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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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Genesi, genere e fonti della Commedia

in INTRODUZIONE ALLA COMMEDIA \ LECTURA DANTIS

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LA GENESI POLITICO – RELIGIOSA

Dante Alighieri, florentinus et exul immeritus – fiorentino ed esule senza colpa – dal 1302 si ritrova a vivere, profondamente deluso dalla vita politica, in un mondo corrotto e dimentico delle più importanti virtù, cosa che dimostra che l’ordine provvidenziale voluto da Dio è ormai sconvolto.

La Chiesa e l’Imperatore, artefici e garanti di quest’ordine, non sembrano infatti più in grado di svolgere in modo adeguato i loro compiti: la Chiesa, sempre più attratta dal potere terreno e dal lusso, appare dimentica della sua missione (che comprende anche la tutela dei valori della tradizione, non solo di quelli della religione); l’Imperatore non assicura più una serena vita civile e, ciò che appare ancor più grave agli occhi di Dante, si disinteressa completamente delle sorti dell’Italia.

La principale conseguenza di questa situazione è che gli uomini hanno perso il rispetto reciproco e vogliono prevaricare gli uni sugli altri: le lotte civili, la cupidigia, il tramonto delle virtù cavalleresche… sono solo alcuni dei segnali che la civitas dei, la città di Dio che gli uomini del Medioevo avevano sperato di realizzare in Terra, è ormai un sogno lontano.

Di fronte a tutto ciò Dante si sente incaricato di mostrare all’uomo la via della salvezza: per questo egli intraprenderà addirittura un viaggio nell’oltretomba, che racconterà in un poema. Questo viaggio è una vera e propria missione, che solo pochi, prima di lui, hanno potuto compiere, per scopi altissimi: Enea (per incontrare il padre, Anchise, che gli svela il suo destino e la futura grandezza della civiltà romana, di cui sarà il fondatore) e San Paolo (per rafforzare la fede e predicare la salvezza delle anime). Dante, con l’atteggiamento astorico che fu proprio della cultura medioevale, mette questi due illustri predecessori sullo stesso piano e si presenta come il loro erede: egli immagina di essere stato chiamato direttamente da Dio per prendere su di sé la funzione di questi due illustri predecessori, quella politica di Enea (che nel suo caso consiste nel rifondare la civitas dei) e quella spirituale di Paolo (che anche per lui consiste nel rafforzamento della fede). Questa missione lo avvicina, quindi, a un profeta biblico: Dante, infatti, racconta l’esperienza immaginaria del suo viaggio – sottolinea nei suoi studi l’illustre dantista Bruno Nardi (1884 – 1968) – come se fosse una vera visione profetica, simile a quelle sperimentate dai mistici medioevali – che cadevano in una vera e propria trance -, per attribuirle quella forza e quella credibilità che si augura possano mutare gli uomini del suo tempo (e non solo…), rivelando loro un messaggio di rigenerazione morale e spirituale che li spinga a realizzare una società ordinata e giusta, che sappia riprodurre sulla Terra la pace e la giustizia che attendono gli uomini in cielo.

In questo modo il suo personale cammino di salvezza diventa quello di tutti gli uomini, trasformando l’esperienza personale in un insegnamento di valore universale: Dante, infatti, come scrive in una lettera a Cangrande della Scala, si propone di allontanare gli uomini dal peccato e di condurli alla felicità. La sua opera non è dunque concepita per la mera speculazione religiosa o filosofica, ma per avere esiti concreti nella vita di ogni uomo, che ha il dovere di esprimere, nel pensare e nell’agire, il meglio delle proprie possibilità, ma che deve anche riconoscere i propri limiti e saper affidarsi a Dio.

