Liber, Carme 43
in TESTI \ CATULLO \ L’ETÀ DI CESARE \ LETTERATURA LATINA
Lesbia, la più bella…
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Agli occhi dell’innamorato Catullo non c’è donna più bella di Lesbia: ne fa le spese una giovane ragazza di provincia, che viene presa come termine di paragone della bellezza dell’amata…
Salve, nec minimo puella naso
nec bello pede nec nigris ocellis
nec longis digitis nec ore sicco
nec sane nimis elegante lingua,
decoctoris amica Formiani.
Ten provincia narrat esse bellam?
Tecum Lesbia nostra comparatur?
O saeclum insipiens et infacetum!
Ti porgo i miei saluti, fanciulla dal naso non piccolo,
dal piede non grazioso e dagli occhi non scuri,
dalle dita non affusolate e dalla bocca non asciutta,
dal modo di parlare certamente non elegante
amica del fallito di Formia.
La provincia dice che tu sei carina?
La mia Lesbia è paragonata a te?
Che generazione senza gusto e senza spirito!
(traduzione di A. Micheloni)
Dopo un saluto cerimonioso, Catullo si rivolge a una ragazza con dei contenuti e dei modi decisamente discutibili. Non è la prima volta, in realtà, che se la prende con la destinataria di questi versi: dal verso 5 comprendiamo, infatti, che si tratta di Ameana, una prostituta già bistrattata dal poeta nel carme 41, proprio come l’uomo di cui è detta essere amica, il fallito di Formia, cioè il cavaliere Mamurra, prefectus fabrum (comandante del genio) di Cesare in Gallia, fatto oggetto di insulti e d’invettive nei carmi 29 e 114, in cui si lascia intendere – nemmeno troppo velatamente – che è un immorale e un corrotto.
Catullo non può sopportare che qualcuno abbia osato paragonare la bellezza di questa ragazza a quella della sua Lesbia: per questo egli, invece di elencare le caratteristiche fisiche che rendono bellissima Lesbia, come facevano i poeti alessandrini nei loro epigrammi, preferisce presentare i difetti fisici che da un lato rendono brutta questa ragazza e che, dall’altro, finiscono, per contrasto, per esaltare il meraviglioso aspetto di Lesbia.
Proprio da questa lettura per contrasto emergono gli elementi che formano il canone di bellezza del tempo, che trova conferma nei versi dei poeti elegiaci latini (in particolare Tibullo e Properzio): la figura retorica della litote (che consiste nella negazione del contrario di ciò che si vuole dire), presente per ben sei volte nel testo e sottolineata dall’anafora (la ripetizione a inizio verso) della negazione, ci permette infatti di capire che un naso dalle dimensioni contenute, dei bei piedi (nella statuaria le donne romane hanno spesso piedi grossi e sgraziati, cosa che fa supporre che un piede piccolo e aggraziato fosse un pregio, come del resto attesta lo stesso Catullo nel carme 68, in cui ai versi 70 – 71 elogia il grazioso piede di Lesbia), gli occhi scuri (più espressivi di quelli chiari), le mani affusolate, la bocca piccola (e quindi non sbavante) e un grazioso modo di parlare (a cui gli elegiaci aggiungono l’alta statura, i capelli biondi, l’incarnato chiaro…) costituiscono i principali elementi che caratterizzavano l’ideale di bellezza femminile del tempo.
È interessante il fatto che la descrizione tratteggiata da Catullo contenga un elogio non solo dei pregi fisici, ma anche delle doti culturali e spirituali: la capacità di conversare in modo elegante e garbato (e non sguaiato e volgare, come quello di Ameana) acquista infatti lo stesso peso specifico che hanno le qualità fisiche. A buon diritto, dunque, Catullo se la prende con la società provinciale del tempo che, priva di gusto e di senno, non comprende le qualità di una vera signora, messa al pari di una sgraziata provinciale che ha come unica qualità positiva… quella di essere l’amante di uno spiantato!
Analisi del testo
METRO: endecasillabi faleci
Minimo naso: ablativo di qualità, come tutti quelli che seguono. L’inserimento del vocabolo puella tra sostantivo e aggettivo crea un iperbato, che ha il compito di mettere in risalto l’aggettivo, accompagnato dalla sua negazione.
Bello: l’aggettivo bellus è spesso usato da Catullo al posto del più frequente pulcher. Esso, che appartiene alla lingua popolare, è il diminutivo di bonus (anticamente benus – diminutivo di benulus – che diventa poi bellus) ed è usato in senso affettuoso, preferibilmente per donne e bambini, con il valore di carino, grazioso.
Ocellis: questo sostantivo può essere inteso in due modi diversi: come vezzeggiativo (occhietti graziosi) o come diminutivo peggiorativo (occhietti piccoli, che non risaltano nel viso). Naturalmente è quest’ultimo il valore che gli assegna Catullo nel carme.
Ore sicco: in questa litote, a differenza di quanto accade nelle altre, il sostantivo precede l’aggettivo: non si tratta di una semplice variatio, ma di un modo per far risaltare meglio lo spiacevole difetto della donna.
Nimis: questo avverbio intensivo è molto comune nel lessico colloquiale.
Elegante: la desinenza dell’ablativo in – e, anziché in i, è dovuta a motivi metrici.
Decoctoris: questo termine è un deverbativo dal verbo decoquo, che significa fondere, (se riferito ai metalli) o scuocere (se riferito ai cibi): di qui il senso traslato di liquefare, cioè scialacquare, i propri beni. Del resto, se è vero ciò che racconta Plinio (Nat. Hist. 36,7), Mamurra doveva aver speso una bella cifra per far rivestire di marmo tutti i muri della sua villa sul monte Celio!
Amica: questo vocabolo, nel lessico tecnico d’amore, vale amante.
Ten: sta per tene, formato dall’accusativo del pronome di seconda persona singolare e dall’enclitica –ne, che introduce un’interrogativa diretta.
Provincia: vale, per metonimia, i provinciali. La provincia in questione è quella della Gallia Cisalpina, di cui faceva parte anche la città di Verona.
Narrat: nel linguaggio della conversazione vale dicit.
Nostra: è un plurale maiestatis, da tradurre con mia.
Comparatur: Lesbia soggiornò a Verona con il marito, Quinto Metello Celere, che fu governatore della Gallia Cisalpina dal 64 al 62 a.C.; anche Cesare si fermò spesso a Verona con i suoi uomini e dunque anche con Mamurra, accompagnato da Ameana. Il paragone tra le due donne era dunque nato dai pettegolezzi dei provinciali, che le avevano viste di persona.
Saeclum: forma sincopata per saeculum; questo sostantivo è inserito in una struttura sintattica particolare, un accusativo esclamativo, che riferisce in modo diretto lo sdegno di Catullo, che non si dà pace per il fatto che i suoi contemporanei non sappiano distinguere il bello e il brutto, l’elegante e il raffinato, la cura e la sciatteria, il saper parlare e il blaterare…
Infacetum: il prefisso in indica la mancanza: in infacetum di facezie, ossia di spirito (inteso come spirito critico), in insipiens di saggezza (deriva da in + sapio, non sono saggio).
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