L’evoluzione del
diritto matrimoniale
in EPITAFI DI ETA’ ELLENISTICA DEDICATI A FIGURE FEMMINILI / APPROFONDIMENTI / LETTERATURA GRECA

Nella precedente lezione abbiamo avuto modo di vedere alcuni cambiamenti che si verificarono, durante l’età ellenistica, nel rapporto tra la donna e la legge in ambito pubblico: le maggiori innovazioni in questa direzione sono però evidenti, senza alcun dubbio, nel diritto privato.
La nostra fonte di informazione più importante è costituita dai papiri documentari egiziani, che ci forniscono notizie precise e abbondanti: esse non devono però essere indiscriminatamente generalizzate, in quanto pertinenti, in modo specifico, al mondo egiziano. Le leggi che regolavano la vita delle donne greche residenti in Egitto e le leggi per le egiziane di nascita furono infatti profondamente diverse, perché queste ultime erano da sempre molto più indipendenti e meno vincolate alla tutela dell’uomo. Le donne greche, per esempio, anche nel periodo ellenistico continuarono ad avere spesso bisogno di un tutore per la stipulazione di un qualsiasi contratto, mentre le donne egiziane potevano farne a meno: l’evoluzione della prassi della tutela verificatasi in età ellenistica non portò quindi la donna a emanciparsi del tutto nei confronti del marito, ma almeno a far sì che tale pratica divenisse più una formalità legale che non una reale subordinazione.
Resta comunque il fatto innegabile che si ebbero, in età ellenistica, numerosi cambiamenti dei diritti delle donne sposate, sia greche che egiziane, come è possibile notare dai contratti di matrimonio, che costituiscono una documentazione ampia e diversificata per luoghi e caratteristiche, poiché non c’erano formule matrimoniali fisse, come dimostrano i papiri studiati dalla professoressa Orsolina Montevecchi, che ho avuto il privilegio di avere come insegnante del corso di Papirologia. L’esempio più celebre e citato, il papiro di Elefantina, databile al 311 a.C., permette di notare come per entrambi i contraenti, Eraclide e Demetria, si riconoscano diritti e obblighi sociali e morali: nessun rapporto extraconiugale per la moglie (alle righe 6 – 7 si legge, infatti, qualora Demetria sarà colta in fraudolenti macchinazioni contro l’onore del marito Eraclide, dovrà rinunciare a tutto ciò che ha portato con sé); nessuna possibilità (almeno giuridicamente) di adulterio sporadico con giovani schiave o prostitute per il marito, ma soprattutto nessuna facoltà, per quest’ultimo, di costituire un’altra famiglia o di avere figli con un’altra donna (alle righe 8 – 9 viene infatti espressamente detto che non sarà consentito a Eraclide di portare in casa un’altra donna per sé in modo tale da recar onta a Demetria, né di aver figli da un’altra donna né di indulgere a macchinazioni fraudolente contro Demetria, con qualsiasi pretesto); al marito viene inoltre fatto carico dell’obbligo del mantenimento della sposa (esplicitamente indicato alla riga 4: Eraclide procurerà a Demetria tutto quanto è conveniente a una moglie nata libera). Nel caso in cui la sposa venga meno ai suoi doveri perderà la dote; nel caso invece sia lo sposo a non tener fede alle promesse, non solo dovrà rendere la dote alla moglie, ma dovrà anche aggiungere un’altra quantità di denaro quale risarcimento per l’offesa da lei subita (alla riga 11 si fissano addirittura gli importi: Eraclide dovrà restituire a Demetria la dote di mille dracme che essa ha portato e cedere inoltre mille dracme della serie d’argento con [Tolomeo che reca l’effigie] di Alessandro).