Alla luce di queste considerazioni si comprende perché Dante si ponga in una posizione di giudice e di moralista nei confronti degli uomini del suo tempo (e non): egli arriva addirittura a invocare castighi e punizioni per chi ritiene responsabile della situazione dei suoi giorni, con un atteggiamento che non va ascritto alla presunzione, bensì al reale desiderio che le cose possano cambiare. La certezza di essere stato investito da Dio di una missione salvifica gli consente pertanto di

– denunciare la corruzione della Chiesa
– denunciare la corruzione dei sacerdoti
– giudicare i politici e i loro comportamenti
– giudicare gli uomini comuni e i loro comportamenti

Per svolgere al meglio questo compito egli rievoca spesso i tempi antichi, da opporre a quelli attuali: l’età feudale e cavalleresca diventa così il contraltare di quella mercantile, dedita ai subiti guadagni e dimentica della cortesia e della virtù.

LA STESURA

Dante, dopo anni di studio e di intenso lavoro, compose un poema di 14.233 versi, diviso in tre cantiche, Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ogni cantica termina con la parola stelle ed è suddivisa in trentatré canti: il numero totale dei canti è però cento, perché la cantica dell’Inferno ne ha trentatré più uno, che funge da introduzione generale all’opera.
Ogni canto comprende un numero variabile di versi, tra i 115 e i 160.

Si è molto discusso sulla periodizzazione della stesura della Divina Commedia e i pareri restano tuttora discordi.

Secondo la maggior parte degli studiosi Dante cominciò a scrivere la Divina Commedia nel 1307 (o poco prima); alcuni, però, come Giovanni Ferretti, pensano che egli abbia iniziato nel 1304, perché l’apertura dell’VIII canto dell’InfernoIo dico, seguitando – ha fatto supporre, primo tra tutti a Giovanni Boccaccio, che la composizione di questa cantica sia avvenuta in due tempi distinti (i primi sette canti a Firenze, prima del 1301, e gli altri a partire dal 1304, o, appunto, dal 1306 -1307).

Le fasi della stesura dell’opera vengono ricostruite sulla base di due diversi elementi, gli argomenti interni e gli argomenti esterni. Gli argomenti interni sono i riferimenti che Dante fa a vicende storiche: essi permettono di stabilire che i versi in questione sono sicuramente posteriori alla data citata; gli argomenti esterni sono le citazioni o i riferimenti alla Commedia che si trovano in altri testi, che ne confermano la diffusione e la conoscenza. Sulla base di questi elementi è possibile ricostruire la seguente periodizzazione della stesura della Commedia:

CANTICA

COMINCIATA...

TERMINATA...

NOTA DAL...

TESTIMONIANZA

CANTICA

INFERNO

COMINCIATA...

1306-1307?

Scritta prevalentemente in Toscana

TERMINATA...

Attorno al 1309 – 1310 (le allusioni ai fatti storici si fermano al 1309)

NOTA DAL...

Probabilmente dal 1312 (per altri, 1314)

TESTIMONIANZA

Manoscritto del 1314 dello scrittore Francesco da Barberino, che parla di un’opera di Dante che tratta dell’Inferno

CANTICA

PURGATORIO

COMINCIATA...

Dopo il 1308

Scritta prevalentemente a Verona

TERMINATA...

Nel 1313 – 1315 (le allusioni ai fatti storici si fermano al 1313 o, per altri, al 1315)

NOTA DAL...

Probabilmente dal 1317 (per altri, 1318)

TESTIMONIANZA

Trascrizione di alcuni versi sui cosiddetti Memoriali Bolognesi

CANTICA

PARADISO

COMINCIATA...

Dopo il 1316

Scritta tra Verona e Ravenna

TERMINATA...

Poco prima del 1321

NOTA DAL...

Parzialmente noto tra gli amici già prima del 1321

TESTIMONIANZA

Epistola a Cangrande della Scala, a cui Dante dedica il primo (o i primi) canti della cantica

Il Paradiso uscì, postumo, nel 1321, a cura dei figli del poeta: l’enorme sforzo compositivo che la Commedia costò al suo autore è testimoniato dallo stesso poeta nel XXV canto del Paradiso, in cui, parlando della sua opera, dice “poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra, / sì che m’ha fatto per molti anni macro” (versi 1 – 3).

