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grammatica e letteratura italiana | latina | greca

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Proverbi e modi di dire

in LESSICO \ GRAMMATICA ITALIANA

I proverbi sono delle brevi frasi veicolate dalla memoria collettiva che hanno il compito di enunciare verità ricavate dall’esperienza e presentate come condivisibili.

I modi di dire – o espressioni idiomatiche – sono delle brevi frasi o insiemi di parole che non devono essere interpretate in modo letterale (o denotativo) ma in senso figurato (o connotativo). Nel primo caso, infatti, spesso non hanno alcun significato.

Ogni lingua possiede i propri proverbi e le proprie espressioni idiomatiche: poiché essi nascono dal vissuto e dalla cultura che sostanziano quella lingua, spesso risultano intraducibili in altre lingue, almeno parola per parola.

Lo scopo di questa sezione è arricchire la conoscenza dei proverbi e dei modi di dire, di chiarirne il significato e di rivelarne l’origine: in un’epoca in cui per alcuni è più importante dire la cosa giusta piuttosto che dire ciò che si crede e che si pensa, risulta davvero fondamentale riappropriarsi del gusto di pronunciare una parola o una frase perché la si conosce, la si sceglie e la si sa utilizzare…

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A BABBO MORTO

Questo modo di dire si utilizza quando si vuole indicare che qualcosa potrebbe non succedere mai o avvenire in tempi lunghissimi.

Esso nasce da una particolare forma di prestito che veniva praticata dagli usurai a giovani senza soldi, che promettevano la restituzione del denaro dopo la morte del padre, cioè dopo aver riscosso l’eredità. A volte i tempi erano molto lunghi: di qui l’utilizzo di quest’espressione – di cui il vocabolo babbo rivela l’origine toscana – per indicare una lunga attesa oppure una prolungata inattività.

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A CAVAL DONATO NON SI GUARDA IN BOCCA

Questo proverbio si utilizza quando si vuole evidenziare che non bisogna soppesare il valore di un regalo, ma esserne comunque grati.

L’ età e lo stato di salute di un cavallo possono essere dedotti dalla sua dentatura. In passato ricevere un cavallo in dono era, per un contadino, un notevole guadagno: per questo bisognava esserne grati a priori, senza controllare la salute o l’età dell’animale (come suggeriva già il detto latino noli equites dentes inspicere donati, la cui traduzione letterale è a caval donato non guardare i denti).

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ACQUA IN BOCCA!

Questo modo di dire si utilizza quando si vuole invitare qualcuno a non diffondere una notizia o a mantenere un segreto.

L’ origine va ricondotta a una leggenda popolare, secondo cui una donna molto pettegola ricevette dal suo confessore, come penitenza per i suoi peccati e come rimedio per non commetterne ancora, l’invito a mettere in bocca un sorso di acqua ogni volta che avvertisse il bisogno di spettegolare.

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ALLE CALENDE GRECHE

Questo modo di dire si utilizza quando si vuole indicare un momento di tempo che non arriverà mai.

Secondo lo storico latino Svetonio, vissuto nel I – II secolo d. C., quest’ espressione fu usata per la prima volta dall’imperatore Augusto per dire in modo ironico che alcuni debitori non avrebbero mai pagato i loro debiti: le calende, nome con cui si indica il primo giorno del mese, esistevano infatti solo nel calendario romano!

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ANDARE A CANOSSA

Questo modo di dire si utilizza quando si vuole indicare che una persona, dopo essersi comportata in modo arrogante e prepotente, si è trovata o si trova nella condizione di dover chiedere scusa dei propri errori.

Esso nasce da un episodio storico. Nel 1076 Enrico IV, imperatore del Sacro romano impero e re di Germania, venne scomunicato da papa Gregorio VII, con cui aveva avuto forti contrasti relativi all’elezione dei vescovi nella disputa che è passata alla storia con il nome di Lotta per le investiture. La scomunica non era solo un atto religioso, ma anche un potente strumento politico, perché, una volta comminata, i sudditi erano liberati dall’obbligo di fedeltà all’imperatore. Così Enrico si vide costretto, suo malgrado, a chiedere scusa al papa, ospite nel castello di Matilde, contessa di Canossa, un piccolo centro in provincia di Reggio Emilia. Quando arrivò al castello, nell’inverno 1077, il papa si rifiutò di riceverlo e così l’imperatore dovette restare per tre giorni nel cortile, a piedi nudi nella neve, con abiti da penitente e con il capo cosparso di cenere. Il papa poi, lo perdonò: mal gliene incolse, perché Enrico, una volta tolta la scomunica, ricominciò la sua opposizione contro di lui.

