La volpe e la maschera
(43 Ch)
in TESTI \ ESOPO \ LA FAVOLA \ LETTERATURA GRECA

In questa favola di Esopo una volpe, entrata nella casa di un attore, trova per caso una maschera…
᾿Αλώπηξ εἰς οἰκίαν ἐλθοῦσα ὑποκριτοῦ καὶ ἕκαστα τῶν αὐτοῦ σκευῶν διερευνωμένη, εὗρε καὶ κεφαλὴν μορμολυκείου εὐφυῶς κατεσκευασμένην, ἣν καὶ ἀναλαβοῦσα ταῖς χερσὶν ἔφη· “ Ὢ οἵα κεφαλή, καὶ ἐγκέφαλον οὐκ ἔχει”.
Ὀ μῦθος πρὸς ἄνδρας μεγαλοπρεπεῖς μὲν τῷ σώματι, κατὰ ψυχὴν δὲ ἀλογίστους.
Una volpe, dopo che entrò nella casa di un attore e mentre rovistava tutti i suoi costumi, trovò anche una testa di una maschera da teatro, fatta ad arte, e, dopo averla sollevata con le zampe, disse: “O che bella testa, ma non ha cervello!”.
La favola (è) per gli uomini splendidi nel corpo, ma davvero sciocchi nell’animo.
(traduzione di A. Micheloni)
Le favole presentano contenuti e insegnamenti che hanno un valore atemporale: questa, in particolare, riflette su un tema sempre attuale ma davvero indicato per i nostri giorni, il contrasto tra apparenza e realtà. Nella realtà virtuale dei social, in cui ciascuno può presentare la propria vita come vuole e creare di sé l’immagine che più gli aggrada, accade spesso che ci si fermi all’apparenza e che si perda di vista la sostanza, cosicché gli sforzi per migliorarsi sono indirizzati – e riservati – al sembrare e non all’essere. Il messaggio della favola è dunque estremamente chiaro: bisogna guardarsi dalle persone vuote e vanesie, che sembrano molto e risultano poco…
La volpe, che nelle favole di solito rappresenta la furbizia, in questo caso sembra esemplificare, piuttosto, l’intelligenza positiva, quella che è capace di andare oltre l’apparenza, per puntare dritto alla sostanza. Il gesto antropomorfizzato di sollevare la maschera e di girarla, con l’uso delle zampe, allude proprio alla necessità di non fermarsi alla superficie delle cose, per non restarne spesso delusi.
Risulta particolarmente interessante la rilettura politica che Fedro dà di questa favola: egli vedeva infatti quotidianamente dei suoi contemporanei ricevere onori e incarichi prestigiosi per circostanze fortuite e non per meriti. Tutta apparenza, dunque: non a caso egli sostituisce la generica maschera da teatro con una maschera tragica, il cui aspetto serio e maestoso allude ai ruoli importanti ricoperti da… perfetti idioti (honorem et gloriam Fortuna tribuit, sensum communem abstulit: la sorte ha elargito onore e gloria, ma ha tolto il buon senso)!
Analisi del testo
ἐλθοῦσα… διερευνωμένη: entrambi i participi sono congiunti ad ἀλώπηξ e hanno un valore temporale. Nella traduzione ne è stata messa in evidenza la differenza: ἐλθοῦσα, participio aoristo secondo (o forte) di ἔρχομαι, sottolinea l’anteriorità della prima azione rispetto alla seconda, ma anche l’aspetto puntuativo dell’azione dell’entrare; διερευνωμένη, participio presente di διερευνάω, mette invece in evidenza l’aspetto durativo dell’azione del rovistare.
ὑποκριτοῦ: la derivazione del vocabolo ὑποκριτής, attore, dal verbo ὑποκρίνομαι, rispondo, sottolinea l’originaria funzione di “risponditore” dell’attore; da questo vocabolo deriva il nostro ipocrita, che indica una persona che finge nelle parole e nei comportamenti, proprio come fa un attore.
μορμολυκείου: il sostantivo μορμολυκεῖον in origine indicava una maschera dalle fattezze mostruose e con un’espressione ghignante, che veniva utilizzata durante le feste di Dioniso. Il suo scopo era apotropaico: essa doveva infatti tenere lontani gli spiriti cattivi, che rendevano il terreno meno fertile. Il suo nome deriva, non a caso, dal verbo μορμολύττομαι, incuto paura, da mettere a sua volta in rapporto con il termine Μορμώ, sostantivo femminile onomatopeico della terza declinazione che indicava un mostro che terrorizzava i bambini (come il nostro Babau o il temibile Lupo cattivo: non è un caso che nel nome della maschera sia riconoscibile il nome del lupo – λυκεῖον).
εὐφυῶς κατεσκευασμένην: il participio perfetto medio passivo di κατασκευάζω, con funzione attributiva, è accompagnato da un avverbio di modo, εὐφυῶς, che ha il compito di sottolineare la bellezza dell’apparenza (nell’avverbio è infatti presente il prefisso εὖ, che indica sempre la positività).
ἣν καὶ ἀναλαβοῦσα: costrutto complesso, caratterizzato dalla presenza di un nesso relativo (pur in mancanza di un segno di interpunzione forte) e di un participio congiunto, a cui si può attribuire una sfumatura temporale.
ταῖς χερσὶν: dativo strumentale da χείρ, -ός, mano, con – ν efelcistica davanti a parola che comincia per vocale. L’umanizzazione degli animali messa in atto nella favola giustifica l’utilizzo di questo vocabolo, comunque attestato anche in altri testi con il significato di zampa.
οἵα: alla lettera vale quale (“o quale testa!”), ma è meglio rendere l’espressione con un aggettivo qualificativo (“o che bella testa!”). Si tratta di un nominativo esclamativo, che si contrappone al resto della frase, che si chiude con un’amara constatazione espressa con il modo indicativo, quello dell’oggettività.
καὶ: meglio attribuirle un valore avversativo.
κεφαλή, καὶ ἐγκέφαλον: l’aggettivo sostantivato ἐγκέφαλος, che è passato nel nostro linguaggio della medicina (encefalo, encefalite…) crea una bella antitesi – purtroppo destinata a perdersi nella traduzione – con il vocabolo κεφαλή: quest’ultimo, infatti, indica la parte esterna della testa, il contenitore cerebrale, mentre l’altro indica ciò che sta nella testa, il contenuto cerebrale. I due termini, ravvicinati e opposti, sottolineano il contrasto tra apparenza e realtà.
Ὀ μῦθος πρὸς: la formula più consueta per introdurre la morale (la favola dimostra che) è stata in questo caso accorciata con l’ellissi della parte verbale: bisogna pertanto sottintendere un’espressione come si addice, è adatta o, più semplicemente, è.
μεγαλοπρεπεῖς μὲν τῷ σώματι, κατὰ ψυχὴν δὲ ἀλογίστους: la struttura chiastica, che oppone i due aggettivi e i due complementi di limitazione (uno espresso con il dativo τῷ σώματι, l’altro, con una variatio, con κατὰ e accusativo) ha il compito di enfatizzare il contrasto tra apparenza e realtà.
ἀλογίστους: anche il superlativo dell’aggettivo di prima classe ἄλογος serve a sottolineare il contrasto tra apparire ed essere. È significativo che questo aggettivo sia spesso usato al neutro plurale, sostantivato, per indicare gli animali, che non hanno la ragione e che non sono in grado di usare la parola (l’aggettivo è infatti formato da ἀ privativo e λόγος): l’uomo che si cura solo della propria apparenza è dunque abbassato al livello di animale.
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