LA TRASMISSIONE e LE PRINCIPALI EDIZIONI

Non possediamo un manoscritto autografo della Commedia dantesca; abbiamo però ben 800 codici, cioè copie manoscritte che furono realizzate in tempi diversi e che attestano l’enorme fortuna di quest’opera. La fattura e il materiale con cui questi codici sono stati realizzati dimostrano che la Commedia riscosse molto successo sia presso la gente comune che presso un pubblico aristocratico e borghese: possediamo infatti codici di scarsa qualità e realizzati con materiali economici e altri in pergamena – un materiale molto costoso – illustrati con bellissime e preziose miniature.

Il codice più antico con data certa in nostro possesso, il codice Landiano 190, è databile al 1336 ed è conservato presso la Biblioteca Comunale Passerini – Landi di Piacenza.

La prima stampa della Commedia è del 1472, anno in cui essa vide la luce in tre diverse città, Foligno, Mantova e Venezia; nel 1555, a Venezia, l’opera fu stampata per la prima volta con il titolo Divina Commedia, secondo le indicazioni di Ludovico Dolce, che ne curò il commento.

Nel 1888 è nata la Società Dantesca Italiana, che promuove lo studio della Commedia, diffonde pubblicazioni sull’opera, realizza e segue iniziative culturali che tengano vivo il ricordo di Dante.

L’edizione critica più importante del capolavoro dantesco resta quella curata – in oltre dieci anni di lavoro – da Giorgio Petrocchi, uscita nel 1966/1967 e basata sul confronto dei 27 manoscritti più antichi che abbiamo a disposizione (La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, Edizione Nazionale della Società Dantesca Italiana, Milano, 1966 – 1967).

IL GENERE LETTERARIO

La Divina Commedia appartiene al genere letterario delle visioni, molto diffuso sia nella letteratura classica che in quella medioevale e che ebbe un notevole successo anche nelle arti figurative.

I precedenti più illustri dell’opera dantesca furono Il libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva (1274) e il De Jerusalem celesti e il De Babilonia civitate infernali di Fra Giacomino da Verona, caratterizzati da contenuti e scritture molto semplici: in entrambe le opere, manca, per esempio, un sostrato teologico e la rappresentazione delle pene infernali e delle gioie del Paradiso è legata a codici di comunicazione estremamente elementari (con i diavoli che arrostiscono i dannati sullo spiedo o i beati che mangiano cibi gustosissimi in luoghi incantevoli).

Alcuni studiosi, tra cui Maria Corti, hanno pensato che Dante possa aver tratto ispirazione anche da Il libro della scala, un testo arabo dell’VIII secolo, tradotto prima in castigliano e poi in latino, in cui si racconta un viaggio nell’aldilà di Maometto, accompagnato dall’arcangelo Gabriele. Tale accostamento sembra legittimato dal fatto che la ripartizione dei peccati nell’oltretomba presentata da questo testo è molto simile a quella dantesca.

Sono decisamente evidenti i rimandi e le influenze anche di altri generi letterari, numerosi e variegati:

la Bibbia
il libro dell’Apocalisse
numerosi testi classici, sia di poeti, come Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio, Lucano, Stazio… (Dante, per esempio, si ispira all’XI canto dell’Odissea e all’intero VI libro dell’Eneide per raccontare il suo viaggio nell’oltretomba) sia di prosatori come Cicerone, Sallustio, Seneca, Valerio Massimo…
la tragedia e la commedia classiche (quest’ultima, per esempio, fonte di ispirazione nel tratteggio delle figure dei diavoli)
il poema allegorico (per esempio il Roman de la Rose, una vera e propria enciclopedia che tratta il tema dell’amore cortese)
la letteratura didattica ed enciclopedica (per esempio il Tesoretto del suo maestro, Brunetto Latini)
i romanzi bretoni (in cui il viaggio è inteso come un susseguirsi di prove da superare per raggiungere meritatamente la meta desiderata)
alcune novelle trecentesche