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CAPODANNO SENZA LUNA, SETTE NEVI SOPRA UNA

Questo proverbio si utilizza per avvertire che se nella notte di Capodanno manca la Luna in cielo bisogna aspettarsi l’imminente arrivo del gelo.

Questa previsione nasce, come sempre, dal mondo contadino e dalla sua attenta osservazione dei segnali della natura: l’assenza della Luna in cielo durante la notte di Capodanno indica un imminente abbassamento delle temperature, che porterà con sé l’arrivo di freddo e neve.

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CAVARSELA PER IL ROTTO DELLA CUFFIA

Questo modo di dire si utilizza quando si vuole indicare che si è scampato un pericolo proprio quando sembrava impossibile riuscirci.

Le ipotesi più accreditate sull’origine di questo modo di dire sono tre, tutte da ricondurre al Medioevo.

La prima intende la parola cuffia come il copricapo in maglie di metallo (o in cuoio o in pelle) che i cavalieri indossavano sotto l’elmo per proteggere il capo e il collo. Se il colpo inflitto da un nemico spaccava l’elmo ma si arrestava grazie alla cuffia, il cavaliere poteva ben dire di essersela cavata per il rotto della cuffia.

La seconda rimanda a un gioco medioevale, detto del Saracino. Un cavaliere, armato di lancia, doveva colpire lo scudo di un fantoccio girevole (che indossava un costume da saracino) facendo attenzione a non farsi disarcionare. Se la mazza del fantoccio colpiva il cavaliere alla cuffia e il cavaliere non veniva disarcionato, i giudici gli assegnavano ugualmente la vittoria, che avveniva, appunto, per il rotto della cuffia.

Infine una terza spiegazione intende la parola cuffia come la cinta muraria di una città: uscire o entrare in una città assediata attraverso il rotto (cioè una breccia, come attesta un verso di Ludovico Ariosto) della cuffia voleva dire, anche in questo caso, scampare un grave pericolo.

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CHI MANGIA UVA A CAPODANNO, CONTA I QUATTRINI TUTTO L’ANNO

Questo proverbio si utilizza per invitare a mangiare dell’uva durante la notte di Capodanno.

Mangiare uva a Capodanno è ritenuto un gesto apotropaico, cioè in grado di allontanare la sfortuna. Questa tradizione è nata in Spagna, ad Alicante, in seguito a una vendemmia – quella del 1909 – particolarmente abbondante: in occasione del Capodanno i viticoltori distribuirono l’uva in eccesso invitando a mangiarne un acino per ognuno dei dodici rintocchi della mezzanotte, per propiziare un altro raccolto abbondante nell’anno successivo.
Da qui anche il detto: L’uva di Capodanno non portò mai danno.

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CHI SEMINA VENTO, RACCOGLIE TEMPESTA

Questo proverbio si utilizza quando si vuole evidenziare che chi diffonde discordia ne raccoglierà le conseguenze, tutt’altro che piacevoli.

Esso si basa su due metafore: la prima indica la discordia con il vento e la seconda il male che ne deriva con la tempesta. La sua origine deve essere ricercata in un passo dell’Antico Testamento – Il libro del profeta Osea, 8,7 – in cui, per biasimare il comportamento degli Ebrei, che praticano l’idolatria e sono corrotti, si legge: E poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta.

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DI NOTTE TUTTI I GATTI SON GRIGI / BIGI / NERI

Questo proverbio, nelle sue tre varianti, viene usato per indicare che non sempre è possibile cogliere le differenze o che a volte non bisogna andare troppo per il sottile.

Il proverbio è nato in Inghilterra dalla penna dello scrittore John Heywood, che lo inserì nel suo Libro dei Proverbi, pubblicato nel 1546: esso vuole evidenziare che non è sempre facile distinguere i dettagli oppure ciò che è vero da ciò che è falso.
Lo stesso proverbio ha però raggiuto la fama, con il secondo valore, grazie a Benjamin Franklin (1706 – 1790), padre fondatore degli Stati uniti d’America, che lo usò per commentare – in modo certamente poco elegante – una notte d’amore trascorsa con una donna molto più anziana di lui.

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ESSERE IN QUATTRO GATTI

Questo modo di dire viene usato per indicare la presenza di poche persone.

