Fabulae V, 6
in TESTI \ FEDRO \ L’ETÀ GIULIO CLAUDIA \ LETTERATURA LATINA
I calvi e il pettine (V, 6)
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In questa favola di Fedro due calvi trovano un pettine.
Invenit calvus forte in trivio pectinem.
Accessit alter, aeque defectus pilis.
“Heia! – inquit – in commune quodcumque est lucri”.
Ostendit ille praedam et adiecit simul:
“Superum voluntas favit, sed fato invido
carbonem, ut aiunt, pro thesauro invenimus”.
Quem spes delusit, huic querela convenit.
Un uomo calvo trovò per caso un pettine in una strada pubblica.
Si avvicinò un altro uomo, ugualmente senza capelli.
“Ehi! – disse – qualunque sia il guadagno, (è) in comune.”
Quello mostrò il bottino e aggiunse nello stesso tempo:
“Il volere degli dei del cielo ci ha favorito, ma, per colpa del destino invidioso,
abbiamo trovato del carbone, come si dice, anziché un tesoro”.
La lamentela si addice a chi la speranza ha deluso.
(traduzione di A. Micheloni)
Questi versi propongono, come succede sempre nelle favole di Fedro, un episodio di vita quotidiana, dal quale è possibile trarre un insegnamento, consegnato alla parte finale, la proverbiale “morale della favola”.
In questo caso i protagonisti sono due uomini, un fatto piuttosto inconsueto, perché Fedro predilige di gran lunga gli animali.
Uno di loro, passeggiando per strada, trova un pettine. In realtà egli si trova non in una strada qualunque, ma in trivio, cioè all’incontro di tre strade diverse. Solitamente in questi punti venivano edificate piccole cappelle per il culto della dea Ecate, detta anche Trivia, perché si presentava in tre forme diverse: come dea del cielo, identificata con Diana, come dea della terra, identificata con Demetra, come dea degli inferi, identificata con Proserpina. Si credeva che questa divinità si aggirasse di notte per le strade con le anime dei morti: proprio per questo le strade erano a lei consacrate.
Ma torniamo ai due calvi: il ritrovamento per strada del pettine non può che sembrare loro una beffa del destino. Essi infatti si aspettavano una praedam (cioè un ricco bottino): che cosa se ne fanno, invece, di un pettine? Al posto di un tesoro hanno dunque trovato del semplice carbone. Quest’espressione era un modo di dire proverbiale, usato sia dai Latini che dai Greci, per indicare la delusione a cui va incontro chi si aspetta grandi cose che sono state promesse ma che non arriveranno mai… Questo detto nasceva da una superstizione popolare, che invitava a mettere in pratica precisi riti scaramantici prima di scavare nel terreno: senza questi riti sarebbe stato facile trovare, invece di oro e di argento, del semplice carbone. Un po’ come capita ancora oggi ai bambini, che, se non si sono comportati bene, trovano del carbone nelle loro calze della Befana, a riprova della radice antichissima di questa tradizione…
Il responsabile di questa beffa viene identificato dai due calvi nel Fato, che era, per i Romani, la divinità più potente di tutte, a cui erano sottoposti anche gli dei. Il suo nome (che deriva dal verbo fari, parlare) allude proprio all’inesorabilità di quanto è stato detto, cioè stabilito, per ciascun uomo. Non deve meravigliare il fatto che il Fato sia detto invidioso degli uomini, perché sia il Fato che gli dei, nella cultura classica, erano considerati così gelosi del proprio potere e della propria fama da ostacolare gli uomini che si fossero anche solo avvicinati alla loro felicità.
