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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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D’estate

in TESTI \ PASCOLI GIOVANNI \ TRA OTTOCENTO E NOVECENTO \ LETTERATURA ITALIANA

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Giovanni Pascoli tratteggia un paesaggio estivo.

1Le cavallette sole
sorridono in mezzo alla gramigna gialla;
i moscerini danzano nel sole
4trema uno stelo sotto una farfalla.

G. Pascoli, Myricae, in Poesie, Garzanti, Milano

Giovanni Pascoli tratteggia un paesaggio estivo.

1Le cavallette sole
sorridono in mezzo alla gramigna gialla;
i moscerini danzano nel sole
4trema uno stelo sotto una farfalla.

G. Pascoli, Myricae, in Poesie, Garzanti, Milano

Questi versi fermano un attimo di vita della natura in un paesaggio assolato: le cavallette sorridono, i moscerini danzano, una farfalla si poggia su uno stelo…

Sembra dunque di assistere a un vero e proprio spettacolo che queste piccole creature mettono in scena per il poeta, che le osserva e le ritrae estasiato, con lo stupore e la gioia che prova un bambino che vede, in tutto ciò che lo circonda, qualcosa di magico. È la diretta conseguenza della poetica del fanciullino, su cui si basa la scrittura di Pascoli: egli sostiene, infatti, che dentro ciascuno di noi abita un fanciullino che, finché siamo piccoli, parla e pensa in piena sintonia con noi; quando cresciamo, rimane tale, cosa che fa sì che non se ne avverta più la voce. L’uomo adulto comincia infatti a rapportarsi alla realtà che lo circonda con un atteggiamento distaccato, freddo e razionale; il fanciullino continua invece a meravigliarsi e ad accorgersi di cose che gli adulti, troppo occupati nel loro serio e monotono quotidiano, non notano più. Solo i poeti riescono ancora a udire la sua voce, che detta loro versi pieni di stupore…

Se rileggiamo dunque questi versi con lo sguardo stupito del fanciullino, ci rendiamo conto che Pascoli vi ha attuato un ribaltamento che è in grado di far diventare grandi le cose piccole e piccole quelle grandi: lo sguardo innocente e puro del fanciullino che è nel poeta non si è infatti soffermato sui grandi spettacoli della natura (come gli oceani in tempesta, le foreste intricate, gli sterminati deserti…) ma sulla vita di questi piccoli animali che ci trasmettono la gioia di vivere in un assolato e caldo pomeriggio d’estate, in cui essi sorridono, danzano, giocano… Insomma, sembra dire il poeta, godiamoci il momento e la gioia che esso porta con sé, cogliendo la felicità che infondono in noi quelle piccole cose che sono alla nostra portata…

Ma dietro a questi versi non c’è solo una ben precisa concezione poetica: c’è anche il ricordo del mondo classico, in particolare di versi che descrivono la campagna, intesa come il luogo in cui l’uomo ha un rapporto privilegiato con la natura. Nelle Bucoliche del poeta latino Virgilio, per esempio, la campagna ha i contorni del locus amoenus (cioè del luogo felice), così come succede negli Idilli del poeta greco Teocrito: nei versi di entrambi la campagna è un luogo sereno, luminoso, allietato da animali e dai suoni della natura, in cui i pastori e i contadini si dedicano al canto, alla poesia e all’amore. Anche nei versi di Pascoli, in cui animali e natura sono gli unici protagonisti, si respira proprio questa sensazione di positività: basta soffermarsi sul colore giallo della gramigna – sicuramente dovuto al calore del sole che l’ha bruciata – che non riesce a evocare un’idea di aridità, ma che fa piuttosto pensare al giallo del sole – non a caso citato subito dopo – che suggerisce una solarità piena, appagante, vivificatrice.

Nell’apparente semplicità di questo quadretto si nasconde dunque un invito a cogliere l’attimo, a immergersi nella vita della natura per carpirne l’essenza e per sentirsi tutt’uno con essa. E che questi versi non debbano essere intesi come un semplice divertissement lo conferma anche la loro accurata stesura, a partire dalla struttura metrica. Essi formano infatti una sola quartina con schema ABAB (rima alternata) in cui la rima A è particolarmente preziosa, perché si tratta di una rima equivoca, cioè di una rima che mette in rapporto parole uguali con significato diverso (l’aggettivo sole, solitarie, e l’astro che brilla nel cielo, il Sole).

Non solo. Nel testo è facilmente riconoscibile la presenza di una figura retorica di significato, la personificazione, che consiste nell’attribuire caratteristiche umane a ciò che umano non è: in questi versi, infatti, le cavallette sorridono e i moscerini danzano, proprio come se fossero esseri umani.

Ma sono sicuramente le figure retoriche di suono ad avere, in questi versi, il ruolo più importante. Sono infatti riconoscibili numerose allitterazioni (cioè ripetizioni di alcuni suoni): sole e sorridono cominciano entrambi per s; gramigna e gialla contengono ben tre g; la m di moscerini anticipa quella del seguente trema; in stelo sotto ritroviamo la presenza della s; trema e farfalla presentano una ripetizione della r… Si tratta, dunque, di un linguaggio fonosimbolico, cioè di un linguaggio in cui le parole sono scelte più per il loro suono che per il loro significato, che passa in secondo piano. La lettera r, per esempio, comunica, in poesia, una sensazione di fluidità e di elasticità: nel quarto verso essa esalta e sottolinea il lieve tremore dello stelo, che dondola sotto il leggero peso di una farfalla, evocando ai nostri occhi l’immagine di un equilibrista sul filo; la m, a sua volta, unisce i moscerini all’idea del tremore, enfatizzando il loro volo nella luce del sole…

Interessanti, infine, anche altri due espedienti retorici: l’uso dell’enjambement, che, separando le cavallette dal verbo di cui sono soggetto lo pone prepotentemente in primo piano, perché l’idea del sorriso sia messa in risalto con tutta la sua forza positiva, e, soprattutto, l’anastrofe (cioè l’inversione di parole rispetto all’ordine consueto in cui sono presentate, in questo caso soggetto e verbo) di trema uno stelo, che mette in primo piano il verbo tremare, come per suggerire la precarietà di questo breve attimo di felicità estiva, di cui non si deve esitare a godere…

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