le opere, Mondadori, Milano
La lirica – tratta dalla raccolta I cavalli bianchi, uscita nel 1905 – ci presenta, dunque, la semplice descrizione di tre amabili vecchiette con il vizio del gioco: esse, infatti, sono solite trascorrere i loro pomeriggi lanciando i dadi sedute in un prato, all’ombra di cipressi, in un luogo che sembra essere collocato in un tempo sospeso.
Lo stesso ambiente quasi fiabesco fa da sfondo anche a questa seconda lirica, intitolata La casa di Mara, tratta dalla medesima raccolta.
1La casa di Mara è una piccola stanza di legno.
A lato un cipresso l’adombra¹ nel giorno.
Davanti vi corrono i treni.
Seduta nell’ombra dell’alto cipresso
5sta Mara filando.
La vecchia ha cent’anni.
E vive filando in quell’ombra.
E i treni le corron veloci davanti
portando la gente lontano.
10Ell’alza la testa un istante
e presto il lavoro riprende.
I treni mugghiando s’incrocian
dinanzi alla casa di Mara volando.
Ell’alza la testa un istante
15e presto il lavoro riprende.
Da A. Palazzeschi, Tutte le opere, Mondadori, Milano
¹ L’adombra: le fa ombra.
1La casa di Mara è una piccola stanza di legno.
A lato un cipresso l’adombra¹ nel giorno.
Davanti vi corrono i treni.
Seduta nell’ombra dell’alto cipresso
5sta Mara filando.
La vecchia ha cent’anni.
E vive filando in quell’ombra.
E i treni le corron veloci davanti
portando la gente lontano.
10Ell’alza la testa un istante
e presto il lavoro riprende.
I treni mugghiando s’incrocian
dinanzi alla casa di Mara volando.
Ell’alza la testa un istante
15e presto il lavoro riprende.
Da A. Palazzeschi, Tutte le opere, Mondadori, Milano
¹ L’adombra: le fa ombra.
Anche in questo caso la lirica tratteggia un semplice quadretto in cui spicca la figura di un’anziana donna di nome Mara, che trascorre il tempo seduta a filare fuori dalla sua piccola casa, situata proprio di fronte a una ferrovia. Mara assomiglia a una delle tre giocatrici di dadi protagoniste della lirica precedente, a cui rimandano non solo il nome proprio (identico), ma anche alcuni elementi del paesaggio che la circonda, come l’ombra e i cipressi.
Il lettore attento, posto di fronte a questi due testi, è costretto a chiedersi se essi non vogliano dire qualcosa in più rispetto a quanto comunica la loro lettura letterale (il livello denotativo), che risulta davvero poco significativo. Sappiamo infatti che l’intento del linguaggio poetico è proprio quello di costringere il lettore a cercare un significato nascosto (il livello connotativo) cogliendo i segnali che il poeta cela non solo nel contenuto ma anche nella forma del suo testo (per esempio nel lessico, nella collocazione delle parole, nel loro suono, nelle figure retoriche, nella struttura sintattica, nella disposizione degli accenti…).
Il primo elemento su cui vale allora la pena di soffermarsi è la presenza, all’interno di questi versi, di due oggetti particolari: i dadi, nel primo componimento, e un fuso, nel secondo. I dadi sono, per eccellenza, il simbolo del caso che governa le vicende degli uomini: il fatto che a giocarci siano delle vecchie donne e che esse siano proprio tre non può non far pensare alle divinità pagane (per esempio le Moire nella mitologia greca, le Parche nella mitologia romana e le Norne in quella germanica) che si riteneva presiedessero alla vita dell’uomo, di cui stabilivano la durata proprio filando un filo con un fuso. Nella mitologia greca, per esempio, Cloto, Lachesi e Atropo, le tre Moire, figlie di Temi e di Zeus, stabilivano il tempo della nascita, del matrimonio e della morte degli esseri umani regolandolo con un filo: Cloto svolgeva il filo dal fuso, Lachesi lo avvolgeva dopo averne stabilito la misura e Atropo lo tagliava al momento della morte.
Non appare dunque casuale la collocazione delle due scene descritte in un paesaggio in cui si staglia un solo tipo di albero, il cipresso, da sempre legato alla morte. Ma anche altri elementi paesaggistici possono assumere un evidente valore simbolico: nella prima lirica, infatti, la china su cui si trova il prato può alludere alla vita dell’uomo, che è piena di salite, cioè di difficoltà; nella seconda la stessa valenza simbolica è assunta dalla ferrovia, in cui il passaggio dei treni, con il loro carico umano, rimanda proprio alla vita (a cui spesso in poesia si lega il tema del viaggio), che prosegue incurante di tutti coloro che scendono alla propria stazione di arrivo.
