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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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Fr. 347 V (94 D)

in TESTI \ ALCEO \ POETI MELICI MONODICI E CORALI \ LETTERATURA GRECA

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In questo frammento Alceo invita a bere per combattere il caldo estivo

1Τέγγε πλεύμονας οἴνῳ, τὸ γὰρ ἄστρον περιτέλλεται,
ἀ δ’ ὢρα χαλέπα, πάντα δὲ δίψαισ’ ὐπὰ καύματος,
ἄχει δ’ ἐκ πετάλων ἄδεα τέττιξ…
ἄνθει δὲ σκόλυμος, νῦν δὲ γύναικες μιαρώταται,
5λέπτοι δ’ ἄνδρες, ἐπεὶ < δὴ > κεφάλαν καὶ γόνα Σείριος
ἄσδει…

Bagna i polmoni con il vino, infatti l’astro compie il suo giro,
la stagione (è) dura, tutto brucia dall’arsura,
canta soavemente tra le foglie una cicala…
fiorisce il cardo, ora le donne ardono davvero di desiderio,
gli uomini invece (sono) sfatti, poiché Sirio il capo e le ginocchia
rende fiacchi…

(traduzione di A. Micheloni)

Questi versi, che ci sono stati tramessi da Proclo, un grammatico del II secolo d.C., e da Ateneo, un erudito del II – III secolo d.C., tratteggiano un quadretto estivo: il calore brucia la natura, una cicala frinisce tra i rami, il cardo fiorisce tra la vegetazione seccata dal sole. Non resta che combattere la sete bevendo del buon vino, che possa rinvigorire gli uomini, prostrati dal caldo intenso e dalla stanchezza, affinché possano di nuovo raccogliere l’invito delle donne, che in questa stagione si accendono particolarmente di desiderio…

Gli elementi scelti per tratteggiare questo panorama estivo sono quelli tipici della stagione: il caldo, la vegetazione bruciata dal sole, la cicala (che Platone, nel Fedro – 259 c -, cita come animale sacro alle Muse, che le hanno donato la dolcezza del canto con cui allieta le sere d’estate). C’è anche un astro che, a seconda della traduzione prescelta, tramonta (e in questo caso si tratterebbe del Sole, che lascia dietro di sé le ore del pomeriggio, le più calde dell’estate) oppure compie il suo giro (e si alluderebbe, allora, alla costellazione del Cane, di cui Sirio, citata al verso 5, è la stella più grande e più brillante: proprio da questa costellazione deriva il nome canicola, che indica il momento più intenso di caldo estivo). Questa seconda interpretazione appare preferibile, non solo perché nei versi si cita esplicitamente Sirio, ma anche perché il verbo περιτέλλεται è attestato con il valore di compiere il corso già in Omero, che lo usa al verso 295 dell’XI libro dell’Odissea.

Per combattere l’afa, dicevamo, non resta che bere del buon vino. L’iniziale invito a bere è stato oggetto di discussione fin dall’antichità: ci aspetteremmo, in funzione di complemento oggetto di bagna con il vino, sostantivi come le labbra, la lingua, la gola o la bocca, non certamente i polmoni. Gli antichi hanno proposto, per giustificare questa espressione, due diverse spiegazioni. La prima invita a intenderla in senso metaforico: per combattere il caldo occorre bere con foga, fino ad arrivare quasi al punto di strozzarsi, facendosi mancare il respiro; la seconda fa invece riferimento a un passo di un’opera di Platone, il Timeo (91 a), dove si dice che i liquidi transitano dai polmoni alla vescica (ipotesi bizzarra ma sostenuta anche dal famoso e autorevole medico Ippocrate).

Bere vino non è però l’unico modo per trascorrere piacevolmente il tempo estivo: negli ultimi versi si allude, infatti, alla consumazione di rapporti sessuali. Questo accenno non deve meravigliare: nel mondo greco i rapporti sessuali (omosessuali ed eterosessuali) erano molto liberi. Del resto in questi versi si cita anche il cardo che, secondo lo scrittore latino Plinio (Nat. Hist. 22,86), ha, insieme al vino, virtù afrodisiache.

La descrizione dell’estate in un passo di poesia non è certamente nuova: Alceo si rifà esplicitamente ai versi 582 – 596 de Le opere e i giorni, l’opera più famosa del poeta greco Esiodo, vissuto agli inizi del VII secolo a.C., in cui leggiamo, nella traduzione di Ettore Bignone:

Quando il cardo è fiorito, e l’armoniosa cicala,
in vetta ai rami posando, riversa il suo tinnulo canto,
fitto, di sotto dell’ali, nel caldo estivo che spossa,
sono più grasse le capre e il vino allora è migliore,
sono le donne più ardenti e gli uomini sono più fiacchi;
perché di Sirio la vampa le teste allor fiacca e le gambe
e secca è la pelle.