Questo e altri contratti simili ci permettono di capire quanto sia cambiata la concezione del matrimonio. Nell’età classica, infatti, il matrimonio è inteso come una transazione privata, un affare concluso tra due capifamiglia – l’uno reale (il padre) e l’altro virtuale (il futuro marito) – in virtù del quale si pattuiscono la consegna di una donna per la procreazione di figli legittimi e il trasferimento della facoltà di disporre della persona che è oggetto di questo atto (cioè la qualità di κύριος, proprietario e tutore), accompagnando entrambi con una prestazione materiale destinata a regolare il funzionamento del rapporto, la dote (di qui la poco lusinghiera definizione della donna data da Aristotele – su cui torneremo nella lezione sulla donna nella filosofia ellenistica – che la intende come un animale riproduttore porta dote).
Tutti gli studiosi sono concordi nel sottolineare la grettezza di queste stipulazioni che non tenevano in alcun conto i reali sentimenti degli interessati proprio perché il matrimonio era considerato più importante per la crescita ed il rafforzamento della polis e dell’istituzione della famiglia che per la soddisfazione dei singoli interessati. Ugo Enrico Paoli, per esempio, in un suo celebre saggio intitolato La donna greca nell’antichità, alle pagine 44 – 45 sottolinea che “la donna andava a nozze con un uomo che non si era scelto e che non l’aveva scelta” e che spesso “conosceva appena”, destinatole per lo più per motivi economici. Il parere della donna era dunque del tutto insignificante, come viene attestato anche dalle testimonianze letterarie: per esempio Erodoto, nel libro VI delle sue Storie, parlando di Callia, conferma l’eccezionalità della concessione, che egli fece alle figlie, di scegliersi lo sposo e Plutarco, nel IV paragrafo della Vita di Cimone sottolinea come eccezionale il fatto che Elpinice possa partecipare alla decisione del suo matrimonio. Occorre sempre precisare che queste osservazioni e ricostruzioni, pertinenti ad Atene – e quindi di limitata estensione geografica – non devono essere considerate arbitrariamente: nell’età classica l’amore coniugale non era impossibile, anche se la concezione del matrimonio non gli era certamente favorevole (per esempio Atenodoro – XIII 589 f – ricorda che Periandro, essendosi innamorato di Melissa, la sposò e non mancano i casi di ricche donne che presero marito per amore e che condivisero con i loro sposi i viaggi che essi fecero per svolgere i loro compiti).
Anche nell’età ellenistica permane la stipulazione del contratto matrimoniale, ma questa sottoscrizione, ora volta esclusivamente a regolare l’amministrazione del patrimonio, i rapporti reciproci e le disposizioni in caso di divorzio, attesta che i rapporti personali cominciano a essere considerati sempre più importanti a scapito della quantificazione della dote, il principale oggetto dell’ ἐγγύησις, il contratto formale di matrimonio: insomma l’ ἔκδοσις, cioè l’atto della consegna della sposa, non solo diventa più significativo del contratto formale, ma cessa di essere una questione discussa tra i capi famiglia per diventare un affare della coppia. Ne sarebbe una conferma l’anacoluto della riga 5 del contratto di Elefantina (essere noi) che secondo alcuni studiosi lascerebbe supporre che sia la coppia stessa a parlare e ad accettare volontariamente di vivere insieme, formula questa che si perfezionerà solo in età romana con l’auto-ἔκδοσις con cui la donna sceglierà da sé – e finalmente senza tutori – il proprio sposo. Nell’età classica una procedura del genere non sarebbe infatti stata possibile: nei versi 238 – 249 di una commedia di Menandro, la Perikeiromene (La ragazza tosata) Glicera si dà da sola in sposa a Polemone, ma, benché il compagno la consideri la sua vera e propria sposa (egli dice, infatti, ho preso costei in sposa) la donna resta, agli occhi della gente, una concubina; della stessa opinione sembra essere Erodoto, che nel libro I delle sue Storie giudica l’auto-ἔκδοσις addirittura una forma di prostituzione. Sarà solo a partire dall’epoca del romanzo che essa diverrà legale: