Prima di cominciare…
in INTRODUZIONE ALLA COMMEDIA \ LECTURA DANTIS
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Prima di cominciare la lettura e il commento del capolavoro di Dante è bene aver chiari i motivi che ci spingono, ancora oggi, non solo a conoscere e ad amare un testo senza eguali, ma anche e soprattutto a difenderlo dai suoi – non pochi – detrattori. Qualche tempo fa, commentando la notizia – che destò molto scalpore – della presunta necessità di dispensare dalla lettura del testo dantesco dei ragazzi per motivi religiosi, ho raccolto alcune riflessioni, che ora vi ripropongo, perché mi sembrano il modo migliore per iniziare questo corso…
Dunque: perchè leggere Dante, oggi?
Perché pensare di ridurre Dante a un fanatico della propria religione, che offende Maometto presentandolo tagliato in due per la pena che subiscono i seminatori di scisma, vuol dire non considerare che un cristiano dell’epoca non poteva fare altrimenti, e, cosa più grave, significa non ricordare che alla base di questo testo c’è un profondo rispetto per tutte le culture e le religioni, compresa quella araba. Sono molti gli studiosi che pensano che Dante abbia conosciuto (grazie all’intermediazione del suo maestro, Brunetto Latini) Il libro della Scala, un dettagliato racconto di un viaggio compiuto da Maometto nell’aldilà, che presenta non pochi elementi comuni con quello dantesco. Non solo: Dante esalta tra gli spiriti magni i filosofi arabi Averroè e Avicenna e persino il Saladino, sultano di Siria ed Egitto, che tentò la riconquista musulmana della Terra Santa mostrando grande coraggio, virtù militare e rettitudine morale. Dante può allora insegnare, anche oggi, che non è la religione a fare gli uomini buoni o cattivi e che il rispetto è dovuto a chiunque faccia del proprio credo – qualsiasi esso sia – un faro per illuminare il suo cammino terreno…
Perché pensare che insegnare Dante equivalga a fare un’ora di catechismo o a fornire modelli di moralità a senso unico vuol dire non aver compreso nulla della tormentata religiosità dantesca: Dante non è un maestro di dogmi e di teologia ma un peccatore che compie un viaggio salvifico in cui c’è spazio per il cambiamento e per il pentimento anche grazie agli insegnamenti ricevuti durante il percorso. Dante sottolinea fin da subito, con forzata modestia, di non sentirsi degno di intraprendere questo cammino (Io non Enea, io non Paulo sono) che lo porterà alla salvezza, certo, ma non in modo indolore: non sempre il suo cuore assiste impassibile alla condanna dei peccatori, non sempre la sua ragione capisce le profonde motivazioni sottese al volere celeste, non sempre il suo intelletto riesce a considerare delle colpe le debolezze della natura umana. Con il paziente aiuto di Virgilio, di Beatrice e di tutti coloro che incontra nel suo viaggio, Dante comincia a darsi delle risposte, a comprendere ciò che non comprendeva, a capire il piano di Dio. Dante può allora insegnare, anche oggi, che in uno stato laico si rende facoltativa l’ora di religione, non l’ora di letteratura, quand’anche essa usi argomenti religiosi per aprire teste, indurre al pensiero, suscitare domande, creare confronti…
Perché pensare che Dante non meriti di essere presentato nella sua avventura di uomo ad adolescenti in crescita e in cerca di una propria personalità vuol dire non comprendere quanto il suo percorso terreno possa insegnare loro: Dante è un uomo che si è messo in gioco in prima persona, che non scende a compromessi per rientrare in quella città che ama sopra ogni cosa, che mantiene dritta la barra della sua vita anche quando gli converrebbe virare… valori come la coerenza e la determinazione a volte si pagano caro, ma danno sempre il loro frutto. Dante non ha paura di esporsi e di esporre il suo pensiero politico, di puntare il dito contro coloro che non pensano al bene comune ma al proprio tornaconto, di denunciare i corrotti, di colpevolizzare gli ignavi, di esaltare la giustizia. Dante può allora insegnare, anche oggi, che non ci si deve sottrarre agli impegni e alle responsabilità politiche e civili, coltivando solo i propri interessi e il proprio comodo, perché l’uomo è stato creato per vivere in un contesto sociale, in cui il contributo del singolo è fondamentale.
