La Commedia come
opera di narrativa
in INTRODUZIONE ALLA COMMEDIA \ LECTURA DANTIS
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IL TITOLO
Il documento da cui si possono ricavare più informazioni sulla Commedia è senza dubbio l’Epistola XIII, meglio conosciuta come Epistola a Cangrande della Scala, la cui autenticità non è però riconosciuta da tutti gli studiosi (alcuni pensano che essa sia stata addirittura scritta dopo la morte del poeta, altri che solo i primi tredici dei novanta paragrafi che la compongono siano stati vergati da Dante).
L’epistola era, in età medioevale, un vero e proprio genere letterario: essa, diretta a un destinatario reale (in questo caso il signore di Verona – a cui è dedicata la terza cantica – che fu amico e protettore di Dante), aveva però anche circolazione pubblica.
Questo testo, probabilmente redatto intorno al 1316 / 1317, contiene – autentico o meno che sia – numerose informazioni sul genere dell’opera, sulla sua articolazione interna, sulle modalità di lettura e anche sul titolo: leggendo questa epistola scopriamo, infatti, che il titolo originale del capolavoro dantesco era Comoedìa (Libri titulus est: “Incipit Comoedìa Dantis Alagherii”, comincia la Commedia di Dante Alighieri).
La conferma di questo titolo – da leggersi con accentazione alla greca e mai attestato nei manoscritti che ci hanno trasmesso l’opera – viene anche da due canti dell’Inferno: nel canto XVI, al verso 128, Dante dice, infatti, per le note / di questa comedìa e nel canto XXI, al verso 2, scrive la mia comedìa cantar non cura.
Dante, attento studioso dei testi classici, conosceva bene le caratteristiche dei principali generi letterari, la tragedia e la commedia. Sempre nella Epistola a Cangrande egli ricorda infatti che la tragedia (o genere alto), secondo le norme ricavate dal mondo classico, deve cominciare bene e concludersi male; la commedia, invece, dopo un inizio complicato, è caratterizzata da un lieto fine: il racconto di Dante, che comincia all’Inferno e si conclude nel Paradiso è dunque avvicinabile a questo genere.
In realtà nella scelta di questo titolo Dante ha probabilmente pensato allo stile più che al contenuto. Nel secondo libro di una delle sue opere, il De vulgari eloquentia, egli illustra la classificazione classica e medioevale degli stili, secondo la quale lo stile della tragedia deve essere alto; nella commedia, al contrario, è possibile utilizzare proprio la commistione di stili (alto – o tragico -, medio – o comico – umile – o elegiaco-) che si ritrova nella sua Commedia. Questa mescolanza di stili è giustificata, secondo Dante, dall’importante scopo che si propone il suo testo: proprio in nome della missione salvifica che abbiamo illustrato nella lezione precedente, Dante crea un nuovo tipo di sublime (cioè di eccellenza letteraria) che non è per forza alto, come quello dei classici, ma misto, perché celebra ogni aspetto della realtà terrena, comunque perfetta perché creata da Dio. E così, l’Inferno, il mondo dei dannati, è caratterizzato dalla prevalenza dello stile umile dell’elegia; lo stile medio – o comico – è scelto per il Purgatorio, in cui le anime si purificano per accedere alla beatitudine divina; nel Paradiso si toccano le vette dello stile tragico. Questa schematizzazione, in realtà, vale solo in linea di massima: come vedremo nella prossima lezione, in ciascuno dei canti gli stili possono mescolarsi, per riprodurre fedelmente nella dimensione oltremondana la straordinaria complessità del mondo reale.
La spiegazione per la scelta di questo titolo è dunque chiara; difficile invece stabilire se con esso Dante volesse designare solo la prima o le prime due cantiche oppure tutta l’opera, perché il Paradiso – che presenta, come detto, la prevalenza di uno stile decisamente alto – non pare adattarsi a questa definizione. È significativo il fatto che il termine commedia non sia più usato nella terza cantica, dove Dante, riferendosi alla sua opera, preferisce le espressioni sacrato poema (XXIII, 62) e poema sacro (XXV,1).
L’attributo “divina” può essere spiegato in due modi diversi: esso può infatti alludere all’argomento trattato (“cose oltremondane”) oppure, più probabilmente, alla qualità del risultato ottenuto. Esso venne dato all’opera dai contemporanei, sicuramente a partire da Giovanni Boccaccio (che nel 1373 lo usa nel suo Trattatello in laude di Dante proprio per sottolineare la grandezza del testo), e divenne ufficiale dal 1555, quando, come abbiamo visto, uscì a Venezia per l’edizione a stampa della Commedia curata da Ludovico Dolce.