per esempio nel III capitolo di uno dei più famosi romanzi ellenistici, Le avventure di Cherea e Calliroe, di Caritone, la formula io ho sposato pubblicamente con il suo consenso e secondo le leggi una donna libera consente di ottenere un regolare matrimonio, che può essere tranquillamente contrapposto a quello tradizionale, celebrato con il consenso paterno. Si assiste dunque a un’evoluzione che porta l’ἔκδοσις dall’essere una prerogativa esclusivamente paterna (o comunque riservata al parente maschio più prossimo) a divenire un atto spontaneo: la tappa mediana di questo processo è appunto quella costituita dall’età ellenistica, in cui essa è un gesto ancora formalmente imposto dal padre ma in realtà nato da una decisione volontaria. Altrettanto notevole il fatto che, come ha dimostrato Orsolina Montevecchi, sia nei documenti alessandrini sia in quelli di poco precedenti sia diffusa la tendenza a sorvolare sugli obblighi della donna ma a insistere su quelli del marito, senza omettere mai la penale in cui egli sarebbe incorso in caso di mancato adempimento dei suoi doveri, cioè l’ἡμιολίον, termine con cui si indicavano la restituzione della dote e un’ammenda equivalente a metà della stessa, che costituisce una forma di tutela della figura femminile, posta in una posizione di rilievo – e non più di subordinazione – nei confronti del coniuge.
Proprio per questo è particolarmente significativo il fatto che nel contratto di Elefantina appaia per la prima volta, per indicare la comunanza coniugale, il termine συνοικισία, coabitazione, un nuovo conio propriamente rispondente a questa evoluzione del diritto matrimoniale: il verbo συνοικεῖν designa, nella lingua classica, il fatto di vivere in uno stato di matrimonio legittimo, dopo una ἐγγύησις (contratto) formale, mentre il verbo συνοικίζειν, da cui deriva συνοικισία, indica la concessione della figlia che il padre fa al futuro sposo, affinché i due possano vivere insieme in comune accordo. Anche il nuovo formulario dei contratti sembra dunque sottolineare l’armonia della vita coniugale che si prospetta ai novelli sposi.
Non a caso viene citata in questo contratto, per la prima volta, nella riga 3, la madre della sposa (dal padre Leptine, di Coos e dalla madre Filotide), di solito estromessa, nella Grecia classica, da quello che era considerato un affare tra soli uomini. Anche questo dettaglio dimostra che la funzione dei genitori non è più quella di tutori ufficiali, che decidono se il matrimonio deve esser fatto o se deve interrompersi anche contro la volontà della sposa, secondo la prassi dell’aferesi, testimoniata da numerosi testi letterari (per esempio in una commedia di Menandro, gli Epitrepontes, Coloro che si rivolgono a un arbitro, Smicrine, il suocero, vuole togliere la figlia Panfile al genero Carisio perché crede che costui abbia avuto un figlio da un’altra donna): i genitori ora diventano i testimoni della validità del matrimonio, di un contratto che non è più una semplice transazione, di cui la donna è oggetto, ma, come detto, un supporto legale per un uomo e una donna che si accordavano, più o meno liberamente, per vivere insieme.
Vi è infine anche un altro importante progresso che merita di essere considerato. Nel IV secolo a. C. ad Atene, per effetto di una legge promulgata da Pericle nel 451/50, il matrimonio tra un cittadino e una straniera era ritenuto illegittimo e i figli da esso nati avevano una posizione inferiore in seno alla città. Con il passar del tempo, invece, queste unioni miste, sempre più diffuse, cominciarono a costituire una norma, cosicché, se nel III secolo a.C. esse erano ancora limitate e in ogni caso giudicate illegittime, nel II secolo divennero consuete e sentite come perfettamente regolari.
Insomma, il lungo esame fin qui condotto ci permette di arrivare a una chiara conclusione: il contratto matrimoniale ellenistico viene modificato in modo da tutelare soprattutto la donna, per cercare di controbilanciare i privilegi che la legge, la consuetudine e il costume continuavano ad attribuire all’uomo.

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