Perché pensare che Dante parli solo a chi è simile a lui vuol dire non aver compreso la grandezza e la variegatura di questo affresco, in cui Dante trova modo di relazionarsi con tutti i ceti sociali e gli ambiti culturali, con tutti i tipi umani e con i loro diversi usi e costumi. Però Dante ha collocato i sodomiti all’Inferno, grida il politicamente corretto, con il suo ditino ammonitore… già, ma pure in Purgatorio. E il destino delle anime che stanno in Purgatorio – di tutte le anime che stanno in Purgatorio – è quello di salire in Paradiso, una volta che esse abbiano terminato la loro purificazione. Ed è lo stesso Virgilio a ricordare a Dante di rivolgersi ad alcuni dei sodomiti con cortesia, perché ha molto da imparare da loro in ambito civile e politico. Come dire: il peccato – perché tale doveva essere considerato secondo la mentalità dell’epoca – non deve coinvolgere l’intera personalità dell’individuo. Dante può allora insegnare, soprattutto al giorno d’oggi, che non ci sono categorie da condannare (o da santificare) a priori: la profondità dell’essere e la virtù nell’agire del singolo uomo lo liberano dalla prigione dell’appartenenza a un gruppo a cui oggi alcune persone vogliono (o devono) per forza (!?!?) essere ricondotte.
Perché pensare che la distanza temporale e culturale che ci separa da Dante possa renderlo inattuale è segno di una grande ristrettezza di vedute: Dante racconta di un’epoca in cui tre scintille, superbia, invidia e avarizia, hanno i cuori accesi. E non sono forse proprio queste, ancora oggi, le scintille che innescano tutte le guerre? In una società in cui il denaro e il successo sono diventati i parametri per misurare il valore delle persone, le parole di questo poeta non sono forse ancora un forte monito di grande attualità? Dante può allora insegnare a prendere in considerazione i danni che queste scintille hanno causato a Firenze, all’Italia tutta, alla Chiesa, insomma, a chiunque anteponga l’io al noi…
Perché pensare che le tematiche di cui si fa portavoce Dante siano riconducibili solo alla religione, vuol dire non aver letto la Commedia nella sua inesauribile varietà di temi e di spunti: Dante si interroga e ci interroga sul suicidio, sul rapporto tra libertà individuale e destino, sull’amicizia, sulla paternità e sulla maternità, sull’omicidio e sul femminicidio, sull’odio e sul perdono, sull’amore e sul sesso, sulla pace e sulla guerra… Dante può allora aiutarci a porci domande e a cercare risposte su molteplici aspetti dell’umanità in un continuo e proficuo confronto tra passato e presente…
Perché pensare che un maestro debba allontanare a priori un alunno da ciò che non ritiene a lui adatto vuol dire abdicare all’essenza stessa dell’insegnamento. Nessun maestro che possa dirsi tale può anche lontanamente pensare di privare un alunno del diritto di conoscere: al massimo egli lo può indirizzare a una corretta comprensione, come fa uno dei Padri della chiesa, Basilio di Cesarea, nel suo Discorso ai giovani, quando li invita a volare sui testi classici – considerati pericolosi perché pagani – cogliendo, come le api, solo il nettare necessario a produrre del buon miele. E l’esempio migliore è proprio il rapporto che, in questo testo, si instaura tra Dante e il suo maestro Virgilio, che lo indirizza, lo corregge, lo aiuta a capire quando lo vede in difficoltà, lo rimprovera se si attarda, insomma, esercita il suo ruolo di duca, cioè di guida, che è poi quello di ogni buon insegnante. Dante può allora aiutarci a riscoprire il rapporto ideale che si crea tra un maestro e il proprio alunno: in una scuola che decide finalmente di scommettere sul merito, tutti devono avere le stesse possibilità di conoscere e di studiare, perché saranno le proprie capacità a fare la differenza e a fare in modo che ognuno, sfruttandole al meglio, riesca a raggiungere il proprio traguardo…