Esso nasce dai tempi passati, quando nei vicoli delle città era facile imbattersi in gruppi di gatti randagi. Raramente essi erano composti da poche unità: ecco perché quest’espressione indica una scarsa presenza o affluenza di persone.

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È UN ALTRO PAIO DI MANICHE

Questo modo di dire si utilizza quando si vuole indicare un discorso, un fatto o un’osservazione che non ha alcuna attinenza con ciò con cui viene posto in relazione.

Esso nasce durante il Medioevo, epoca in cui gli abiti delle nobildonne e dei cavalieri avevano delle maniche staccabili, che permettevano di cambiare la parte destinata a sporcarsi maggiormente senza dover lavare l’intera veste, che spesso non veniva tolta neppure per andare a dormire. Queste maniche, impreziosite con gioielli o ricami, venivano attaccate alle vesti con bottoni e nastri, senza preoccuparsi dell’abbinamento con stoffe e colori. Di qui la sensazione che a volte esse fossero completamente inadatte alla veste indossata.

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FAR VENIRE IL LATTE ALLE GINOCCHIA

Questo modo di dire si utilizza quando si vuole indicare che qualcosa è decisamente noioso, ripetitivo, insopportabile…

Esso deriva dal mondo contadino, in particolare dalla pratica della mungitura manuale, durante la quale il mungitore si sedeva su uno sgabello posto accanto alla mucca e con movimenti sempre uguali e ripetitivi faceva uscire il latte dalle mammelle, fin a quando esso non riempiva un secchio posto tra le sue ginocchia.

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FARE LA GATTA MORTA

Questo modo di dire si utilizza quando si vuole indicare che una persona maschera il suo vero carattere con atteggiamenti dolci e carini.

Esopo, Fedro e La Fontaine, i più celebri narratori di favole di ogni tempo, raccontano di un gatto che finge di essere morto per sorprendere le sue prede con un balzo improvviso. Di qui il modo di dire, usato quando si scopre che una persona è ben diversa da quella che sembra.

E qui corre l’obbligo di una precisazione, necessaria per correggere una recente e osannata lectio magistralis… Nei proverbi incontriamo molte gatte e pochi gatti: questo è semplicemente dovuto al fatto che in passato il termine gatta, come attesta il Vocabolario della Crusca, si riferiva all’animale in sé, indipendentemente dal sesso. Quindi la famigerata gatta morta può essere anche un uomo, come autorevolmente attestato da Alessandro Manzoni, che nel capitolo XI de I promessi sposi fa dire al conte Attilio che Fra Cristoforo ha un fare da gatta morta.

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FARE LE COSE ALLA CARLONA

Questo modo di dire si utilizza quando si vuole indicare che qualcosa è stato fatto con poca cura e attenzione oppure in modo sbrigativo.

Esso nacque durante il Medioevo, quando si raccontavano le gesta dell’imperatore Carlo Magno. La sua figura, all’inizio leggendaria e degna di ammirazione, nel tempo divenne oggetto di parodia e di scherno: Carlo, rappresentato come un vecchio goffo, impacciato e poco presente a sé stesso, fu ribattezzato Carlone e preso in giro per la sua presunta abitudine di indossare abiti poco eleganti o di taglia superiore alla sua. Di qui il modo di dire.

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HAI FATTO TRENTA… FAI TRENTUNO!

Questo modo di dire si utilizza per sottolineare che chi ha già fatto molto può e deve aggiungere un piccolo sforzo, perché quanto fatto non sia vano.

L’origine di quest’espressione deve essere ricercata, secondo molti studiosi, in una frase attribuita a papa Leone X. Nel 1517, durante un concistoro convocato per la nomina di trenta nuovi cardinali, il papa si accorse di non aver tenuto conto di un candidato molto capace e rispettabile. Decise così di portare il numero degli eleggibili a trentuno, pronunciando proprio questa frase.

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IN BOCCA AL LUPO!

Questo modo di dire si utilizza per augurare buona fortuna a chi sta affrontando una difficoltà o una prova difficile della sua vita.

