Un’Eneide… cristiana!
In FULGENZIO \ ASPETTI E CARATTERISTICHE DELLA CULTURA MEDIOEVALE \ IL MEDIOEVO \ LETTERATURA ITALIANA

Fulgenzio, un erudito latino vissuto in Africa nel V secolo – all’epoca della dominazione dei Vandali – fu conosciuto e apprezzato per tutto il Medioevo per le sue opere basate sull’etimologia e sull’allegoria. Tra le più famose c’è sicuramente l’Expositio vergilianae continentiae (Esposizione del contenuto di Virgilio) una breve operetta – poco più di una decina di pagine – in forma di dialogo in cui Fulgenzio immagina di incontrare il poeta Virgilio, che gli spiega il modo corretto di intendere la sua opera: Enea deve essere interpretato come la rappresentazione della vita umana nelle sue diverse età e il suo viaggio come la prefigurazione del cammino dell’anima umana verso la salvezza.
Leggiamo dunque insieme i paragrafi 151 – 152 di questa operetta:
Nel secondo e nel terzo libro Enea è attirato dalle favole; da esse è abituata a essere attratta la garrulit๠fanciullesca. Perciò alla fine del terzo libro egli vede i Ciclopi indicati da Achemenide²: acos infatti in greco è detta la tristezza, cyclos è chiamato in greco il circolo. Dunque la puerizia, poiché pes si chiama in greco il fanciullo, appena affrancata dal timore dei suoi allevatori³, ignora la pena del riflettere e si abbandona alla instabilità fanciullesca. Si dice, anche, che il Ciclope ha solo un occhio in mezzo alla fronte perché l’instabilità del fanciullo non comporta visione piena né razionale, e tutta l’età del fanciullo si leva arrogante come il Ciclope.
Il perché dell’occhio sulla testa sta nel fatto che quello non vede e non intende nulla se non in modo arrogante. E il sommo saggio Ulisse glielo acceca, cioè: la vanagloria è accecata dal fuoco dell’intelletto. E lo abbiamo chiamato anche Polifemo come dire apolunta femen, perché noi in latino diciamo che perde il buon nome. Dunque alla baldanza della giovinezza e alla perdita del buon nome si accompagna la cecità propria di quell’età. Infatti, perché questa fase della vita si chiarisca con piena evidenza, allora Enea seppellisce il padre. E, a mano a mano che essa cresce, rifiuta le pesanti interferenze della potestà paterna. E il porto di Drépano dà sepoltura – Drépano è appunto come dire drimipedos: perché drimos significa acerbo e pes è detto il fanciullo – e la ragione è che l’acerbità giovanile ripudia la disciplina paterna. Liberato dunque l’animo dalla sanzione paterna, nel quarto libro passa alla caccia e si accende d’amore e, costretto da tempesta e nubifragio, come immerso in una perturbazione mentale, compie adulterio⁴. Rimane a lungo in questo stato finché, incitato da Mercurio, abbandona l’amore malamente arrischiato, frutto della sua passione: Mercurio infatti è posto come il dio dell’intelligenza; dunque, quell’età, incitata dall’intelletto, lascia le zone dell’amore. E l’amore, disprezzato, muore e, arso, finisce in cenere, perché, quando lo espelle via il cuore giovanile illuminato dall’autorità della mente, scende nella tomba dell’oblio e si riduce in cenere.
Fulgenzio, Expositio vergilianae continentiae, Istituto di Filologia Latina, Padova, 1972
La tecnica dell’allegoria consente a Fulgenzio di rileggere l’Eneide, un capolavoro del mondo classico – e quindi pagano – in senso cristiano, anche se per ottenere questo risultato egli deve forzare il testo di partenza, subordinando totalmente il significato letterale al sovrasenso allegorico, avvertito come l’unico vero significato: in questo atteggiamento l’autore non avverte nulla di sconveniente, perché per lui, come per gli uomini del Medioevo, tutto ciò che è accaduto ed è stato scritto non può che essere considerato una prefigurazione delle verità del Cristianesimo e deve dunque essere ricondotto al volere di Dio, di cui porta significazione.
Per Fulgenzio l’incontro di Enea con i Ciclopi – giganti con un solo occhio in mezzo alla fronte che, secondo la mitologia, abitavano in Sicilia – è pertanto l’allegoria dell’ingresso dell’anima umana, rappresentata appunto da Enea, nel periodo della fanciullezza, quando la fervida fantasia e la spensieratezza tipici dell’età danno ai ragazzi una certa arroganza e una visione parziale delle cose, simboleggiata dall’unico occhio del Ciclope, che per questo perde il buon nome (poiché la cecità intellettuale non può certo avere una buona nomea!).
Anche la perdita del padre, letta in senso allegorico, si colloca perfettamente nel momento dell’adolescenza: Enea / personaggio seppellisce il padre Anchise, Enea / anima umana con questo gesto rifiuta la disciplina paterna per affrancarsi dalla tutela della ragione e vivere delle esperienze lasciandosi guidare dall’istinto, dalla superficialità e dalla leggerezza, come è proprio dei giovani.
Particolarmente interessante risulta, in quest’ottica, la condanna dell’amore che si trova nell’ultima parte del passo proposto, perché anche in questo caso il contenuto dell’Eneide viene avvicinato ai precetti della religione cristiana, che considera la lussuria causa di peccato: non a caso l’innamoramento è accompagnato da nubifragio e tempesta, che rappresentano il turbamento dei giovani – nel testo definito perturbazione mentale – di fronte alla forza dirompente dei primi amori. Solo l’intervento provvidenziale di Mercurio, che deve essere inteso come la luce dell’intelletto, riesce a far estinguere il fuoco della passione, che ben presto si trasforma in cenere.
Per interpretare l’opera virgiliana in senso cristiano Fulgenzio utilizza abbondantemente anche l’etimologia, disciplina che spiega il significato delle parole basandosi sulla convinzione che i nomi, di origine divina, non possano non contenere riferimenti a Dio. E così, per quanto riguarda il nome dei Ciclopi, l’autore scrive e traduce correttamente i due termini intesi singolarmente, ma li assembla poi forzatamente in un significato, “colui che fa terminare la tristezza”, che non ha nulla a che vedere con il reale significato del termine, proprio come succede con il termine drimos, che, pur esatto, non ha nulla a che fare con il porto di Drépano, antico nome di Trapani, la località in cui muore il padre di Enea.
L’operetta di Fulgenzio, nonostante alcuni limiti e difetti (trascuratezza della forma, allegorie esasperate, etimologie fantasiose…), ebbe uno straordinario successo: fu proprio questa rilettura cristiana dell’Eneide – insieme all’interpretazione forzata dell’Egloga IV – a fare di Virgilio non solo uno dei poeti classici più amati del Medioevo, ma anche un profeta del Cristianesimo e un divulgatore di verità morali (in quanto anima naturaliter christiana, anima cristiana per natura), al punto da essere scelto da Dante come sua guida, nella Commedia, per attraversare l’Inferno e il Purgatorio.
Note

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