Perché pensare di non far conoscere a un alunno la bellezza del tratto dantesco e la precisione con cui la sua penna delinea personaggi e ambienti è una colpa che non può trovare assoluzione. Figure indimenticabili di peccatori e di beati si sono impresse – e tuttora si imprimono – nella memoria dei lettori della Commedia e vi restano per sempre, perché a Dante possono bastare quattro versi, come insegna la triste vicenda di Pia de’ Tolomei, per rendere un personaggio immortale. Dante può allora costituire ancora oggi una lettura piacevole e avvincente, un racconto che incuriosisce e affascina, che stupisce e commuove con la bellezza di personaggi indimenticabili…
Perché pensare che la poesia e il ritmo delle terzine non possano piacere a chi vive di trap e di rap vuol dire non aver mai visto lo sguardo di chi, di fronte a rime impensate e difficili, se ne esce con un “Figo, prof!” che al Nostro, assertore convinto del plurilinguismo, avrebbe fatto un gran piacere. Dante insegna allora a scommettere sui giovani, che a volte non si avvicinano ai classici solo perché chi ha il dovere, l’onore e l’onere di presentarli è il primo a non volerlo fare, arrendendosi ancor prima della presunta battaglia…
Perché pensare di non fare conoscere proprio il plurilinguismo, infine, è una mancanza grave e imperdonabile, in una società dove fanno paura le parole e non la loro sostanza. Dante ha parole per ogni situazione: nell’Inferno Caronte è un vecchio (vocabolo basso), nel Purgatorio Catone è un veglio (vocabolo medio) e nel Paradiso san Bernardo è un sene (un latinismo, e quindi un vocabolo alto). E se non ci sono, le parole, Dante se le crea oppure se le va a cercare, tra latinismi, grecismi, francesismi, parole uniche, perifrasi… purché ciascuna di loro dica esattamente quello che deve dire e significhi esattamente quello che deve significare. Dante insegna allora a essere consapevoli delle parole che si spendono, perché ogni singola parola è importante e lo è ancora di più in una società che vive di fretta, che non si prende del tempo, che non riflette, tanto si può sempre dire di essere stati fraintesi…
Tutti questi perché possono essere racchiusi in un’unica e chiara risposta: Dante, oggi, perché Dante educa alla bellezza della poesia e al pensiero plurale, non solo perché per capire la Commedia dobbiamo, per forza di cose, assumere un punto di vista diverso dal nostro, ma anche perché, costringendoci a fare i conti con la diversità, Dante ci dimostra che essa non deve essere cancellata (omologando persone, abitudini, cose…), ma esaltata e sottolineata, insegnandone, al contempo, la bellezza e il rispetto.
In una società in cui ci si divide in pro e contro, in no e sì – e guai a essere dalla parte sbagliata, pur con tutte le motivazioni del mondo! – Dante insegna non solo ad argomentare le proprie ragioni, ad ascoltare e ad accogliere quelle degli altri, ma anche e soprattutto a fare tesoro del dialogo, l’unico strumento in grado di abbattere le barricate ideologiche e di insegnare ad arricchirsi con il confronto. Perché è questo il torto più grande che gli insegnanti che rigettano la lectura Dantis – in nome di qualsiasi cosa – fanno ai loro studenti: non offrono loro la possibilità di imparare a confrontarsi con l’altro. Nel suo viaggio ultraterreno Dante non cessa di usare la parola, nemmeno con chi, come Ciacco, si rotola come un porco nel fango. Allo stesso modo Dante parla – e parlerà – sempre a ognuno di noi, indipendentemente dalla religione, dal colore della pelle, dall’orientamento sessuale, dalla cultura, dal conto in banca… perché vuole metterci a nudo, costringerci a scavarci dentro, a interrogarci. Perché Dante sa che fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.
Lasciate dunque ogni speranza, voi che nel mezzo del cammin di vostra vita incontrate persone che hanno la verità in tasca o che pensano di sapere che cosa è bene che gli altri dicano, pensino, studino.
Leggete tutto, studiate tutto, siate onnivori di sapere, chiedendovi sempre, come Dante, il perché di ogni cosa.
Solo così riuscirete a riveder le stelle.
La Sofisteria
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