LE SCELTE NARRATIVE
Anche se è scritta in versi, la Divina commedia è uno straordinario testo narrativo che racconta una storia che si colloca in uno spazio e in un tempo e in cui agiscono dei personaggi. Nella stesura di questa opera narrativa Dante fa alcune scelte su cui vale la pena di soffermarsi.
SUDDIVISIONE IN CANTI: è stato lo stesso Dante a suddividere la Commedia in canti. Questo non significa, però, che essi siano tra loro slegati o fruibili singolarmente: non bisogna infatti dimenticare che la Commedia è un poema e che dunque la sua lettura ideale prevede la continuità. Del resto è proprio Dante a suggerirci questa prospettiva di lettura, quando sottolinea volutamente la continuità tra uno e l’altro canto della sua opera, come accade, per esempio, nel passaggio tra il canto V e il canto VI del Paradiso: il canto V si chiude infatti con il preannuncio di quanto sarà detto in apertura del canto successivo (nel modo che ‘l seguente canto canta).
NARRATORE AUTODIEGETICO1: la scelta di questo tipo di narratore determina alcune importanti conseguenze.
La prima è un’intensa partecipazione emotiva: Dante, infatti, nel corso della narrazione, descrive accuratamente i suoi sentimenti e le sue reazioni (la paura e lo sdegno, l’ansia e la vergogna, la felicità e la commozione, la rabbia e la gioia… che lo portano a piangere, sospirare, sorridere, svenire, imprecare, commuoversi…). Questo accade perché Dante, narratore – protagonista, ha vissuto sulla sua pelle ciò che racconta, che presenta in modo dettagliato, con precise coordinate geografiche e cronologiche; anche le questioni teologiche affrontate nella Commedia sono, molto probabilmente, i dubbi e le incertezze che lo avevano lacerato prima che si decidesse a riconoscere l’insufficienza della ragione umana e accettasse l’aiuto della fede.
Proprio questa intensa partecipazione emotiva del narratore – protagonista determina una maggior partecipazione emotiva anche da parte del lettore, che si sente inevitabilmente più coinvolto nella narrazione. Questo coinvolgimento è fondamentale perché il cammino salvifico di Dante possa diventare anche quello dei suoi lettori.
Infine, il lasso di tempo intercorso tra il momento in cui le vicende sono state vissute e quello in cui sono raccontate fa sì che il Dante narratore (cioè l’io narrante o auctor) ne sappia di più del Dante personaggio (l’io narrato o agens), che sta ancora vivendo le vicende: questo consente all’io narrante di fornire spiegazioni e chiarimenti, perché il tempo trascorso gli ha permesso di comprendere meglio tutto ciò che gli è accaduto.
MESCOLANZA DI REALTA’ E FINZIONE: nel romanzo storico dei personaggi di fantasia si muovono in un contesto reale, che viene fedelmente ricostruito dal punto di vista storico per mezzo di testimonianze e documenti di vario genere. Nella Commedia accade esattamente il contrario: dei personaggi realmente esistiti si muovono in un mondo creato dall’immaginazione. Essi sono fedeli alla loro immagine terrena, che Dante ricostruisce sulla base di ciò che ha letto in libri o documenti, ascoltato da testimoni o visto di persona. Chiaramente a volte egli aggiunge dettagli e sfumature di sua invenzione, sempre funzionali al ritratto del peccatore o del beato e all’exemplum che deve fornire: queste libertà narrative non risultano però mai tali da snaturare la persona storica a cui si fa riferimento.
PERSONAGGI: per fare in modo che la narrazione scorra in modo fluido, la presentazione dei personaggi è ridotta al minimo. Spesso gli incontri con le anime si strutturano in un dialogo, che fa in modo che esse si presentino da sé, con i loro gesti e le loro parole, che non interrompono l’azione; a volte i dialoghi, soprattutto nell’Inferno, si trasformano in vere e proprie discussioni, in cui si mettono a confronto diversi punti di vista. Si tratta, insomma, di descrizioni dinamiche, che, oltre a non interrompere il flusso della narrazione, rendono i personaggi vivi e concreti.
LE TECNICHE NARRATIVE: il fatto che ogni anima si presenti da sé determina anche una notevole varietà di prospettive e di tipologie di presentazione: in tutte sono però presenti le tecniche narrative dello scorcio e dell’ ellissi, che consentono all’anima di riferire solo i fatti essenziali della propria biografia. A Dante infatti non interessa ricostruire l’intera vita del personaggio, ma cogliere e presentare solo i momenti che possono diventare degli exempla per i lettori, che vi trovano dei modelli morali da imitare o da rigettare.
