Nome
in MORFOLOGIA \ GRAMMATICANDO \ GRAMMATICA ITALIANA
Genere

Maschile o femminile?
Può capitare a tutti di non conoscere il genere di un nome: in questi casi è opportuno controllare il vocabolario.
I dubbi più frequenti riguardano alcune malattie (diabete, enfisèma, eritèma, glaucoma…), tutte di genere maschile, e il sostantivo acme, di genere femminile.
A volte è possibile un cambio di genere nel passaggio dal singolare al plurale: avremo così il carcere e le carceri, una eco (ma è accettato anche il maschile) e gli echi.

Il femminile dei titoli pubblici
Da tempo le donne ricoprono gli stessi incarichi e assolvono le stesse funzioni degli uomini: bisogna però ricordare, con buona pace di tutti, che non sempre è corretto usare il femminile dei titoli che li indicano, perché alcune femminilizzazioni hanno un risultato decisamente sgradevole.
Così, se è consuetudine utilizzare espressioni come la Premier o la Senatrice – soprattutto se graditi o espressamente richiesti -, in alcuni casi, per far comprendere il sesso di chi riveste un incarico, è meglio citare il nome proprio: la ministra Roccella, per esempio, sarà sostituito dal più elegante ed eufonico il ministro Eugenia Maria Roccella.
Numero

Il plurale dei vocaboli terminanti in – CA e – GA
I nomi che terminano in – ca e – ga formano il plurale
→ in – chi e – ghi se sono maschili
→ in – che e – ghe se sono femminili
Avremo così i monarchi, i colleghi, le barche e le botteghe…
L’unica eccezione a questa regola è il termine belga, che, probabilmente per influenza del vocabolo Belgio, da cui deriva, forma il plurale in – gi: diremo quindi i Belgi e regolarmente, al plurale femminile, le belghe.

Il plurale dei vocaboli terminanti in
– CO e – GO
I nomi che terminano in – co e – go possono avere il plurale in – ghi e in – gi.
Di solito, però, si privilegia la forma in – ghi: avremo così i chirurghi (e, meno frequentemente, chirurgi), i manici (e manichi) …
L’unica eccezione a questa regola è il termine asparago, che ammette solo la forma in – gi (asparagi).

Il plurale dei vocaboli terminanti in – IO
Per scrivere correttamente il plurale dei nomi che appartengono a questo gruppo è necessario osservare la – i:
– SE È ACCENTATA → il plurale sarà in – ii (zìo → zii)
– SE NON È ACCENTATA → viene eliminata (figlio → figli, in cui la i finale è la desinenza del plurale).
Questa regola NON si applica quando il plurale scritto con una sola i può generare confusione. È il caso del plurale dei vocaboli assassino e assassinio, omicida e omicidio, che, seguendo la regola appena enunciata, risulterebbero indistinguibili.
In questo caso si userà la doppia i per il plurale del vocabolo che termina in – io, anche se la i non è accentata.
Avremo così:
assassino → assassini
omicida → omicidi
omicìdio → omicìdii

Il plurale dei vocaboli terminanti in – CIA e – GIA
Per scrivere correttamente il plurale dei nomi che appartengono a questo gruppo, è necessario osservare la – i:
– SE È ACCENTATA → il plurale sarà in – cìe e – gìe (farmacìa → farmacìe)
– SE NON È ACCENTATA → bisogna guardare la lettera che precede il gruppo – cia e
– gia:
♦ se è una vocale, la i resta (camicia → camicie)
♦ se è una consonante, la i scompare (provincia → province).

Il plurale dei vocaboli terminanti in – SCIA
Il plurale dei nomi che appartengono a questo gruppo è sempre in – sce.
Avremo così l’angoscia e le angosce, la fascia e le fasce, la biscia e le bisce…

Il plurale dei nomi terminanti in
– LOGO e – FAGO
Per questi nomi non esiste una regola grammaticale: i plurali a volte sono accettati sia nella forma in – ghi che in quella in – gi, altre volte hanno solo quella in – gi.
Avremo così gli antropologi o antropologhi e gli antropofaghi o antropofagi, ma i monologhi (e non *i monologi) e i dialoghi (e non *i dialogi).
Da questi esempi si può però dedurre una semplice norma pratica:
→ per i nomi di persona è meglio usare la forma in – gi
→ per i nomi di cose è meglio usare la forma in – ghi
L’unica eccezione è costituita dai nomi esofago e sarcofago, che preferiscono il plurale esofagi e sarcofagi (anche se la forma in –ghi non è sbagliata, è solo meno comune).

