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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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Il gatto e i topi (13 Ch)

in TESTI \ ESOPO \ LA FAVOLA \ LETTERATURA GRECA

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Questa favola di Esopo dimostra il valore delle esperienze, che, quando sono ben comprese, possono aiutarci a conquistare saggezza e prudenza, due qualità che permettono di evitare di andare incontro a situazioni decisamente spiacevoli o addirittura pericolose…

Ἔν τινι οἰκίᾳ πολλοὶ μύες ἦσαν. Αἴλουρος δὲ τοῦτο γνοὺς ἧκεν ἐνταῦθα καὶ συλλαμβάνων ἕνα ἕκαστον κατήσθιεν. Οἱ δὲ μύες, συνεχῶς ἀναλισκόμενοι, κατὰ τῶν ὀπῶν ἔδυνον, καὶ ὁ αἴλουρος μηκέτι αὐτῶν ἐφικνεῖσθαι δυνάμενος, δεῖν ἔγνω δι’ ἐπινοίας αὐτοὺς ἐκκαλεῖσθαι. Διόπερ ἀναβὰς ἐπί τινα πάσσαλον καὶ ἑαυτὸν ἐνθένδε ἀποκρεμάσας προσεποιεῖτο τὸν νεκρόν. Τῶν δὲ μυῶν τις παρακύψας, ὡς ἐθέασατο αὐτόν, εἶπεν· «᾿Αλλ’, ὦ οὗτος, σοί γε, κἂν θῦλαξ γένῃ, οὐ προσελεύσομαι.»

Ὁ λόγος δηλοῖ ὅτι οἱ φρόνιμοι τῶν ἀνθρώπων, ὅταν τῆς ἐνίων μοχθηρίας πειραθῶσιν, οὐκέτι αὐτῶν ταῖς ὑποκρίσεσιν [οὗτοι] ἐξαπατῶνται.

In una casa c’erano molti topi. Un gatto, avendolo saputo, si recò lì e, catturandoli, li divorava uno ad uno. I topi, continuamente uccisi, si nascondevano nelle fessure delle pareti, e il gatto, dal momento che non era più in grado di raggiungerli, capì che bisognava chiamarli fuori con un piano. Perciò, dopo essere salito su un piolo e dopo essersi lasciato penzolare da lì, faceva il morto. Uno dei topi, dopo aver fatto capolino (dalla fessura), quando lo vide, disse: “Ehi tu, anche se diventerai un sacco, di certo non mi avvicinerò a te”.

La favola dimostra che i saggi tra gli uomini, se hanno sperimentato la malvagità di alcuni, non si lasciano più ingannare dalle loro finzioni.

(traduzione di A. Micheloni)

Il protagonista di questa favola è un gatto. In realtà in greco il sostantivo che designa questo animale, ὁ αἴλουρος (o aìluros), a volte è usato per indicare anche la donnola, solitamente definita con il termine γαλῆ (galè), come abbiamo avuto modo di vedere nella lezione che presenta il romanzo La Dama e il Moro.

Il gatto domestico arrivò in Grecia dall’Egitto piuttosto tardi: le prime raffigurazioni di gatti sono infatti presenti solo a partire dal V – IV secolo a. C., su alcune monete e steli; la prima attestazione dell’uso di αἴλουρος (aìluros) per indentificarli si ha probabilmente nel 479 a. C., con il poeta Pindaro, nelle Odi Istmiche, dove questo termine sostituisce i nomi precedentemente usati, che erano quelli attribuiti a specie selvatiche simili; αἴλουρος (aìluros), con il valore specifico di gatto, si trova negli scritti del filosofo Aristotele e dello storico Erodoto.
L’utilizzo ambiguo di questi due nomi nel genere della favola e il fatto che anche la donnola sia un’acerrima nemica dei topi rendono concreta la possibilità che sia lei la vera protagonista di questa favola, come lo è delle altre due, la 12 e la 14, che la precedono e la seguono nella raccolta delle favole esopiche.

In realtà che il protagonista di questa favola sia un gatto oppure una donnola poco importa: ciò che conta davvero è l’insegnamento che se ne può ricavare, dal momento che essa vuole far capire agli uomini che devono smettere di comportarsi in modo avventato e superficiale, perché, se seguiranno questo consiglio, eviteranno un sacco di guai. La prudenza, infatti, insegna non solo ad evitare le azioni e i tranelli dei malvagi, capaci all’occorrenza di fingersi buoni o non pericolosi, ma anche a cogliere dettagli e indizi che posso far sospettare la presenza di un pericolo.

È proprio la prudenza imparata dalle stragi precedenti ad aver reso scaltro il topolino, che decide di non rischiare inutilmente la vita: l’immagine del sacco è particolarmente riuscita, perché il topo con questa espressione lascia intendere che non si avvicinerà al gatto, che penzola dal piolo appeso a testa ingiù, nemmeno se – e quando – il suo corpo, cadavere da tempo, sarà diventato soltanto un vuoto sacco di pelle o della pelle pronta per essere usata per fabbricare un sacco, perché la prudenza non è mai troppa!

Ricordiamo, infine, che proprio da questa favola è nato il modo di dire “fare la gatta morta, per cui vi rimando alla sezione della Sofisteria intitolata Proverbi e modi di dire.

Analisi del testo

Ἔν τινι: la preposizione si presenta in forma tonica perché è seguita dall’enclitica τινι, aggettivo indefinito.

αἴλουρος: il nome gatto nasce dalla fusione dell’aggettivo αἰόλος, che significa agile, e del sostantivo οὐρά, coda, e alla lettera vale, pertanto, colui che muove la coda agilmente.

