Suoni e lettere
in FONOLOGIA \ GRAMMATICANDO \ GRAMMATICA ITALIANA

Dittongo o non dittongo… questo è il problema!
Un dittongo nasce dall’unione di due vocali – di cui una è una i oppure una u – pronunciate con una sola emissione di voce.
Sono dunque dittonghi ia in piatto, au in lauro, ue in guerra…
Questo NON succede nei gruppi
cia, cie, cio, ciu
scia, scie, scio, sciu
gia, gie, gio, giu
glia, glie, glio, gliu
perché in questi casi la i e la u servono solo a rendere dolce il suono della c e della g oppure a esprimere il suono palatale di gl, dando origine non a un dittongo ma a un digramma o a un trigramma.
Questa regola è fondamentale per la corretta sillabazione delle parole, perché il dittongo, a differenza del digramma e del trigramma, costituisce un’unica sillaba.

L’accento e i monosillabi: chi lo vuole?
Alcuni monosillabi sono accentati per essere più facilmente distinguibili dai loro omografi, cioè da vocaboli che hanno la loro stessa grafia ma un significato diverso.
Ecco i più usati:
MONOSILLABI ACCENTATI
è → verbo essere
sì → avverbio di affermazione
dà → 3ª persona dell’indicativo presente del verbo dare
lì → avverbio di luogo
là → avverbio di luogo
tè → bevanda
né → congiunzione negativa
sé → pronome
MONOSILLABI NON ACCENTATI
e → congiunzione
si → pronome o particella pronominale
da → preposizione
li → pronome
la → articolo o pronome personale femminile
te → pronome
ne → pronome o avverbio
e → congiunzione
è → verbo essere monosillabo accentato
e → congiunzione monosillabo non accentato
sì → avverbio di affermazione monosillabo accentato
si → pronome o particella pronominale monosillabo non accentato
dà → 3ª persona dell’indicativo presente del verbo dare monosillabo accentato
da → preposizione monosillabo non accentato
lì → avverbio di luogo monosillabo accentato
li → pronome monosillabo non accentato
là → avverbio di luogo monosillabo accentato
la → articolo o pronome personale femminile monosillabo non accentato
tè → bevanda monosillabo accentato
te → pronome monosillabo non accentato
né → congiunzione negativa monosillabo accentato
ne → pronome o avverbio monosillabo non accentato
sé → pronome monosillabo accentato
se → congiunzione monosillabo non accentato
Quando se è seguito da stesso o medesimo non deve essere accentato, perché in questo caso non esiste più la possibilità di fare confusione con la congiunzione.
Gli avverbi di luogo qui e qua, come insegna una nota filastrocca (su qui e qua l’accento non va), non sono mai accentati, perché non esistono omografi con cui sia possibili confonderli!

Il troncamento (1)
Il troncamento è l’eliminazione della vocale finale o dell’ultima sillaba di un vocabolo, purché non accentate. Non è indicato da segni grafici.
Le parole più frequentemente soggette a troncamento sono tal, qual, ben, buon, nessun, mar, signor, amor, fior… a cui si aggiungono gli aggettivi indefiniti maschili alcun, ciascun, qualcun, nessun.
A piacere di chi scrive possono essere troncati anche gli infiniti di alcuni verbi, come poter, dover, venir, saper…
Davanti alle forme del verbo essere quale subisce sempre il troncamento: per questo le forme corrette non hanno MAI l’apostrofo, segno dell’elisione (qual è, qual era e non *qual’è, *qual’era).

Il troncamento e l’elisione: come distinguerli? (2)
Alcune parole possono subire sia il troncamento che l’elisione: per questo, quando si trovano davanti a vocaboli che cominciano per vocale, si è incerti se mettere o meno l’apostrofo. Per esempio: si scrive pover’uomo o pover uomo?
In caso di dubbio basta provare a sostituire il termine che comincia per vocale con un altro dello stesso genere che cominci per consonante: se l’accostamento
– è possibile si tratta di troncamento (e dunque non si deve mettere l’apostrofo)
– non è possibile si tratta di elisione (e dunque occorre l’apostrofo).
Per esempio:
pover’uomo richiede l’apostrofo perché non posso scrivere pover bambino
qual esempio non richiede l’apostrofo, perché posso scrivere qual pianto
nessun’amica richiede l’apostrofo, perché non posso scrivere nessun bambina.

Questione di santi (troncamento 3)
L’aggettivo santo segue questa regola: si usa
– san (forma troncata) per i nomi propri maschili che iniziano per consonante (san Patrizio, san Gennaro…)
– sant’ (forma con elisione della vocale finale, segnalata dall’apostrofo) per i nomi propri maschili che iniziano per vocale (sant’Ambrogio, sant’Eustorgio…)
– santo per i nomi propri maschili che cominciano per s seguita da una consonante (santo Stefano)
– santa per i nomi propri femminili (santa Chiara, santa Lucia…); si preferisce, però, la forma sant’, con elisione della vocale finale, quando il nome comincia per vocale (sant’Anna, sant’Orsola…).

Troncamenti anomali (4)
Alcuni vocaboli che hanno subito il troncamento si comportano in modo anomalo, perché lo segnalano con un apostrofo: è il caso di
un po’ ↔ che corrisponde a un poco
a mo’ di ↔ che corrisponde a a modo di
pie’ ↔ che corrisponde a piede
da’↔ che corrisponde a dai, imperativo del verbo dare
fa’↔ che corrisponde a fai, imperativo del verbo fare
sta’↔ che corrisponde a stai, imperativo del verbo stare
va’↔ che corrisponde a vai, imperativo del verbo andare
Attenzione, in questi casi, a usare l’apostrofo e non l’accento!

La D eufonica
Da tempo i grammatici si confrontano sull’opportunità di aggiungere una d alla preposizione a e alla congiunzione e quando sono seguite da una parola che comincia per vocale: bisogna scrivere e ora oppure ed ora? A Elisa oppure ad Elisa?
Le teorie più recenti suggeriscono di usare la d (detta eufonica – cioè “dal bel suono” – proprio perché serve per evitare lo sgradevole incontro di due vocali) solo quando si incontrano due vocali uguali: avremo così e anche e a ogni, ma ed era e ad Alessandro.
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