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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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Aspetti e caratteristiche della cultura medioevale

in IL MEDIOEVO \ LETTERATURA ITALIANA

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Tra il VI e il XIII secolo si verificano, dunque, come abbiamo visto nella precedente lezione, sia l’estremo declinare della letteratura latina che il sorgere di una cultura, quella medioevale, in cui si rispecchiano una nuova concezione del mondo e un nuovo atteggiarsi dello spirito umano, guidato – e condizionato – dalla religione.

La Chiesa medioevale infatti, non ha solo un’importante funzione sociale ed economica, ma orienta ogni forma di sapere in senso teocentrico, ponendo cioè Dio al centro del mondo e considerandolo il fine ultimo di ogni cosa. Questo Dio non è però un padre, ma un padrone, il giudice inflessibile di un peccatore debole e sottomesso, l’uomo.

La linea di svolgimento di questa nuova cultura non è pertanto da ricercare negli studi letterari, ma piuttosto in quelli teologici e filosofici: al centro del dibattito culturale ci sono infatti i problemi che riguardano la relazione tra Dio e l’uomo, la missione morale e i doveri di quest’ultimo, tra cui il disciplinamento di tutte le forme di sapere ereditate dall’antichità in un grande corpus unitario e ordinato in cui la teologia diventa la disciplina fondamentale, di cui tutte le altre sono ancelle. Di qui le Summae (Compendi), vere e proprie enciclopedie del sapere in cui lo scibile umano, le scienze e le discipline sono messi in rapporto tra loro (perché intesi come un unico mezzo per comprendere lo svolgersi dell’opera di Dio nel mondo) e subordinati alle verità fondamentali e immutabili della religione.

Proprio per questo motivo alcune dottrine restano escluse dalla rosa degli studi: il caso più eclatante è quello dell’astrologia. La cultura greco-romana accettava l’influenza degli astri sull’uomo, sentito come parte del ciclo della natura; a questa concezione si oppone, per esempio, S. Agostino (354 – 430) sulla base dei concetti cristiani di libero arbitrio e redenzione. Nonostante le illustri opposizioni le dottrine astrologiche continuarono però a diffondersi tenacemente per tutto il Medioevo – come testimonia anche la Divina Commedia di Dante – e furono seguite fino a Rinascimento inoltrato.

1. LA CONCEZIONE TRASCENDENTE DELLA VITA

L’uomo medioevale crede che la vera vita non sia quella del corpo, ma quella dell’anima: egli ritiene, pertanto, che sua anima sia condizionata e contaminata dalla realtà terrena – paragonabile alla schiavitù degli Ebrei presso gli Egizi – che le impedisce di elevarsi al cielo, la sua sede predestinata. Questa contaminazione è dovuta al peccato originale, che, come viene raccontato nel libro della Genesi, fu commesso dai nostri progenitori, Adamo ed Eva: solo chi in vita saprà mantenere una condotta conforme agli insegnamenti della Chiesa potrà tornare, dopo la morte, alla vera vita, quella dell’aldilà. Per ottenere questo risultato l’uomo medioevale ha un punto di riferimento imprescindibile, la Bibbia, in cui trova tutto quello che gli serve per capire la realtà che lo circonda e per vivere da buon cristiano.

Questa concezione non impedisce comunque di guardare con forte interesse e viva partecipazione alla vita terrena, a condizione di far prevalere sul resto gli interessi religiosi e gli studi teologici e morali.


2. LA TEORIA POLITICA

La prima applicazione di questa concezione è evidente nella teorizzazione della natura dello Stato e della sua funzione: allo Stato non è infatti riconosciuta alcuna autonomia di fini, perché esso è inteso come lo strumento di una volontà provvidenziale, quella di Dio, cui esso è subordinato.