γνοὺς: participio aoristo terzo di γιγνώσκω, congiunto ad αἴλουρος; gli si può attribuire valore temporale oppure causale.

ἧκεν: imperfetto indicativo del verbo ἣκω, che va reso con un aoristo, perché ἣκω al presente ha spesso il valore di perfetto e all’imperfetto quello di piuccheperfetto. La radice ἡκ- di questo verbo, da un originario *σηκ (di cui resta traccia nello spirito aspro), a sua volta derivato dall’indoeuropeo *sekw, trova un chiaro riscontro nel latino sequor.

συλλαμβάνων: participio congiunto ad αἴλουρος; regge un complemento oggetto sottinteso (αὐτούς = loro, li).

ἕνα ἕκαστον: il valore distributivo è dato dall’accostamento del numerale uno e del pronome ἕκαστος.

κατήσθιεν: imperfetto indicativo del verbo κατεσθίω, in cui il preverbio κατά dà un senso di completezza (che si può mettere in evidenza scegliendo il significato di divorava). L’imperfetto, in questo caso, esprime iteratività nel passato.

κατὰ τῶν ὀπῶν: il sostantivo ὀπή, -ῆς indica un’apertura o un buco attraverso cui si può vedere all’esterno: nel vocabolo è infatti riconoscibile la radice ὀπ, riconducibile al verbo ὁράω, vedere.

ἔδυνον: terza persona plurale dell’imperfetto indicativo del verbo δύ(ν)ω. Di solito il suo valore intransitivo è espresso dalla diatesi media e non dall’attiva.

μηκέτι… δυνάμενος: la negazione – composta con μή – conferisce al participio – congiunto – una sfumatura soggettiva.

αὐτῶν: genitivo oggettivo retto dal verbo ἐφικνεῖσθαι: poiché esso si trova abitualmente con i verbi che indicano il contatto, si chiama anche genitivo di contatto.

δεῖν: infinito del verbo impersonale δεῖ, bisogna.

ἔγνω: terza persona singolare dell’aoristo terzo del verbo γιγνώσκω, che introduce l’infinitiva seguente.

δι’ ἐπινοίας: complemento di mezzo.

διόπερ: questa congiunzione deriva dall’unione della preposizione διά e del pronome relativo neutro ὅ, poi rafforzata dal suffisso – περ; ha valore causale.

ἀναβὰς: participio aoristo terzo di ἀναβαίνω, con valore intransitivo.

ἀποκρεμάσας: participio aoristo primo, congiunto, di ἀποκρεμάννυμι; gli si può attribuire una sfumatura temporale.

νεκρόν: questo termine – frequentemente usato in italiano (sia nel linguaggio scientifico che in quello comune: si pensi, per esempio, a necrosi, necropoli, necrologio…) – di solito non è usato per gli animali: in questo caso, però, abbiamo a che fare con un gatto delle favole, che agisce e pensa come un uomo, meritandosi, pertanto, un appellativo umano.

παρακύψας: participio aoristo primo di παρακύπτω; è un participio congiunto a cui si può attribuire una sfumatura temporale.

ὡς: congiunzione che in questa frase può avere valore sia temporale che causale.

ὦ οὗτος: alla lettera vale o costui; è un’espressione idiomatica – detta nominativo di interpellanza – che si ottiene con il pronome dimostrativo in caso nominativo e con l’interiezione ὦ. È molto usata per apostrofare qualcuno che non si conosce.

γε: uno dei pochi casi in cui la particella merita di essere messa in evidenza, per enfatizzare la risposta del topo.

κἂν θῦλαξ γένῃ: κἂν, crasi di καὶ ἐάν, introduce la protasi di un periodo ipotetico dell’eventualità, come si deduce dalla presenza del congiuntivo aoristo II (γένῃ) di γίγνομαι. Il congiuntivo aoristo non ha valore temporale, ma indica semplicemente l’aspetto puntuativo dell’azione espressa dal verbo: per questo può essere reso anche con un futuro, da mettere in rapporto a quello che si trova nell’apodosi.

προσελεύσομαι: indicativo futuro di προσέρχομαι; costituisce l’apodosi del periodo ipotetico dell’eventualità.

Ὀ λόγος δηλοῖ ὅτι: è la formula più consueta per introdurre la morale che conclude la favola, il cosiddetto ἐπιμύθιον. La presenza, al posto del più frequente μῦθος, del vocabolo λόγος dimostra che nel momento in cui scrive Esopo i due termini non sono più avvertiti come differenti (narrazione versus ragionamento) ma come sinonimi.

οἱ φρόνιμοι τῶν ἀνθρώπων: il genitivo ha valore partitivo; nell’aggettivo φρόνιμος è riconoscibile la radice φρήν che indica il diaframma, il petto, il cuore e l’animo, ossia la sede delle passioni e del pensiero, e dunque anche dell’intelligenza.

τῆς ἐνίων μοχθηρίας πειραθῶσιν: il genitivo partitivo τῆς μοχθηρίας è retto dal verbo πειραθῶσιν, congiuntivo aoristo passivo debole di πειράομαι, con significato attivo. Il congiuntivo è richiesto dalla presenza della congiunzione ὅταν, qualora, che sottolinea l’idea dell’eventualità.

[οὗτοι]: le parentesi quadre sono usate per indicare che questa parola, presente nei codici che hanno tramandato la favola, è ritenuta un’aggiunta successiva al testo originario: per questo motivo viene trascritta tra parentesi e non è tradotta.

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