Fabulae IV, 3
in TESTI \ FEDRO \ L’ETÀ GIULIO CLAUDIA \ LETTERATURA LATINA
La volpe e l’uva

Fame coacta vulpes alta in vinea
uvam adpetebat, summis saliens viribus;
quam tangere ut non potuit, discedens ait:
“Nondum matura est; nolo acerbam sumere”.
Qui facere quae non possunt verbis elevant,
adscribere hoc debebunt exemplum sibi.
Una volpe, spinta dalla fame, in un pergolato
cercava di prendere dell’uva, saltando con tutte le forze;
ma, siccome non riuscì a toccarla, andandosene disse:
“Non è ancora matura; non voglio prenderla acerba”.
Coloro che svalutano a parole le cose che non possono fare,
dovranno riferire questo ammaestramento a sé stessi.
(traduzione di A. Micheloni)
La volpe nelle favole rappresenta l’astuzia: essa, di solito, tesse inganni a danno degli altri e scopre inganni fatti a suo danno. In questa favola, invece, la volpe, con una buona dose di ipocrisia, pur di non ammettere il proprio fallimento (il primo passo per tentare di migliorarsi!), prova addirittura ad ingannare sé stessa. La favola non ha bisogno di una morale enunciata con la classica formula introduttiva: quanto raccontato è talmente chiaro che basta un rapido accenno a coloro che, proprio come la volpe, non esitano a denigrare ciò che non possono ottenere.
Questa favola è un chiaro esempio di ciò che i Latini intendevano per vertere. Quando un autore identificava un modello a cui fare riferimento, non ne creava una imitatio, cioè una versione in grado di riprodurne fedelmente contenuti e concetti, ma dava vita a una vera e propria aemulatio, cioè a una sorta di competizione tra imitatore e imitato. Fedro, con la scrittura de La volpe e l’uva, ha realizzato una aemulatio del suo modello di riferimento, la versione esopica di questa favola. Rileggiamola insieme:
Una volpe affamata, quando vide dei grappoli d’uva pendere da un pergolato, volle prenderli, ma non ci riuscì. Allontanandosi, disse tra sé: “Sono grappoli acerbi”.
Allo stesso modo alcuni (degli) uomini, non potendo raggiungere i (loro) scopi, danno la colpa dell’incapacità alle circostanze.
Creare una aemulatio vuol dire confrontarsi, tanto per cominciare, con il lessico del modello di riferimento. In questo caso, per esempio, in latino manca il vocabolo pergolato, che è stato invece utilizzato da Esopo: Fedro supplisce a questa mancanza con la perifrasi in un’alta vigna, che gli consente di collocare i fatti nello stesso spazio tratteggiato dal modello, poiché le viti alte sono quelle che vengono fatte arrampicare su un pergolato. La presenza dell’aggettivo alta gli consente inoltre di non tradurre il participio pendenti, che è invece presente nel testo greco.
Per quanto riguarda i contenuti, Fedro decide di dare maggior risalto ad alcuni momenti della narrazione esopica, per esempio agli sforzi fatti dalla volpe per raggiungere l’uva: per evidenziarli al meglio egli ricorre alla figura retorica dell’allitterazione, avvicinando dei vocaboli, summis saliens viribus, in cui la ripetizione della lettera –s sembra quasi voler riprodurre foneticamente l’affanno della povera volpe, che Esopo, al contrario, non sottolinea affatto.
Per dare ancora maggior risalto a questa fatica, Fedro decide di non liquidare il fallimento dell’impresa in due parole, come fa Esopo (ma non ci riuscì): egli riferisce infatti l’insuccesso (una vera disfatta, perché la volpe non solo non riesce a prendere l’uva, ma non arriva nemmeno a toccarla!) con una struttura sintattica complessa, una subordinata causale che contiene anche un nesso relativo.
Ma ciò che nelle due versioni della favola cambia in modo davvero significativo è il commento della volpe: lo stringato “Sono grappoli acerbi” di Esopo diventa, in Fedro, una riflessione completa, in cui il verbo nolo, non voglio, mette ancor meglio in risalto il tentativo della volpe di auto ingannarsi, come se l’allontanamento dipendesse esclusivamente da una volontà propria e non – piuttosto – da un clamoroso insuccesso…
Come si può vedere da questo breve confronto, Fedro ha saputo dare alla sua versione della favola un sapore nuovo e diverso, pur mantenendosi fedele al modello di riferimento. L’aemulatio gli ha consentito di rendere il racconto più vicino al suo mondo e alla sua epoca: scrivendo questa favola egli aveva certamente ben presenti gli arrampicatori sociali dei suoi giorni, che si sforzavano di ottenere posizioni di prestigio più con le parole che con i fatti, e che, in caso di fallimento, si guardavano bene dall’assumersene la responsabilità…
Risulta altrettanto interessante la rivisitazione di questa favola fatta dal celebre favolista francese Jean de La Fontaine (1621 – 1695), che leggiamo nella traduzione di Emilio De Marchi:
Una volpe, chi dice di Guascogna
e chi di Normandia,
molto affamata, andando per la via,
in un bel tralcio d’uva s’incontrò,
così matura e bella in apparenza,
che damigella subito pensò
di farsene suo pro.
Ma dopo qualche salto,
visto che troppo la vite era in alto,
pensò di farne senza.
E disse: “È uva acerba, un pasto buono
per ghiri e per scoiattoli”.
Ciò che non posso aver, ecco ti dono!
J. de La Fontaine, Favole, trad. E. De Marchi, Einaudi, Torino
Analisi del testo
METRO: senario giambico
Alta in vinea: anastrofe (cioè inversione dell’ordine consueto delle parole) per in alta vinea. Il vocabolo vinea di solito indica la vigna o il vigneto: in questo caso, però, l’attributo alta fa capire che si tratta di un pergolato, perché in una vigna, in cui le viti rasentano il terreno, non ci sarebbe alcuna necessità di saltare.
Quam: è un nesso relativo, che in questo caso è bene sciogliere con un valore avversativo: sed eam.
Elevant: il verbo è formato dalla preposizione e e dal verbo levo: alla lettera, pertanto, il suo significato è togliere via.
La Sofisteria
L’ETÀ GIULIO CLAUDIA in LETTERATURA LATINA

GRAMMATICA ITALIANA

SCUOLA DI SCRITTURA

GRAMMATICA LATINA

GRAMMATICA GRECA

LETTERATURA ITALIANA

LECTURA DANTIS

LETTERATURA LATINA