Esso si basa su una figura retorica, l’antifrasi, che consiste nell’utilizzare un termine o un’espressione per indicare il suo esatto contrario. L’augurio In bocca al lupo, rivolto ai cacciatori che partivano per la caccia, voleva antifrasticamente indicare la possibilità di scampare al pericolo di un lupo, qualora lo si fosse incontrato. Esso aveva dunque una valenza apotropaica: serviva, cioè, per allontanare il pericolo di soccombere al lupo, considerato un avversario pericoloso e temibile. Di qui la risposta Crepi il lupo, oggi inutilmente – ma politicamente – corretta in Viva il lupo, con un totale snaturamento del senso originario dell’espressione, che recupera invece significato se questo augurio viene ricondotto alla leggenda di Romolo e Remo, che si salvarono perché allattati e curati da una lupa che li trovò dopo il loro abbandono. In questo caso infatti l’esultanza del viva acquista senso dalla mitologia e non dalla necessità (?) di rileggere parole ed espressioni in modo forzato…

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L’EPIFANIA TUTTE LE FESTE PORTA VIA

Questo modo di dire si utilizza per indicare che con la festa dell’Epifania si chiude il periodo delle festività che si celebrano tra dicembre e gennaio.

… e, purtroppo, questa constatazione non necessita di alcuna spiegazione!
Un minimo di consolazione arriva da chi aggiunge questa seconda parte del modo di dire: poi arriva San Benedetto e ne riporta un bel sacchetto. Con l’arrivo della primavera (il giorno dedicato alla festa di San Benedetto da Norcia, fondatore dell’ordine benedettino, era il 21 marzo, giorno dell’equinozio di primavera) si avvicinano infatti le festività pasquali, definite sacchetto perché meno numerose di quelle natalizie. Oggi questa seconda parte del modo di dire non si cita più, perché nel 1964 papa Paolo VI ha spostato la festa di san Benedetto all’11 luglio, perché non cadesse nel periodo della Quaresima.

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LA GATTA FRETTOLOSA FA I GATTINI CIECHI

Questo proverbio si utilizza per sottolineare che per fare le cose bene non si deve avere fretta.

Esso nasce dal favolista Esopo, che lo ereditò probabilmente da un modo di dire orientale (che si riferiva, però, ai cani, come conferma Erasmo da Rotterdam, un famoso umanista, che, nei suoi Adagia, una raccolta di proverbi e sentenze di autori latini e greci pubblicata nel 1500, scrive: Canis festinans caecos parit catulos cioè La cagna che ha fretta partorisce dei cuccioli ciechi).
Non è certamente un caso che in entrambe le versioni del proverbio siano citati i cuccioli di cani e di gatti: alla nascita, infatti, essi sono sempre ciechi. Spesso una gestazione non portata a giusto termine determina la possibilità che la temporanea cecità dei cuccioli diventi permanente.

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LAPALISSIANO!

Questo modo di dire si utilizza per indicare qualcosa di ovvio e scontato.

Esso nasce dal nome di un personaggio storico, il maresciallo Jacques de Chabannes, signore di La Palice, una località del centro della Francia, morto in battaglia a Pavia nel 1525. I suoi soldati lo celebrarono con un canto funebre che diceva: Il signor di La Palice è morto! È morto a Pavia, un quarto d’ora prima di essere morto, egli era ancora in vita! Questa ovvietà è probabilmente frutto dell’errata trascrizione dell’originaria espressione francese (Un quarto d’ora prima di essere morto, faceva ancora invidia, cioè era ancora ammirato da tutti), che ha determinato l’uso dell’aggettivo derivato dal nome del maresciallo per indicare, appunto, qualcosa di scontato.

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LE BUGIE HANNO LE GAMBE CORTE!

Questo proverbio si utilizza per indicare che prima o poi tutte le bugie saranno scoperte.

Esso nasce dal mito. Prometeo, che donò agli uomini il fuoco, un giorno, lavorando nella sua officina, creò Verità, plasmandola con della creta. Essendo stato convocato all’improvviso da Giove, il re degli dei, uscì in tutta fretta, lasciando a custodire l’officina il suo apprendista, Inganno. Quest’ultimo, rimasto solo, decise di fare una statua perfettamente identica a quella realizzata dal suo maestro. Quando si accinse a creare i piedi, si accorse, però, che la creta era terminata. Prese allora la statua incompiuta e la pose vicino all’altra.
Prometeo, rientrato in officina, decise di dare vita a entrambe le statue: per questo le mise nel forno e diede loro l’anima. Verità uscì dal forno camminando con passo veloce; la sua imitazione, invece, senza piedi, cercò a fatica di tenerle dietro. Prometeo decise di chiamare la copia Menzogna, che da allora ha le gambe più corte della Verità.

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MENARE IL CAN PER L’AIA

Questo modo di dire si utilizza per indicare che si sta perdendo del tempo, tirando inutilmente per le lunghe, oppure che si sta facendo qualcosa che risulta del tutto inutile, oppure ancora che si sta girando intorno a un argomento senza arrivare mai al dunque.