Nella classicità pagana non c’era stata frattura tra “uomo” e “cittadino”, perché l’individuo si realizzava in uno stato (la respublica) in cui religione e politica s’integravano a vicenda; nel pensiero medioevale, invece, la Chiesa si incarica di rispondere ai bisogni spirituali dell’uomo, che lo Stato non è in grado di assorbire. Essa, che ritiene l’uomo incapace di tendere al vero bene senza una guida superiore, arriverà non solo ad affermare la supremazia morale del potere spirituale (eterno e celeste) su quello temporale (materiale e terreno), ma addirittura a teorizzare la necessità di creare uno stato teocratico, la Respublica Christiana, che si propone di diffondere il regno di Dio. Nel tentativo di tradurre in pratica questa concezione teocratica e di porsi come punto di riferimento non solo spirituale ma anche politico e sociale di tutta l’umanità la Chiesa si scontrerà prima con l’autorità imperiale (basti pensare, per esempio, alla bolla Unam sanctam, promulgata il 18 novembre 1302, con cui Papa Bonifacio VIII impone la supremazia del potere spirituale su quello temporale) e, in seguito, con le nuove forze politiche emergenti, i comuni e le signorie, piegandosi a una progressiva mondanizzazione (vale a dire al perseguimento degli interessi tipici di coloro che vivono nel mondo, cioè i laici: si pensi, per esempio, alla figura dei vescovi conti) e politicizzazione, atteggiamenti che favoriranno la nascita di movimenti ereticali, che si propongono di restaurare l’originario messaggio evangelico di povertà e spiritualità.


3. LA CONCEZIONE DELLA STORIA

Il Cristianesimo intende la storia come un percorso che ha avuto un inizio (la creazione) e che tende a una fine (la fine del mondo); essa è retta universalmente ed eternamente dal disegno di Dio. In questa prospettiva di lettura ogni uomo è uno strumento della Provvidenza; i fatti della storia non costituiscono il prodotto di azioni umane ma il dispiegamento della volontà divina, in quanto momenti di un processo provvidenziale che giustifica tutte le vicende dell’umanità, anche di quella pagana (la sanguinosa storia di Roma, ad esempio, è interpretata come preparazione della redenzione, perché l’unità politica che la Roma di Augusto realizzò per volontà di Dio è servita a creare quell’unità territoriale che ha facilitato la diffusione della religione cristiana).

In questa concezione manca evidentemente il senso dell’evoluzione storica e delle trasformazioni della società e dell’uomo attraverso i secoli: le sue conseguenze più eclatanti sono l’astoricità, cioè la tendenza ad adattare e a interpretare i fatti secondo la propria mentalità (non è infrequente, per esempio, trovare l’attribuzione a Greci e Romani di usi e costumi medioevali) e l’incapacità di distinguere ciò che è storico da ciò che non lo è (da cui deriva l’attendibilità storica concessa a figure leggendarie come quella di re Artù).

Questo discutibile approccio alla storia porta addirittura alla creazione di documenti apocrifi, cioè falsi, come quello della donazione di Roma a Papa Silvestro da parte dell’imperatore Costantino I (272 – 337), un atto che doveva servire come base giuridica per il nascente potere temporale della Chiesa ma che fu scritto nella lingua e nella grafia latina medioevale, come dimostrato nel 1440 dall’umanista Lorenzo Valla (1407 – 1457).

Solo dall’XI secolo appaiono i primi segni di cambiamento: le opere storiche, pur rimanendo nella sostanza fedeli alla concezione teocentrica, cominciano a mostrare un maggior interesse per l’aspetto terreno dell’agire umano.


4. LA FILOSOFIA

Gli studi filosofici restano monopolio della Chiesa per tutto il Medioevo, dominati dalla necessità di dare ai problemi dell’esistenza una spiegazione in senso cristiano: mai come in questo momento la filosofia viene a coincidere con la teologia.