Il plurale dei nomi composti… col CAPO!
Il plurale dei nomi composti con il termine capo si comporta in modo diverso (e non mancano neppure le eccezioni). In linea di massima la regola da seguire prevede che:
1. quando il termine capo ha il valore di “chi è a capo di un lavoro / di qualcosa”, il plurale si forma cambiando la desinenza solo al termine capo
il capotreno → i capitreno, il capogruppo → i capigruppo, il caposquadra → i capisquadra
(con alcune eccezioni: per esempio il capocuoco → i capocuochi, il capocomico → i capocomici)
2. quando il termine capo ha il valore di “chi è in una posizione di superiorità / chi inizia qualcosa”, il plurale si forma cambiando la desinenza del secondo elemento
il capostipite → i capostipiti, il capodanno → i capodanni
3. quando il composto è di genere femminile e il termine capo ha il valore di “chi è a capo di qualcosa”, il plurale è invariabile
la capolista → le capolista, la caposquadra → le caposquadra
(con alcune eccezioni: per esempio la capocuoca → le capocuoche, la caporedattrice → le caporedattrici).

Questione… di EURO!
Nessuna incertezza: l’Accademia della Crusca, la nostra maggior autorità in ambito linguistico, ha ufficialmente stabilito che euro è un nome indeclinabile. Pertanto esso resta uguale al singolare e al plurale.

Plurali SOVRABBONDANTI
Alcuni vocaboli hanno, per il plurale, più forme di genere diverso, che devono essere usate con attenzione, perché assumono significati differenti: per esempio è il caso di
muro
labbro
braccio
ciglio
dito
grido
osso
corno
le mura (di una città)
le labbra (parte del corpo)
le braccia (parte del corpo)
le ciglia (parte del corpo)
le dita (insieme)
le grida (umane)
le ossa (umane)
le corna (sporgenze ossee)
i muri (di un edificio)
i labbri (di una ferita)
i bracci (di un oggetto)
i cigli (i bordi di un oggetto)
i diti (tipologia: i diti medi)
i gridi (animali)
gli ossi (animali)
i corni (strumenti musicali)…
muro → le mura (di una città) → i muri (di un edificio)
labbro → le labbra (parte del corpo) → i labbri (di una ferita)
braccio → le braccia (parte del corpo) → i bracci (di un oggetto)
ciglio → le ciglia (parte del corpo) → i cigli (i bordi di un oggetto)
dito → le dita (insieme) → i diti (tipologia: i diti medi)
grido → le grida (umane) → i gridi (animali)
osso → le ossa (umane) → gli ossi (animali)
corno → le corna (sporgenze ossee) → i corni (strumenti musicali)…
A volte, invece, sono accettabili entrambe le forme: si possono usare indifferentemente, pertanto, orecchi e orecchie, ginocchi e ginocchia…
In questi casi, di solito, la forma femminile è preferita per le espressioni figurate: per esempio, mi fai venire il latte alle ginocchia, fare le orecchie alla pagina…

Plurali… STRANIERI!
Molti vocaboli stranieri, soprattutto inglesi, sono ormai di uso comune anche nell’italiano: come ci si deve comportare quando li si utilizza al plurale?
La regola vuole che questi vocaboli, proprio perché considerati ormai parte della nostra lingua, ne seguano le regole, rifiutando la forma plurale propria della lingua d’origine: sarà l’articolo a indicare che essi sono al plurale.
Avremo così i film (e non *films), i file (e non *files), i goal (e non *goals)…
Parole… parole… parole

Parole latine (VERBA MANENT!)
Se si decide di usare un vocabolo latino, è opportuno farlo in modo corretto! Ricordiamo, pertanto, che
il plurale di curriculum è curricula, perché a è la corretta desinenza di questo termine latino al plurale
i vocaboli latini che sono passati inalterati nella lingua italiana sono resi plurali per mezzo dell’articolo: avremo così il (o i) referendum, l’ (o gli) ultimatum, il (o i) post scriptum…
il vocabolo gratis (dal latino gratiis), che corrisponde all’avverbio gratuitamente, non è mai preceduto dalla preposizione a!

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