Le origini di questo modo di dire devono essere ricercate nel mondo contadino. Quando non esistevano ancora le macchine trebbiatrici, i contadini trebbiavano (cioè separavano i chicchi dalle spighe) menando (cioè conducendo) un bue nell’aia, in modo che il suo passo pesante facesse uscire i chicchi di grano dalle spighe sparpagliate per terra. Sarebbe stato del tutto inutile compiere la stessa operazione con un altro animale più leggero, per esempio un cane: di qui il detto.

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NATALE AL BALCONE, PASQUA AL TIZZONE

Questo proverbio si utilizza per preannunciare che se il giorno di Natale sarà caldo, bisognerà aspettarsi una Pasqua fredda.

Secondo la saggezza popolare (in questo caso sicuramente legata al mondo contadino) a un Natale insolitamente caldo (tanto che lo si può trascorrere affacciati al balcone!) fa inevitabilmente seguito una Pasqua da trascorrere vicino alla stufa o a un caminetto, in cui brucia un tizzone di legno.

Questo stesso concetto si trova espresso in molte altre varianti, tra cui ricordiamo:
Chi fa Natale al Sole, fa la Pasqua al fuoco
A Natale solicello, a Pasqua focherello
Natale con il Sole, Pasqua con il ceppo
Se Natale è verde, la Pasqua sarà bianca
Se Natale ha i moscerini, Pasqua ha i ghiacciolini

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NATALE CHIAMA IL PRIMO GIORNO DELL’ANNO

Questo modo di dire si utilizza per indicare che il giorno in cui cade il Natale sarà identico a quello in cui cade il primo giorno dell’anno.

Non bisogna essere grandi matematici per accorgersi che queste due feste, che si celebrano a sette giorni di distanza l’una dall’altra, devono per forza cadere nello stesso giorno della settimana!

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NATALE CON I TUOI, PASQUA CON CHI VUOI

Questo modo di dire si utilizza per dare indicazioni sul modo in cui trascorrere le due più importanti festività della religione cristiana.

La prima spiegazione del detto – più ovvia – tiene conto del periodo dell’anno in cui si collocano queste due festività: il rigido clima invernale suggerisce di trascorrere la prima festa in casa, mentre il tepore primaverile invita a uscire per la seconda…
La seconda spiegazione rimanda, invece, al Vangelo: l’abbraccio di Maria e Giuseppe al piccolo Gesù avviene in una capanna, mentre a Pasqua Gesù si trova – come racconta il Vangelo di Luca (22,15) – a tavola con i suoi amici.

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NATALE FREDDO CORDIALE

Questo proverbio si utilizza per indicare che il freddo dell’inverno non raggiunge il culmine nel periodo natalizio.

Esso nasce, come molti altri che riguardano il clima, dal mondo contadino, che conosce bene il freddo dell’inverno: le gelate più intense avvengono, infatti, nei mesi di gennaio e di febbraio.

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NON C’E’ TRIPPA PER GATTI

Questo modo di dire si utilizza per invitare chi ha bisogno di qualcosa a procurarsela da solo oppure per indicare che per qualcosa non c’è niente da fare.

Quest’espressione nasce da una frase realmente pronunciata da Ernesto Nathan, che fu sindaco di Roma dal 1907 al 1913. Trovandosi di fronte a un bilancio comunale decisamente in rosso, decise di tagliare tutte le spese che giudicava superflue, tra le quali c’era il mantenimento dei gatti randagi, che avevano il compito di dare la caccia ai topi che infestavano le sale dell’archivio comunale e che rosicchiavano i documenti lì conservati. Per eliminare la voce di spesa “Frattaglie e trippa pei gatti” Nathan tracciò una riga sulla dicitura, scrivendo accanto la frase nun c’è trippa pe gatti, con cui i gatti venivano invitati a procacciarsi il cibo da soli e non a spese del comune!

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NON DIRE GATTO SE NON CE L’HAI NEL SACCO!

Questo proverbio si utilizza per indicare che non bisogna dare niente per scontato oppure fare affidamento su qualcosa che non si possiede ancora.