Dante, a volte, entra esplicitamente in gara con queste fonti, riconoscendo comunque sempre il suo debito nei confronti di quegli autori che egli – è bene ricordarlo – citava spesso a memoria e che reputava dei modelli di riferimento imprescindibili. Il risultato di questi diversi apporti è una sintesi culturale senza precedenti, in cui convivono cultura classica e cultura cristiana, filosofia antica e teologia, visione politica e visione religiosa…

La Commedia è quindi un poema didascalico, perché pensata per diffondere conoscenze religiose, teologiche, filosofiche, politiche, culturali… che Dante, come detto, ritiene imprescindibili per la vita dell’uomo. È dovere del poeta tramandare i preziosi insegnamenti ricevuti, perché altri, a loro volta, possano fare altrettanto, per costruire un futuro che sia in grado di guardare avanti senza mai dimenticare il passato, di cui esso si deve nutrire.

IL SOSTRATO FILOSOFICO

Alla base della stesura della Commedia c’è infatti un’intensa e accurata preparazione in ambito filosofico.

Dante studiò filosofia a partire dagli anni Novanta del Duecento. Sicuramente dedicò un’attenzione particolare ad Aristotele, soprattutto all’Etica Nicomachea, che egli leggeva, non conoscendo il greco, nella traduzione latina: studiando questo testo, il più importante trattato morale scritto da Aristotele, Dante ebbe modo di riflettere a lungo su che cosa siano il bene e la felicità; proprio da questo testo dice di aver desunto le tre principali disposizioni al male (incontinenza, cioè incapacità di trattenere gli istinti, violenza e frode) che determinano la struttura dell’Inferno. Meno approfondita fu invece la sua conoscenza di un altro grande filosofo greco, Platone, che egli conobbe solo in modo indiretto, soprattutto grazie alla lettura degli scritti di Sant’Agostino; ebbe modo di leggere anche i commenti ad Aristotele dei filosofi arabi Avicenna (X – XI secolo) e Averroè (XII secolo). Questa articolata preparazione filosofica, solitamente riservata agli ecclesiastici, costituisce una base imprescindibile per comprendere i contenuti della Commedia, in cui sono chiaramente riconoscibili altre tre importanti correnti di pensiero.

La prima è la filosofia Scolastica che, partendo dal presupposto che la verità è già stata rivelata agli uomini attraverso le Sacre scritture, non si propone, come la filosofia precedente, di trovare la verità, ma di comprendere meglio quella che ci è già stata data nella rivelazione indagando, soprattutto, il rapporto tra ragione e fede.

La seconda è il pensiero di San Tommaso d’Aquino (1225/6 – 1274): egli, convinto seguace della filosofia di Aristotele, riesce in qualche modo a fondere i principi dell’aristotelismo e quelli del cristianesimo, dimostrando che la rivelazione non annulla né rende inutile la ragione, perché quest’ultima ha comunque un ruolo importante nell’avvicinare l’uomo alla fede.

La terza base è costituita dal misticismo, lo slancio che porta a Dio con un’esperienza del tutto individuale e personale, l’estasi – in cui l’uomo dimentica completamente il proprio corpo e la propria umanità – che non può essere né descritta né raccontata. Dante è particolarmente vicino, in questo atteggiamento, alle posizioni di Sant’Agostino (354 – 430), San Bernardo (1091 – 1153) e San Bonaventura (1221 – 1274).

L’elemento comune di questi pensieri filosofici è la consapevolezza del fatto che Dio è il senso ultimo di tutte le cose: conoscere equivale, per tutti, a prendere atto del fatto che ciò che affermano i testi sacri è il vero. La condivisione di questa posizione porta con sé un’altra fondamentale certezza: l’universo è perfettamente regolato dalla volontà di Dio, che tutto ha creato e che tutto ha perfettamente disposto. Tutto, quindi, dalle realtà più umili a quelle più alte, trova un senso in Lui: è proprio la ricerca di questo senso che costituirà l’argomento principale del viaggio dantesco…

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