LA LETTURA
Già uno dei primi commentatori di Dante, suo figlio Pietro, scrisse che la Commedia non può essere letta solo in senso letterale, perché altrimenti non insegnerebbe niente. Questo concetto non ci meraviglia: per gli uomini del Medioevo la letteratura doveva avere, come ogni disciplina, una ricaduta religiosa e un fine morale, pena la sua inutilità e condanna. È Dante stesso, del resto, a illustrare, nel secondo libro del Convivio, i quattro diversi livelli di lettura da usare per leggere un testo e dunque anche la Commedia.
Il primo livello è quello letterale: letta in questo modo la Commedia è il racconto del viaggio e degli incontri che un pellegrino, Dante, fa nella realtà ultramondana, dove conosce il tormento (nell’Inferno), la speranza (nel Purgatorio) e la beatitudine (nel Paradiso). Si tratta, insomma, di un racconto che illustra la condizione delle anime dopo la morte.
Il secondo livello è quello allegorico: con questa lettura nella Commedia deve essere cercato un ulteriore significato (il termine allegorico deriva infatti dal greco ἄλλον ἀγορέυω, allon agoreuo, dico altro) per le parole, le espressioni o le immagini presenti nel testo. Tale significato, in un mondo intriso di religiosità come quello medioevale, non può che rimandare al messaggio cristiano: letta in questo modo la Commedia diventa la rappresentazione dell’anima umana che, per mezzo del pentimento e dell’espiazione, passa dal peccato (la selva oscura) alla salvezza. Questo passaggio è tutt’altro che facile, perché ostacolato da tre vizi particolarmente radicati negli uomini e allegoricamente rappresentati dalle tre fiere che sbarrano il passo a Dante all’inizio del suo cammino: la lussuria (raffigurata dalla lonza), la superbia (il leone) e l’avarizia (la lupa). Per fortuna l’uomo ha un prezioso alleato che lo può aiutare in questo difficile passaggio: si tratta della ragione, allegoricamente rappresentata dal poeta latino Virgilio, che aiuterà Dante in un difficile esame di coscienza (il viaggio nell’Inferno), che lo metterà in grado di accedere alla penitenza del Purgatorio. Sarà però solo la grazia di Dio, raffigurata da Beatrice, ad innalzare l’animo di Dante (e con il suo quello di tutti gli altri uomini) dal possesso delle quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) alla piena conquista delle tre virtù teologali (fede, speranza e carità).
In questo secondo livello di lettura deve essere distinto, come spiega Dante sempre nel Convivio, ciò che appartiene all’allegoria “dei poeti”, cioè ciò che rimanda ad altro a partire da una finzione letteraria (per esempio una donna non meglio definita che, con una bella menzogna, rimanda alla filosofia) e ciò che appartiene all’allegoria “dei teologi”, cioè ciò che parte da qualcosa che è considerato vero e rimanda al vero (per esempio il viaggio stesso, che Dante propone e considera come realmente avvenuto, facendo coincidere verità storica e verità trascendente). È quest’ultimo – spiega Dante a Cangrande nell’Epistola a lui indirizzata – quello che deve essere privilegiato nella lettura della Commedia.
La lettura allegorica, inoltre, è possibile, come detto, non solo in chiave morale, ma anche in altre chiavi, per esempio quella politica. In quest’ottica la selva oscura rappresenta il disordine civile in cui l’umanità è tenuta da tre mali: le fazioni politiche e gli interessi individuali (rappresentati dalla lonza), il potere del Regno di Francia (il leone) e l’ingordigia della Chiesa (la lupa), che vuole il potere temporale (che spetta invece all’Imperatore). Le due guide che possono salvare l’umanità sono un Imperatore (rappresentato da Virgilio), in grado di condurla al Paradiso terrestre (la felicità terrena), e un Papa (Beatrice), che la conduca a Dio (Paradiso): le due guide non devono ostacolarsi, anzi, devono collaborare tra loro per la piena felicità del genere umano.
Risulta dunque evidente che la lettura allegorica del testo è complessa e non sempre chiara, poiché la poetica medioevale consentiva una pluralità di significati allegorici anche per un solo elemento. Per questo Dante, in alcune occasioni, lascia volutamente spazio a più interpretazioni allegoriche, come accade nel celebre caso del veltro.
Il terzo livello è quello morale: grazie a questa lettura è possibile dedurre dal testo dei comportamenti conformi alle norme della religione cristiana. L’incontro penitenziale con i vizi e i valori umani, che le anime incarnano perfettamente, fornisce infatti a Dante e ai suoi lettori precise indicazioni di comportamento, insegnamenti e conoscenze (per esempio saper resistere alle tentazioni, far prevalere la volontà sull’istinto, confidare nelle Sacre Scritture…) che indirizzano sulla via della salvezza.