Esso nasce probabilmente dalla storpiatura, attestata dai primi del Novecento, di un altro proverbio, Non dire quattro se non ce l’hai nel sacco, in cui quattro sta per quattrino e sacco per saccoccia, cioè tasca.
Secondo altri, invece, questo proverbio è nato nel mondo dei contadini, che, abituati a esser pratici e a non dare per scontato nulla che non fosse già stato raccolto, non si vantavano di avere quattro prodotti se essi non si trovavano già in un sacco.
La somiglianza fonetica di quattro e gatto ha poi determinato la variante in oggetto, aiutata anche dal fatto che non è facile chiudere un gatto in un sacco: meglio quindi non vantarsi di averlo preso se prima non lo si è già messo nel sacco!

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PARIGI VAL BEN UNA MESSA!

Questo modo di dire si utilizza per indicare che vale la pena di sacrificare qualcosa per ottenere un risultato importante.

Quest’espressione nasce da un fatto storico. Verso la fine del Cinquecento, in Francia, Enrico di Navarra, di religione protestante, ed Enrico di Guisa, cattolico, si scontrarono per ottenere la successione al trono. Tra i due ebbe la meglio Enrico di Navarra, che però, per essere incoronato, fu costretto ad abiurare il protestantesimo e a convertirsi al cattolicesimo, perché… Parigi val ben una messa!

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PASSARE LA NOTTE IN BIANCO

Questo modo di dire si utilizza per indicare una notte trascorsa completamente insonni.

La sua origine deve essere ricercata nel mondo medioevale e, in particolare, nel rito che precedeva l’investitura a cavaliere: l’aspirante cavaliere doveva infatti trascorrere la notte che precedeva l’investitura in un luogo consacrato, vestito di bianco (simbolo di purificazione), restando sempre sveglio accanto alle proprie armi, per riflettere sull’onore e sull’impegno che stava per ricevere.

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PER L’ANNO NUOVO, TUTTE LE GALLINE FANNO L’UOVO

Questo proverbio si utilizza per indicare che con l’arrivo del nuovo anno si rinnovano le energie vitali e positive.

Il proverbio prende chiaramente origine dal mondo contadino e dall’osservazione dei ritmi della natura: le galline nel periodo invernale rallentano o cessano del tutto la produzione delle uova, perché la scarsa quantità di luce solare condiziona pesantemente la loro formazione. Dal mese di gennaio, quando le giornate tornano ad allungarsi, le galline ricominciano a pieno la loro attività di deposizione.

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PER UN PUNTO MARTIN PERSE LA CAPPA

Questo detto si utilizza per indicare qualcosa che si perde per un’inezia o per un piccolo errore.

L’origine di questo detto si lega a un breve racconto popolare. Un certo Martino, padre guardiano di un convento, desiderava ottenere la cappa, cioè il mantello da abate. Un giorno venne a sapere che il padre provinciale stava per arrivare in visita al convento. Per fare bella figura ai suoi occhi decise di scrivere sul portone una frase in latino, che recitava: La porta sia aperta. Non sia chiusa a nessun uomo onesto. E così fece. Ma non appena il padre superiore arrivò e lesse la scritta andò su tutte le furie, perché sulla porta del convento, per colpa di un punto posizionato nel posto sbagliato, lo scalpellino aveva scritto: La porta non sia aperta a nessuno. Sia chiusa all’uomo onesto.
E così Martin… perse la cappa.

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PIANGERE LACRIME DI COCCODRILLO

Questo modo di dire si utilizza per indicare un pentimento finto o tardivo.

L’origine di quest’espressione va ricercata in un’antica leggenda che vuole che il coccodrillo pianga dopo aver divorato la sua preda. In realtà gli zoologi spiegano che questo rettile, solitamente abituato a pasti impegnativi, trascorre il tempo della digestione fermo e in una sorta di torpore, che lo fanno apparire quasi abbattuto.

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PIANTARE IN ASSO

Questo modo di dire si utilizza per indicare che qualcuno o qualcosa è stato abbandonato all’improvviso e/o senza una valida spiegazione.

Esso nasce da una vicenda narrata dal mito greco. Arianna e Teseo, dopo l’uccisione del Minotauro, partirono dall’isola di Cnosso. Teseo, però, durante il viaggio, sognò il dio Dioniso, che gli intimò di lasciargli Arianna, perché la voleva per sé. Per non inimicarsi il dio, Teseo obbedì all’ordine e abbandonò Arianna, addormentata, sull’isola di Nasso, la più grande delle Cicladi. Di qui l’espressione piantare in Nasso, che il tempo e la diffusione in ambito popolare ha trasformato in piantare in asso.

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QUANDO IL GATTO LECCA IL PELO, VIENE GIU’ACQUA DAL CIELO

Questo proverbio preannuncia il brutto tempo.