La morale che Fedro consegna a questa favola è dunque molto semplice: è giusto lamentarsi quando si pensa che il destino si sia preso gioco di noi. In realtà è possibile aggiungere un’ulteriore sfumatura, sottintesa ma ben più significativa: i due calvi possono essere infatti considerati l’emblema di tutti gli uomini, che si dimostrano spesso avidi di ricchezza e pronti a discutere per il possesso di qualcosa, come cani intorno all’osso, secondo l’imperatore Marco Aurelio. Ben venga, dunque questa lezione: gli uomini imparino a non perdere tempo nelle contese, per non ritrovarsi tra le mani un magro bottino, rappresentato da un pettine che non servirà a nulla!
Analisi del testo
METRO: senario giambico
Forte: avverbio dal sostantivo fors, fortis, che indica il caso. Esso è andato progressivamente sparendo, a causa della concorrenza del sostantivo fortuna; l’ablativo forte è invece rimasto in uso, con valore avverbiale.
In trivio: complemento di stato in luogo. Come detto, il sostantivo trivium indica il luogo in cui si incontrano tre strade (esso deriva, infatti, dall’avverbio ter e il sostantivo via); in senso traslato indica semplicemente una strada pubblica in cui si incontrano molte persone, non sempre perbene. Di qui l’aggettivo triviale.
Alter: la scelta di alter (e non alius) è determinata dal fatto che le persone che si incontrano sono due.
Aeque: sottintende un secondo termine di paragone: ac ille, come lui.
Defectus pilis: alla lettera l’espressione vale “abbandonato dai capelli”: pilis deve essere pertanto considerato un complemento di causa efficiente. Ricordiamo che il verbo deficere ha molteplici costrutti con differenti significati, che devono essere accuratamente posti in evidenza sul vocabolario, come già fatto nelle video lezioni di Grammaticando per altri importanti verbi latini e greci.
Heia: questa interiezione di solito esprime meraviglia: in questo caso meglio attribuirle un valore esortativo o esclamativo.
Inquit: questo verbo – indicativo presente o perfetto di inquam – si trova sempre col discorso diretto e si colloca dopo una o più parole del discorso stesso.
In commune: sottende un’espressione come dividamus (congiuntivo esortativo, dividiamoci) oppure confer, fer (metti). Alla lettera è un complemento di moto a luogo costruito con l’aggettivo communis, e, usato al neutro sostantivato.
Quodcumque est lucri: ricordiamo che il latino vuole il modo indicativo dopo i composti in – cumque; lucri è un genitivo partitivo, come sempre dopo i pronomi o gli aggettivi sostantivati che indicano quantità.
Superum: corrisponde a superorum e va riferito a un deorum sottinteso: gli dei superi sono gli dei del cielo, in opposizione agli dei inferi, che stanno nel mondo sotterraneo. La desinenza – um al posto di – orum è frequentemente usata per molti nomi della seconda declinazione (come, per esempio, i composti di vir e i sostantivi che indicano misure o monete…).
Voluntas: Fedro ha posizionato nel verso i termini voluntas e fato con la figura retorica del chiasmo, per sottolineare in modo ancor più evidente la contrapposizione tra queste due entità.
Favit: il verbo faveo regge il dativo: si può pertanto sottintendere un nobis. Questo verbo viene usato perché trovare qualcosa è comunque un segno di benevolenza da parte degli dei.
Fato invido: è un ablativo di causa, equivalente a fati invidia.
Ut aiunt: allude all’origine proverbiale del detto citato. Aiunt è la terza persona plurale dell’indicativo presente del verbo aio, difettivo.
Quem… delusit: la presenza della prolessi della relativa fa sì che la struttura sintattica debba essere riordinata in Querela convenit (ei) quem spes delusit. La scelta di questa costruzione è dovuta all’esigenza di mettere in primo piano la parte più significativa del periodo, per richiamare l’attenzione su chi è stato beffato dalla sorte.
Querela: questo sostantivo (derivato dal verbo queror, che significa lamentarsi) indica la lamentela che si fa dopo essere stati delusi, offesi o ingannati. Di qui il valore assunto dal termine – rimasto identico anche nella nostra lingua – in ambito legale.
Convenit: corrisponde a decet, cioè si addice, è adatta.
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