Il quarto e ultimo livello, già usato da Sant’Agostino, è il sovrasenso o senso anagogico, cioè un senso superiore che rimanda alla fede. Di questa possibilità di lettura si è occupato soprattutto il filologo tedesco Erich Auerbach (1892 – 1957), che negli anni Quaranta del Novecento ha teorizzato la lettura figurale del poema, in base alla quale il mondo terreno non è altro che la prefigurazione (figura) del mondo ultraterreno. Seguendo questa modalità di lettura, personaggi o avvenimenti storici possono essere intesi, pur mantenendo intatta la loro storicità, come anticipazioni della figura di Cristo o di verità cristiane: è lo stesso Dante a suggerirlo nel Convivio, quando dice che Mosè e gli Ebrei che passano il Mar Rosso sono una prefigurazione della salvezza che Dio dona agli uomini liberandoli dalla schiavitù del peccato. Molti personaggi della Commedia sono dunque figurae cristiane: San Francesco, per esempio, prefigura Cristo, poiché ha sposato, proprio come lui, la povertà.
Questa lettura non deve essere confusa con l’allegoria: nell’allegoria, infatti, l’elemento di partenza (il significante) può essere vero o falso e il significato è sempre astratto, arbitrariamente associato a quello letterale (e questo è il motivo per cui alcune allegorie sono oggetto di possibili diverse interpretazioni: la stessa Beatrice può rappresentare allegoricamente la teologia, o la grazia divina, o la fede, o l’amore inteso come caritas, o la sapienza rivelata…); nella lettura figurale, invece, sia il significante che il significato sono concreti e storicamente collegati tra loro, l’uno anticipazione e spiegazione dell’altro.
Applicare questi livelli di lettura porta a comprendere che “la lettera insegna i fatti, l’allegoria ciò a cui si deve credere, il senso morale ciò che si deve fare e l’anagogico ciò a cui si deve tendere”. Proprio per questo motivo la Commedia deve essere intesa come un’opera polisemica, cioè dai molti significati, e come un poema sacro, perché attraverso questa fitta rete di significati cerca di spingere gli uomini verso un rinnovamento morale e spirituale.
IL SIMBOLISMO NUMERICO
Strettamente legato a questa complessa modalità di lettura dell’opera è anche il simbolismo numerico: la scelta e la presenza dei numeri nel poema non sono mai casuali perché nascondono dei significati che mirano a riprodurre la perfezione della creazione divina.
Le corrispondenze numerologiche riguardano sia la struttura che i contenuti dell’opera, in cui ricorrono con frequenza i numeri
uno: è il numero di Dio
tre: è il numero della Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo) e delle virtù teologali. Per questo, come abbiamo già avuto modo di vedere, le cantiche sono tre, ciascuna di trentatré canti; tre sono le guide (Virgilio, Beatrice e San Bernardo) che accompagnano Dante nel suo viaggio attraverso i tre regni dell’Oltretomba…
quattro: è il numero delle virtù cardinali e degli evangelisti
sette: è la somma della Trinità più le quattro virtù cardinali, ma anche quella delle tre virtù teologali più le quattro virtù cardinali
nove: è il numero della Trinità moltiplicata per sé stessa, ma è anche il numero che rappresenta Beatrice, come Dante spiega in una delle sue opere, la Vita nova. Sono nove anche le ripartizioni che caratterizzano la struttura dei tre regni dell’Oltretomba dantesco
dieci: è il simbolo della perfezione, perché trino e uno: non è un caso che la somma dei nove gironi dell’Inferno e del Vestibolo (il suo ingresso), delle sette cornici del Purgatorio, della Spiaggia (il suo ingresso), dell’Antipurgatorio e del Paradiso Terrestre, e infine dei nove cieli del Paradiso e dell’Empireo dia sempre dieci, a riprova della perfetta struttura del cosmo creato da Dio
cento: è il numero della perfezione moltiplicato per sé stesso: i canti totali della Commedia sono – non a caso – proprio cento.
Risultano interessanti anche altre scelte che riguardano i numeri: per esempio la spiegazione del libero arbitrio, un concetto teologico molto caro a Dante, è collocata nel canto XVI del Purgatorio, che, sommato ai trentaquattro dell’Inferno, diventa il cinquantesimo dell’opera, cioè la sua metà esatta; tutti e tre i sesti canti (dove 6 = 3+3) sono di carattere politico, in omaggio al sesto libro dell’Eneide di Virgilio, in cui Enea, sceso nel regno dei morti, ascolta la profezia della futura grandezza di Roma.
Note
1. Il narratore è la funzione del testo che racconta i fatti: esso è dunque una creazione dell’autore, proprio come i personaggi. Un narratore può essere:
• omodiegetico: coincide con un personaggio della vicenda (se si tratta del protagonista, si usa la definizione autodiegetico)
• eterodiegetico: è una voce fuori campo.
La Sofisteria
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