Palingenesi
in TESTI \ GIORGIO CAPRONI \ L’ETÀ CONTEMPORANEA \ LETTERATURA ITALIANA

Riuscirà l’uomo a imparare dai propri errori? Saprà ricavare dalla conoscenza della storia delle indicazioni di comportamento in grado di renderlo migliore? Il poeta Giorgio Caproni risponde, con i suoi versi, a queste due difficili domande.
Questi pochi (ma intensi) versi liberi riflettono sulla natura dell’uomo, che non vuole – o non sa – imparare dai propri errori.
Gli uomini di oggi, che il poeta chiama direttamente in causa con il pronome voi, sono intenti a portare a finimento la distruzione e l’abominio che hanno cominciato: coloro che riusciranno a sopravvivere a questa distruzione saranno nuovi e diversi (altri), perché faranno parte di un’umanità rinnovata, che ripartirà da una primordiale età della pietra (a cui allude il verso raccatteremo le pietre, che sono anche, in modo inquietante, quelle lasciate dall’opera di distruzione) per ricominciare una nuova esistenza. Il poeta considera estremamente importante il nuovo modo di essere di questi uomini: lo si comprende dal fatto che egli ribadisce e sottolinea questo concetto, nei primi tre versi della terza strofa, con tre diverse soluzioni espressive (saremo nuovi, non saremo noi, saremo altri). Ma il nuovo inizio durerà poco: in breve tempo, infatti, gli uomini nuovi e altri commetteranno gli stessi errori dei loro predecessori, riedificando (verbo che assume una sfumatura quasi ossimorica) il guasto che ora imputano ai voi, tradendo così quella promessa di novità tanto esaltata nei primi versi della stessa strofa.
È proprio questa, secondo il poeta, l’unica palingenesi (un termine di origine greca che alla lettera significa rigenerazione, rinascita) che sembra essere consentita all’uomo: non imparare nulla dai propri errori e continuare ad attribuirne agli altri la responsabilità.
La mancanza di volontà – o di capacità – da parte degli uomini di capire il significato della propria esistenza e di quella del mondo, ormai privo di certezze e di solidi valori di riferimento – per lo smarrimento causato dalla bruttura delle guerre e dalle incertezze di un’incombente e alienante modernità – determina nel poeta un senso di angoscia, che si concretizza e si manifesta in frasi brevi e in toni epigrammatici: la scelta di utilizzare la maggior parte dei verbi al futuro appare, in questa prospettiva di lettura, particolarmente significativa, perché proietta la ripetizione del triste scenario che caratterizza il presente anche in un tempo destinato a venire. Questo preoccupante presagio è affidato appunto a versi che hanno quasi il sapore di sentenze, che il poeta tenta di far imprimere nella mente e nel cuore del lettore, quel voi con cui egli cerca, malgrado tutto, di instaurare un dialogo.
Proprio per questo motivo – per cercare, cioè, di risultare chiaro e diretto – il poeta sceglie una lingua tra il letterario (il complesso termine che dà il titolo al componimento, palingenesi, i vocaboli finimento e abominio…) e il colloquiale (il verbo raccattare, l’espressione punto per punto…); per quanto riguarda le figure retoriche, predilige l’enjambement, che gli consente di mettere in primo piano alcune parole chiave del testo (distruzione e guasto) e l’uso insistito di una figura retorica di suono, l’allitterazione della lettera r, che caratterizza tutti i versi del componimento, sottolineando verbi ed espressioni (resteremo, raccatteremo, distruzione, riedificheremo…) particolarmente significativi per far comprendere il forte messaggio affidato al testo: non vi è altra soluzione, per cambiare davvero le cose, che imparare dai propri sbagli. In caso contrario, come scrive ancora Caproni in un’altra sua lirica, intitolata Proposito, fa freddo nella storia.
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