Già S. Agostino si era soffermato sull’esigenza, di origine platonica, di spiegare la derivazione del mondo dalla divinità e su quella mistica di concepire l’ascesa a Dio come un processo che sfugge alla ragione. Questi spunti sono il punto di partenza del pensiero filosofico medioevale, che inizia solo con l’XI secolo, quando il dibattito culturale si fa indubbiamente più vivace e si concretizza in due diverse – e opposte – interpretazioni della realtà, quella razionale e quella mistica.

La prima fa capo a San Tommaso d’Aquino (1225 – 1274) e all’ordine dei Domenicani: essi, nel tentativo di riportare la realtà a misura d’uomo, tendono a giustificare il ruolo autonomo della ragione (la ratio) e a privilegiare l’argomentazione razionale. Proprio per questo il loro sistema filosofico viene accolto e approfondito soprattutto nelle università, presso i ceti colti dell’aristocrazia e negli ambienti ecclesiastici legati alla Curia di Roma.

La seconda interpretazione, quella mistica, ha il suo principale esponente in San Bonaventura da Bagnoregio (1217 – 1274); essa esalta l’importanza della rivelazione divina e della fede, intesa come puro slancio irrazionale. Il rapporto con Dio è dunque un fatto del tutto privato, che sfocia spesso nell’estasi (la contemplazione interiore di verità assolute che stanno al di là di qualsiasi controllo razionale), ottenuta con la preghiera o mortificando il corpo con punizioni e sofferenze, che consentono di liberarsi dai bisogni terreni. Il misticismo si accompagna frequentemente, infatti, alla pratica dell’ascetismo, cioè al disprezzo del mondo e della vita terrena.


5. L’ARTE

Anche l’arte ha un fine fortemente indirizzato alla religiosità: l’architettura si occupa della realizzazione delle case di Dio, cioè di grandi cattedrali e monasteri, la scultura e la pittura riproducono soggetti di natura religiosa (vite dei santi, Madonne con il Bambino, momenti della vita di Gesù…), che hanno il compito non solo di abbellire queste case, ma anche di educare gli analfabeti e gli illetterati, affinché essi imparino a rinunciare ai vizi e a perseguire la virtù. Assolvono a questa seconda funzione soprattutto le facciate e i capitelli delle chiese, che incutono il terrore del peccato – e del conseguente castigo di Dio – raffigurando mostri, diavoli e animali spaventosi.

Tutto questo senza trascurare i valori simbolici e soprannaturali che caratterizzano il pensiero medioevale: il posizionamento dell’altare, per esempio, è sempre a Est, dove sorge il Sole, simbolo di Cristo risorto, e le proporzioni delle chiese rispondono spesso a calcoli che assecondano le proprietà dei numeri, che esprimono misteriose corrispondenze tra uomo e Dio.


6. LA SCIENZA

La scienza medioevale non può non partire dal libro che è considerato la fonte più attendibile di ogni sapere, le Sacre Scritture: ciò che vi si legge viene ritenuto indiscutibilmente vero e pertanto non può essere né soggetto a verifiche né corretto con esperimenti o osservazioni dirette. Un sapere, dunque, che più che accresciuto deve essere custodito: di qui l’atteggiamento sostanzialmente passivo che gli uomini medioevali mostrano nei confronti della scienza e della possibilità di effettuare nuove scoperte.


7. LA CULTURA E LA LETTERATURA

Dal VII al X secolo si verifica un decadimento della cultura: le difficili vicende storiche lasciano poco spazio, infatti, a poesia e letteratura, oltretutto intese come momenti inferiori in una scala di valori che va dal sensibile al sovrasensibile, dalla conoscenza immediata alla rivelazione di verità superiori.

Eppure, nonostante questi limiti, nell’elaborazione del nuovo diritto romano – germanico, nelle comunicazioni politiche amministrative, nella tradizione delle scuole ecclesiastiche e laicali si sviluppano le basi di una nuova letteratura, che darà i suoi frutti dall’XI secolo in poi e che è caratterizzata da

  • unità tra gli scritti di natura religiosa e profana
  • importanza della classicità (soprattutto latina)
  • tendenza all’interpretazione allegorica.