Esso nasce dall’attenta osservazione di questo animale, che ha l’abitudine di passarsi le zampe dietro le orecchie quando sta per piovere: sentendo l’umidità nell’aria e avvertendo un cambio di pressione atmosferica, il gatto si procura sollievo con questo semplice gesto, che i contadini codificarono in un proverbio… meteorologico!

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QUANDO IL GATTO NON C’E’ I TOPI BALLANO

Questo proverbio viene utilizzato per indicare che spesso, quando manca qualcuno che controlli, si tende a fare ciò che si vuole.

Esso nasce da un detto latino particolarmente diffuso nel Medioevo, Dum felis dormit, mus gaudet et exsilit antro (quando il gatto dorme, il topo è contento ed esce dal buco).

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QUANDO IL GATTO STA SUL FUOCO, LA FA MAGRA ANCHE IL CUOCO

Questo proverbio viene utilizzato per indicare che quando manca qualcosa, bisogna arrangiarsi con quello che c’è.

Nelle case di campagna il gatto se ne stava sulla stufa a dormire solo quando in giro non trovava cibo: in questo caso anche chi cucinava doveva arrangiarsi con quello che c’era. Di qui il proverbio, diffuso soprattutto in Toscana e reso famoso da Alessandro Manzoni, che lo cita nel capitolo XXIV de I promessi sposi (…la cosa fosse accaduta in un giorno in cui, com’essa diceva, non c’era il gatto nel fuoco).

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QUANDO NATALE VIENE IN DOMENICA, VENDI LA TONICA PER COMPRAR LA MELICA

Questo proverbio si utilizza per invitare a prepararsi a tempi difficili

La sua origine va ricondotta a una leggenda popolare, nata probabilmente in una annata in cui ci fu una grave carestia e il Natale cadeva di domenica: per questo, quando il giorno di Natale cade di domenica, bisogna vendere la tonica, cioè la veste (in altre versioni la cappa, cioè il mantello), per comprare la meliga, cioè il sorgo, un cereale che cresce anche in periodi di siccità e che si usa per fare il pane.

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QUI GATTA CI COVA

Questo proverbio si utilizza quando c’è il sospetto che le cose non siano esattamente come appaiono.

La sua origine va ricercata nel comportamento animale: la gatta, infatti, non cova le uova! Il primo a usarlo, proprio per indicare che qualcosa non lo convinceva, fu uno scrittore del Cinquecento, Agnolo Fiorenzuola, in una sua opera intitolata Ragionamenti, dove scrive: “Qualche gatta ci cova: che sì ch’io scoprirò qualche tegolo (cioè qualche cosa di poco chiaro), se io mi ci metto”.

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ROMPERE LE UOVA NEL PANIERE

Questo modo di dire si utilizza per evidenziare che qualcuno o qualcosa ha rovinato un piano o un progetto già ben avviato.

Esso trae origine dal mondo contadino, in particolare dal paniere, la cesta riempita con paglia in cui le galline covano le loro uova per una ventina di giorni. Se qualcosa rompe le uova già covate, la fatica del povero animale viene vanificata…

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SBOLOGNARE QUALCUNO O QUALCOSA

Questo modo di dire si utilizza quando si vuole indicare che qualcuno è stato congedato in modo frettoloso, perché ritenuto fastidioso o inopportuno, oppure che qualcosa è stato dato via perché di scarso valore o di pessima fattura.

L’origine di questo modo di dire può essere ricondotta alla città di Bologna, in cui anticamente lavoravano dei falsari in grado di produrre monete e oggetti d’oro falsi o di bassa lega. Questa produzione è certificata anche da un proverbio, Oro di Bologna, rosso di vergogna, che allude proprio alla produzione dei falsi realizzati in città. Di qui l’uso del verbo sbolognare, creato con l’aggiunta di una s al nome della città, da cui gli oggetti contraffatti venivano poi smerciati in tutta Italia.

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SVELTO COME UN GATTO DI MARMO

Questo modo di dire si utilizza per indicare che una persona si distingue per la sua lentezza o perché non particolarmente rapida nel recepire le cose.

Di dove poteva essere originario questo modo di dire, se non di Milano, la città in cui tutti sono di corsa anche quando non ne hanno un motivo? Esso è infatti la traduzione letterale del milanese svèlt cóme l’è un gàtt de marmo, che si ispira alla statua di un gatto e alle sue evidenti prerogative.