Era prassi normale, per i poeti dell’antichità, mettersi a confronto con altri poeti, non per imitarli, ma per emularli, per creare, cioè, una sorta di gara che desse lustro a entrambi, modello e imitatore. Nonostante alcune evidenti somiglianze di singole parole o di intere espressioni, emerge infatti, da questi versi, il differente carattere dei due poeti. Esiodo preferisce tratteggiare un semplice quadretto descrittivo, formato da brevi frasi coordinate in cui aggettivi e sostantivi si limitano a rappresentare un infuocato pomeriggio estivo, in cui la calura causa, tra l’altro, anche la sete; Alceo parte invece proprio dalla sete, mettendo subito in luce la necessità di bere per sopportare il calore, scelta che conferisce ai versi, che si sviluppano in un rapporto di subordinazione, un intenso valore emotivo.

Ne è una conferma anche il modo in cui Alceo trasforma l’accenno esiodeo alla pelle secca per l’arsura, che diventa, nei suoi versi, un tutto brucia dall’arsura: l’immagine di Alceo è decisamente molto più forte e intensa, proprio perché i suoi versi non sono l’astratta descrizione di una stagione, come quelli di Esiodo, ma un pezzo di bravura da recitare durante un simposio. In questo tipo di banchetto si riunivano coloro che condividevano con il poeta non solo l’amicizia, ma anche ideali, progetti di vita e cultura: proprio la loro formazione culturale li metteva in grado di riconoscere e di apprezzare il rimaneggiamento di questi grandi versi del passato, usati da Alceo per motivare, in modo originale e alto, l’invito a bere e a trascorrere in amicizia le ore più calde del giorno a un tu generico che non poteva che essere un compagno di bevute (nel testo di Esiodo, infatti, la presenza del vino è marginale e costituisce solo uno dei tanti spunti della descrizione).

Analisi del testo

METRO: asclepiadei maggiori

Τέγγε: seconda persona singolare dell’imperativo presente, per dare più forza all’invito; il tu a cui si rivolge il poeta è sicuramente, come detto, un compagno del simposio.

πλεύμονας: equivale a πνεύμονας, una forma secondaria che nacque nel momento in cui questo sostantivo fu messo in relazione con il verbo πνέω, soffiare, respirare.

οἴνῳ: dativo strumentale.

ἀ δ’ ὢρα: corrisponde all’attico ἡ δ(ὲ) ὥρα; è presente il fenomeno della psilosi, cioè l’assenza di spirito aspro sull’articolo e a inizio di parola.

χαλέπα: corrisponde all’attico χαλεπή, in quanto è presente il fenomeno della baritonesi; è sottintesa la terza persona singolare del verbo essere.

δίψαισ(ι): corrisponde all’attico διψῶσι, terza persona plurale del presente indicativo del verbo δίψαιμι (attico διψάω), essere assetato.

ὐπά: corrisponde all’attico ὑπό; anche in questo caso è evidente il fenomeno della psilosi. Con καύματος forma un complemento di causa efficiente.

ἄχει: corrisponde all’attico ἠχεῖ, verbo che ha la stessa radice del sostantivo eco (e infatti la sua traduzione letterale è risuona). La scelta del verbo è particolarmente felice, dal momento che della cicala, nascosta tra le fronde, si ode solo la voce.

ἄδεα: corrisponde all’attico ἡδέα; è un accusativo neutro plurale con valore avverbiale dell’aggettivo ἡδύς.

ἄνθει: corrisponde all’attico ἀνθεῖ; anche in questo caso è presente il fenomeno della baritonesi.

γύναικες νῦν δὲ μιαρώταται: in attico, dove non è presente il fenomeno della baritonesi, l’accento si sposta sulla lettera iota e diventa circonflesso: γυναῖκες. Le donne sono definite μιαρώταται: in realtà Alceo non usa spesso questa forma di superlativo.

λέπτοι: in attico l’accento si sposta sul dittongo finale (λεπτοί) poiché qui si è verificato il fenomeno della baritonesi; l’aggettivo ha una forte connotazione sessuale. Da notare la felice disposizione in chiasmo dei sostantivi uomini e donne e degli aggettivi corrispondenti.

κεφάλαν: corrisponde all’attico κεφαλήν; anche in questo caso è presente il fenomeno della baritonesi.

γόνα: è la forma del dialetto di Lesbo che corrisponde all’attico γόνατα.

ἄσδει: corrisponde all’attico ἄζει; acquista maggior forza grazie all’enjambement che lo separa dai suoi due complementi oggetto.

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