Esaminiamo in dettaglio questi tre aspetti.

Nella cultura medioevale non c’è opposizione tra letteratura religiosa e letteratura laica: se è vero che per parecchio tempo l’attività culturale resta monopolio dei chierici, è anche vero che essi, come già detto, si formano sia sulla Bibbia che sui testi classici e che si occupano indifferentemente di inni sacri e vite dei santi come di epistole e di rapporti diplomatici. Quando, dopo il 1000, con lo sviluppo delle università, si verifica una diffusione della cultura anche tra i laici, nell’attività letteraria rimane comunque evidente una forte componente religiosa, soprattutto in Italia, dove è più radicata l’influenza della Chiesa.

Del secondo punto parleremo diffusamente nella prossima lezione, per soffermarci, ora, su un elemento imprescindibile della cultura e letteratura medioevale, l’uso dell’allegoria. Questo termine, che deriva dal greco ἄλλον ἀγορέυω (allon agoreuo, “dico altro”), indentifica una tecnica di lettura che consiste nel cercare dei significati ulteriori e nascosti dietro al senso letterale. Essa – nata nel VI secolo a.C., quando si cominciò a cercare nei poemi omerici una saggezza segreta e/o a giustificare in questo modo dei passi ritenuti moralmente sconvenienti – viene sistematicamente adottata dagli uomini del Medioevo non solo per poter integrare ogni elemento nella propria visione del mondo (e non doverlo quindi rifiutare come un male), ma anche per poter vedere ovunque significati simbolici che alludono alla vita soprannaturale e ai misteri della fede. Così ogni realtà che ricade sotto il dominio dei sensi è avvertita – pur conservando le proprie caratteristiche, la propria concretezza e il proprio significato letterale – come il segno di una superiore realtà ultraterrena, perché, come afferma il filosofo e teologo Ugo di San Vittore (1096 – 1141 circa), la natura è un libro scritto dal dito di Dio. Proprio per questo s’indaga sugli effetti delle erbe (descritti e illustrati in appositi testi, gli erbari), sui vizi e sulle virtù degli animali (presentati nei bestiari) e sui poteri delle pietre e dei minerali (che sono spiegati nei lapidari). Anche il mondo classico possedeva simili manuali, ma con una differenza sostanziale: nella mentalità medioevale le proprietà di animali, piante e pietre sono da ricondurre a verità morali e di fede.

TESTI: AA.VV., La pantera nei bestiari medioevali

Sempre in quest’ottica si attribuiscono significati misteriosi e influenze nascoste anche ai nomi, perché le parole sono ritenute segni di Dio. Il termine “domenicani”, per esempio, che identifica l’ordine religioso nato nel 1216 per volontà di S. Domenico, è letto come “domini canes” cioè “cani del Signore” e quindi “persecutori degli eretici”: il patronimico del fondatore allude così a un senso più alto, dal momento che a quest’ordine era affidata la gestione del Tribunale della Santa Inquisizione, fondato nel 1184, che si occupava proprio della persecuzione degli eretici. Lo studio delle etimologie ha particolare successo: basti pensare all’opera di Isidoro di Siviglia (560 – 636), autore di una vasta enciclopedia dal significativo titolo di Etymologiarum libri viginti (Venti libri di etimologie).

Partendo da questo approccio nei confronti della realtà gli uomini del Medioevo arrivano a mettere in atto, se necessario, una sistematica deformazione e cristianizzazione del mondo classico: il pagano Virgilio, per esempio, è ritenuto un profeta (si pensi, a questo proposito, all’interpretazione dell’Egloga IV, in cui si celebra un bambino che i medioevali identificano con Gesù Cristo); le peregrinazioni di Enea, secondo Fulgenzio, un erudito latino del V secolo, simboleggiano il viaggio dell’anima verso la salvezza…

TESTO: FULGENZIO, Un’Eneide… cristiana!


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