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TANTO VA LA GATTA AL LARDO CHE CI LASCIA LO ZAMPINO

Questo proverbio si utilizza per indicare che non bisogna lasciarsi tentare da situazioni pericolose, perché si rischia di pagarne le conseguenze oppure che se si commettono azioni disoneste prima o poi si verrà puniti.

Esso trae origine dal mondo contadino, in cui i gatti erano abituati a girare liberi per le aie e le case. Il profumo del lardo li attirava nelle cucine, dove qualche massaia armata di mezzaluna poteva inavvertitamente tagliare la zampetta allungata nel tentativo di furto, oppure nelle cantine, in cui le trappole erano pronte a trattenere la zampetta incautamente avvicinata al lardo usato come esca per i topi…

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UNA BABELE!

Questo modo di dire si utilizza quando una situazione o un luogo è estremamente confuso e disordinato.

Esso nasce dal libro biblico della Genesi (XI, 1 – 9) in cui si racconta che, dopo il diluvio universale, i Babilonesi cominciarono a costruire un tempio per il loro dio più importante, Marduk: il progetto prevedeva la realizzazione di una torre altissima, la cui punta doveva toccare il cielo. Jahvé, il dio degli Ebrei, si offese moltissimo per questo progetto, che gli sembrò una sfida e un oltraggio: per questo motivo decise di punire i Babilonesi, bloccando la costruzione della torre. Per ottenere il suo scopo, Jahvé rese differenti le lingue parlate dagli operai che stavano costruendo la torre: in questo modo essi non furono più in grado di proseguire il loro lavoro. La città, per ricordare questo episodio, venne chiamata Babele, perché in ebraico Balal significa confondere.

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UNA GATTA DA PELARE

Quest’espressione si utilizza per indicare che si deve affrontare una situazione fastidiosa e / o di difficile soluzione.

Essa rimanda alla scarsa simpatia che i gatti hanno per l’acqua e per la toelettatura, poiché preferiscono provvedere da soli alla loro pulizia: pelare, cioè tosare, uno di questi animali vuol dire ricevere graffi e morsi.
In realtà esistono altre possibili spiegazioni di quest’espressione. In passato alcune popolazioni usavano il pelo dei gatti per confezionare pellicce oppure li spelavano per cucinarli in caso di carestia. Togliere loro il pelo era un’operazione complessa, da cui sarebbe nato questo modo di dire, attestato già in Inghilterra prima del Settecento (There are more ways than one to skin a cat).

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UOVO DI COLOMBO

Questo modo di dire si utilizza quando qualcuno trova una facile soluzione per un problema che sembrava assai difficile da risolvere.

L’aneddoto che ha dato vita a quest’espressione si trova in un’opera di un esploratore vissuto nel Cinquecento, Girolamo Benzoni, secondo il quale Cristoforo Colombo, tornato in patria dopo la scoperta dell’America, accettò l’invito a una cena in suo onore da un caro amico, il Cardinal Mendoza. Durante la cena alcuni nobili spagnoli, gelosi della sua fama e degli onori che gli venivano tributati, sminuirono l’impresa appena compiuta, sostenendo che chiunque, con i mezzi che egli aveva avuto a disposizione, avrebbe potuto conseguire il suo stesso risultato.
Colombo, dopo averli ascoltati, li sfidò a compiere un’operazione semplicissima: posizionare sulla tavola un uovo, in modo che stesse diritto. Nessuno dei nobili ci riuscì, nonostante i numerosi tentativi. Colombo prese allora l’uovo e fece una leggera ammaccatura a una delle sue estremità, posizionandolo diritto sul tavolo. Quando i nobili videro l’azione di Colombo cominciarono a lamentarsi, dicendo che in questo modo il risultato era scontato; Colombo li zittì con la frase: La differenza, signori miei, è che voi avreste potuto farlo, io invece l’ho fatto!

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VEDERE I SORCI VERDI

Questo modo di dire si utilizza per indicare che si sta per affrontare una situazione molto difficile. Proprio per questo a volte esso può essere usato anche come una minaccia.

Quest’espressione nasce in un momento preciso, il 1936, anno in cui un reparto della Regia Aeronautica, la 205esima Squadriglia, scelse tre sorci di colore verde come stemma da applicare sulle carlinghe dei suoi aerei. L’abilità di questa squadriglia divenne ben presto nota ovunque e purtroppo lo fu anche in periodo di guerra, quando vedere avvicinarsi un aereo con questo stemma voleva dire diventare oggetto di pesanti bombardamenti…

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