Un altro elemento dall’importante valenza simbolica che accomuna il contenuto delle due liriche è la ripetitività dei gesti delle protagoniste: le tre anziane donne trascorrono interi pomeriggi lanciando i dadi e Mara passa i suoi giorni filando ininterrottamente, senza lasciarsi distrarre da ciò che le accade intorno. Questa ripetitività richiama una ciclicità in cui tutto ritorna sempre uguale: facendo riferimento a quanto detto fino ad ora non si può non pensare al ciclo vita / morte che sta alla base della natura e che è proprio di ogni creatura terrena (cosa che spiega anche l’impossibilità, per le donne, di trovare un momento di riposo nella loro attività).
In entrambi i testi, inoltre, si ha l’impressione che i ritratti siano collocati in un luogo fittizio, lontano dalla realtà. Nella prima lirica, per esempio, gli alti cipressi e il piccolo prato fanno pensare che le tre vecchine vivano in un paesaggio stilizzato, come quelli che disegnano i bambini; Mara, nella seconda lirica, sembra essere posta fuori dal mondo della vita vera, rappresentata dalla ferrovia e dai treni, con cui gli uomini arrivano, si accalcano e partono. Questi mezzi di trasporto e le scoperte della tecnologia non toccano, però, né la vecchina né la sua semplice casa di legno.
Il tempo, infine, sembra astorico e sospeso: nella prima lirica il sole pare sempre sconfitto dall’ombra, in una sorta di notte perenne (il complemento di luogo in quell’ombra è infatti ripetuto per ben due volte); nella seconda, Mara ha cent’anni, un’espressione che in sé non ha un vero significato, perché spesso utilizzata semplicemente per indicare una persona molto avanti negli anni.
Anche l’ambito formale conferma la necessità di leggere le due liriche con attenzione: esso ci offre, infatti, parecchi altri elementi che ci permettono di andare oltre il senso letterale. Il primo è senza dubbio costituito dall’aspetto grafico – visivo dei testi, poiché in entrambi i componimenti il verso 5, più corto degli altri, mette in evidenza le parole chiave della lirica, tre vecchie e sta Mara filando: esse, richiamando alla mente del lettore attento e conoscitore della cultura dei tempi antichi ben altre vecchie donne, gli permettono di avvicinarsi al vero contenuto della lirica.
Osserviamo ora i versi: contando le sillabe non è difficile accorgersi che in tutti e due i componimenti il numero di sillabe di ciascuno dei versi è un multiplo di tre (sei, nove, dodici, quindici), un numero che da sempre è considerato magico, misterioso e dall’alto valore simbolico. Non solo: in ogni verso dopo la prima sillaba atona si incontra sempre una sillaba accentata, seguita da altre due sillabe senza accento. Questa particolare disposizione degli accenti crea un effetto cantilenante che da un lato allontana le figure delle anziane donne dalla realtà per collocarle in un modo fiabesco e dall’altro dà un’idea di monotonia e di ripetitività, che allude, come già evidenziato per i contenuti, all’ inesorabile ciclo di vita e morte che caratterizza la vita terrena.
Nella scrittura, dall’andamento prosastico – reso vagamente poetico dalla presenza di numerosi apocopi ed elisioni (alzan, cambian, corron, ell’, s’incrocian…) e di alcune anastrofi, cioè inversioni dell’ordine naturale delle parole (come accade in presto il lavoro riprende e dinanzi alla casa di Mara volando)-, spiccano, in entrambi i componimenti, la ripetizione del verbo stare e l’uso del gerundio: il primo enfatizza la fissità di queste descrizioni, spesso rese impersonali dall’uso del si, mentre il secondo le astrae da un tempo definito per proiettarle, come visto, in un presente atemporale ed eterno. In entrambi gli elementi è inoltre presente l’allitterazione della lettera – n (per esempio in si stanno giocando), che crea un effetto di monotonia, tipico delle cantilene e della ninna nanna.
Insomma, è evidente che un livello di lettura più profondo (quello connotativo) fa comprendere che i due testi che abbiamo di fronte non sono dei semplici quadretti descrittivi, come lascia invece pensare la lettura denotativa, ma una meditazione, di valore universale, sulla difficile vita dell’uomo (= la china), affidata al caso (= il gioco dei dadi, il filo tagliato) e inevitabilmente destinata a concludersi con la morte (a cui alludono i cipressi e l’ombra). Una vita amara, dunque: lo suggerisce il titolo del primo componimento, che, letto senza soluzione di continuità (A – RA – MA – RA – MA – RA), si rivela anch’esso un senario, palindromo, che fornisce al lettore la corretta chiave di lettura dei versi (la vita è amara). E questa amara vita è destinata a concludersi con la morte: non è certamente un caso che il titolo del secondo componimento richiami l’attenzione sulla casa di Mara, una piccola stanza di legno che fa pensare a una bara.
Questa meditazione si rivela perfettamente in linea con le atmosfere crepuscolari che caratterizzano i testi delle prime due raccolte di Palazzeschi, che si allontanano dalla realtà, problematica e difficile, per evocare un clima fiabesco e incantato, collocato in qualche lontano e misterioso punto dello spazio e del tempo che permette di ridisegnare la realtà, come ebbe a dire lo stesso autore, “con la semplicità e ingenuità di un bambino e la serietà dell’asceta”.
La Sofisteria
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