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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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La morte di Alboino

in DIACONO PAOLO \ ALTO E BASSO MEDIOEVO \ IL MEDIOEVO \ LETTERATURA ITALIANA

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Nel capitolo 28 del II libro della Storia dei Longobardi Paolo Diacono racconta come avvenne la morte di Alboino, che fu re dei Longobardi dal 560 al 572.

Fu lui a guidarli in Italia dalla Pannonia, nel 568, dopo aver vinto i Gepidi, di cui uccise il re, Cunimondo. Dopo aver sposato la figlia di Cunimondo, Rosmunda, scese in Italia attraversando le Alpi Giulie; arrivato a Milano, venne proclamato dai suoi “re d’Italia”.

 

Come Alboino, dopo tre anni di regno, fu ucciso da Elmechi per istigazione della propria moglie.

Dopo tre anni e sei mesi di regno in Italia, Alboino fu ucciso per le trame di sua moglie. E la causa del suo assassinio fu questa. Trovandosi a un banchetto presso Verona, allegro fuor di misura1, ordinò di mescere2 del vino per la regina nella tazza che si era fatta col cranio del re Cunimondo, suo suocero, e la invitò a bere lietamente insieme a suo padre. E perché questo a taluno non abbia a parere impossibile affermo in nome di Cristo che è la verità; vidi io stesso la tazza una volta che il principe Rachi la teneva in mano, in un giorno di festa, per mostrarla ai suoi convitati. Perciò Rosmunda, colpita da quel fatto, provando in cuor suo un profondo dolore, e non riuscendo a domarlo, arse tosto dal desiderio di vendicare l’uccisione del padre con la morte del marito; e subito s’accordò con Elmechi, che era “scilptor”, cioè armigero3 del re, e suo fratello di latte4, per uccidere il re. Elmechi persuase la regina ad attrarre nel complotto Peredeo, che era uomo fortissimo. Ma poiché Peredeo rifiutava di aderire alle richieste della regina, che voleva spingerlo a un così grave misfatto, ella si introdusse di notte nel letto d’una sua ancella con la quale Peredeo manteneva intima consuetudine; venne Peredeo ignaro e qui giacque con la regina. Quando poi, consumato ormai l’adulterio, ella gli chiese chi pensava che ella fosse, facendo Peredeo il nome di quella che credeva essere la sua amica, la regina soggiunse: “Non è come tu pensi: io sono Rosmunda; ormai, o Peredeo, tu hai perpetrato un’azione di tale gravità, che o tu ucciderai Alboino o egli con la sua spada ucciderà te”. Comprese egli allora il male che aveva compiuto e, in tal modo costretto, consentì all’assassinio del re cui prima, libero, s’era rifiutato. Allora Rosmunda, mentre Alboino giaceva immerso nel sonno pomeridiano, diede ordine che si facesse profondo silenzio nel palazzo e, sottratta al re ogni altra arma, legò saldamente la sua spada a capo del letto di guisa che5 non potesse né impugnarla né sguainarla; indi, secondo il piano di Elmechi, più spietata di una belva introdusse l’uccisore Peredeo. Alboino, destatosi di soprassalto, rendendosi conto del pericolo incombente, corse lestamente con la mano alla spada; e poiché non riusciva a sguainarla, tanto strettamente era legata, afferrò uno sgabello e con questo alcun tempo6 si difese. Ma, ahimè, quell’uomo così valoroso e audace, nulla potendo contro l’aggressore, fu ammazzato come un qualunque imbelle; e colui che si era coperto di gloria in guerra, facendo tanta strage di nemici, perì miseramente per l’astuzia di una donnicciola. Il suo corpo, con grandissimo pianto e lamento dei Longobardi, venne sepolto sotto la rampa di una scala contigua al palazzo. Alboino era alto di statura, con un corpo che pareva fatto per la guerra. Giselperto, duca di Verona, avendo aperto ai giorni nostri il suo sepolcro, ne asportò la spada e ciò che trovò dei suoi ornamenti. Per la qual cosa, con la vanità solita degli ignoranti, si vantava di aver veduto Alboino.

AA. VV., Le origini, Ricciardi, Milano – Napoli, 1956

La violenta morte di Alboino si inserisce perfettamente nel mondo dei barbari che la storia ci ha tramandato: con il termine barbaro i Greci prima e i Romani poi indicavano, infatti, tutti coloro che non facevano parte della loro comunità e che erano ritenuti rozzi, violenti e non civilizzati (il termine greco barbaro – che, alla lettera, significa balbuziente – vuole proprio significativamente mettere in evidenza la distanza e la superiorità culturale che Greci e Romani avvertivano nei confronti di queste genti). Il terribile brindisi di Alboino con il cranio del suocero e la spietata vendetta della moglie diventano dunque una chiara dimostrazione della primitività e dell’inciviltà attribuite a queste popolazioni.

Quanto viene raccontato è così terribile che Paolo Diacono avverte la necessità di confermarlo, come dovere di ogni storico, con la citazione delle prove (vidi io stesso la tazza una volta che il principe Rachi la teneva in mano) e addirittura – prassi decisamente meno consueta per uno storico! – con un giuramento (affermo in nome di Cristo che è la verità), che, insieme alle esclamazioni (ahimè) e ai commenti dell’autore (con la vanità solita degli ignoranti), rende il racconto, se non propriamente storico, certamente intenso e partecipato.

Tale atteggiamento non deve meravigliare: l’intento di Paolo Diacono è proprio quello di rendere credibile e interessante la narrazione di un episodio che possa documentare la barbarie della gente da cui egli stesso ha avuto origine. In realtà è possibile cogliere, nella descrizione dei due protagonisti, una sottile differenziazione: l’atto disumano di Alboino di voler far bere la moglie nel cranio del padre è derubricato a una stoltezza dovuta all’ebbrezza (allegro fuor di misura), mentre il piano ordito da Rosmunda dimostra che ella è una donnicciola spregiudicata (per raggiungere il suo scopo, non esita a concedersi a un uomo), calcolatrice (lega la spada e fa togliere le armi) e più spietata di una belva. Anche i complimenti che egli non lesina ad Alboino (uomo così valoroso e audacecolui che si era coperto di gloria in guerra…) e il ricordo del sincero dolore dei Longobardi per l’accaduto dimostrano che per Paolo Diacono ci sono barbari… e barbari: la barbara Rosmunda, di stirpe gepida, non ha la stessa considerazione e rispetto che l’autore dimostra nei confronti del longobardo Alboino.

Note

1. Allegro fuor di misura: ubriaco.
2. Mescere: versare.
3. Armigero: scudiero.
4. Fratello di latte: poiché era stato allattato dalla stessa balia.

5. Di guisa che: in modo che.

6. Alcun tempo: per un po’ di tempo.
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